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22-08-2009, 20.11.12 | #32 |
Ospite abituale
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Riferimento: Aut fides aut ratio?
Giuppe,
il corsivo sarà tuo. "Non capisco dove vuoi arrivare? Non capisco la domanda. "La domanda iniziale era: E' la fede compatibile con la ragione?" Come ho già scritto a Noor, spesso non ci si intende perchè non ci si legge e/ o ascolta con attenzione. Cio' che affermi non-è-vero. L'intero primo intervento di Sesbassar è pregno di fede religiosa. la domanda iniziale pertanto non coinvolge fede e ragione bensi' fede religiosa e ragione. Rileggiamo Sesbassar: "Trovo che spesso si consideri la fede come un sentimento assurdo che non ha alcun fondamento, ma lavoriamo per analogia (che è l'unico modo per parlare del divino senza essere fanatici): se io mi fido di una persona è 1) per un motivo antropologico (l'essere umano non può non fidarsi del suo simile pena la schizofrenia paranoide) 2) perchè questa persona mi ha dato dei motivi per crederle" T'invito a leggere con piu' attenzione, Giuppe. Già dalle prime battute, il piano della fede viene fatto coincidere con quello della fede religiosa. Ed è questo uno dei motivi fondamentali della mia critica. Ed ancora: "Nel caso della fede religiosa cristiana il credente non fa altro che rispondere ad una chiamata; Dio si presenta alla persona che è libera di rifiutare la sua proposta, e risponderà in maniera affermativa solo se riterrà Dio un Dio credibile. La fede non è quindi un mio moto irrazionale, ma la conseguenza della fiducia riposta in una persona (nel caso del Dio cristiano in una tri-persona); La razionalità ha spazio in tutto questo? Una classica argomentazione è che la razionalità è un dono di Dio e quindi positiva in sè. Ma spingiamoci un po' oltre: la ragione, è la risorsa attraverso la quale il credente riesce a distinguere tra superstizione (il gatto nero porta male ecc. ecc.), e fede religiosa matura. L'indagine razionale serve inoltre a smascherare i processi viziosi che il credente compie, spesso per motivi tutt'altro che nobili." Qui si parla ancora e soprattutto di "Dio" che poi ed ancora una volta è quello dlla tradizione ebraico-cristiana. Ed ancora: "Ragione e fede possono coesistere? La ragione è uno strumento molto potente in mano all'uomo, anche solo il computer dal quale scrivo è un trionfo della ragione, e può tranquillamente essere considerata autosufficiente. Un esempio di ragione autosufficiente sono per l'appunto le filosofie atee. Questo però non vuol dire che la fede sia irrazionale: la mia credenza poggia su una chiamata alla quale rispondo con tutto me stesso (quindi anche con la ragione) e che non può prescindere dall'analisi razionale (pena lo scadere nella superstizione). Quella ragione che io adopero però nasce dal bisogno di spiegare un'esperienza compiuta, non dal nulla, quindi se ho fatto l'esperienza dell'infinito amore, non potrò dire che non esiste: l'ho provato! La fede religiosa può quindi essere considerata una risposta all'esperienza del Totalmente Altro, che richiede l'investimento di tutto me stesso. Rinunciare alla ragione sarebbe comodo, ma altrettanto dannoso, poichè ci si esporrebbe al rischio di credere veramente in assurdità..." Come sopra. Ancora e soprattutto fede come fede religiosa e per di piu' cristiana. Di qui la mia critica, il cui nucleo non sembri ancora afferrare. Domandato per inciso: "perchè" mai il totalmente altro dovrebbe essere di natura religiosa? Perchè mai "Dio" sarebbe il Totalmente altro? Conviene dunque ripetere la domanda iniziale. La fede religiosa cristiana è compatibilie con la ragione? "Non capisco questo tuo ostinarti a voler dare la risposta negativa, come se ci fosse un bisogno già a priori di non tradire questa tua scelta. Nessuno ti sta dicendo che Dio esiste, stiamo semplicemente discutendo la sua possibile compatibilità con la ragione." Nessuna ostinazione dunque, ma la "semplice " posizione del problema del modo in cui un credente "puo" comunicare la propria esperienza in una comunità di credenti, dubbiosi e negatori. Di qui la mia critica allo scambio di fede come credenza in un oggetto solo possibilmente non-immaginario e fede come fiducia. Mi fraintendi. Il problema è forse ancora piu' importante e coinvolge la sfera della compatibilità fra le diverse forme dell'esperire umano. Franco Ultima modifica di Franco : 22-08-2009 alle ore 22.47.14. |
23-08-2009, 09.19.48 | #33 |
Ospite abituale
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Riferimento: Aut fides aut ratio?
Un ultimo tentativo di attenermi al punto capitale dell’argomentazione – ossia della superiorità della fede su altra forma di conoscenza: ciò che la fede religiosa ha dato all’umanità è stata l’intuizione dell’assoluto, cioè la certezza che un’assoluta verità esiste ed è ciò che da allora tutti ci industriamo a cercare e che si ripropone ogni volta che una religione sembra scuotere la vita di un individuo od un popolo. Il difetto delle religioni è però quello di limitare questa intuizione, facendo credere di poter dar forma a quest’assoluto – di cui si elencano gli attributi, addirittura la fisionomia, i suoi rapporti col mondo e in particolare con l’uomo, nonché ovviamente il diritto che una chiesa ha di rappresentarlo e interpretarne voleri e giudizi. E’ questo che rende e renderà sempre precario il valore delle religioni – in ultima analisi delle chiese – di fronte a un concetto di Dio in quanto assoluto. Poiché questo resta vero, e lo ha dimostrato l’intera storia dell’homo sapiens: che se l’esistenza dell’assoluto è una certezza, quella forse che ha spinto avanti la specie e l’ha tratta fuori dalle caverne, nessuno può dimostrare che l’assoluto sia questo o quello – cioè che l’assoluto sia il Dio azteco, cristiano od islamico: neppure che l’assoluto si chiami Dio.
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23-08-2009, 12.13.29 | #34 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Aut fides aut ratio?
Citazione:
Su questa discussione condivido il discorso fatto da emmeci. La ragione, la razionalità, l'intelletto ecc. (come tentava di dire epicurus pagine in dietro) ha una sua forma abbastanza delineata. Ci si attiene a quella se vogliamo avere un minimo di "giustificazione" nelle credenze che abbiamo. Quello che invece io ho sempre tenuto a sottolineare è che non basta la ragione. L'uomo ha scoperto qualcos'altro per crescere e senza quello non sarebbe mai andato avanti. Andare oltre la ragione, verso una forma di "conoscenza" superiore, è un merito da sottolineare e da salvaguardare. Il tentativo invece di limitare lo stesso "assoluto" alla ragione è un atto di per sè ragionevole, ma limitante. Mentre è proprio la caratteristica dell'uomo di riuscire ad andare "oltre" la ragione, superandola, che detiene il merito di farci volare verso l'assoluto. Le religioni hanno il merito di aver subito intuito questo notevole pregio dell'uomo, ma il demerito di averlo limitato con la ragione. O meglio, si credeva che limitarlo alla ragione fosse l'unico modo per comprenderlo, ed infatti la conoscenza ha bisogno di criteri base. Ma esiste un tipo di conoscenza che appunto va oltre gli stessi criteri costruiti. E questo è un pregio che non si può nascondere mentre le fedi religiose lo hanno limitato per favorirne la comprensione. |
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23-08-2009, 14.22.50 | #35 | |
Ospite di se stesso
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Riferimento: Aut fides aut ratio?
Citazione:
La religione non crea nulla,mostra..è l’uomo che oggettivizza,antromorfizza l’assoluto,vi proietta dentro l’idea di bene e male. Dopo aver oggettivizzato l’assoluto ,l’uomo ne diviene schiavo creandosi un Dio alienato da sé. Tale distorsione teologica nella quale trionfano l’esteriorizzazione e l’oggettivazione, preclude ogni ulteriore vera esperienza. Oltretutto,idealizzando l’assoluto non si uscirà mai dal relativo. Dunque: prima l’uomo proietta fuori di sé la conoscenza e l’armonia,dopo s’inventa gli strumenti di rapporto. Avendo già esteriorizzato ogni esperienza non può che precludersi ,alienarsi dalla stessa. Ogni ulteriore costruzione sarà frutto di tale proiezione,alienazione,di compensazione artificiale creatosi da questa forma di autoisolamento . |
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24-08-2009, 09.54.33 | #36 |
Ospite abituale
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Riferimento: Aut fides aut ratio?
Caro Il Dubbio e Noor, mi pare che un pensiero di fondo ci unisca: una fede nell’assoluto che è nel contempo certezza che una verità c’è anche se non la conosciamo, dunque qualcosa che potremmo chiamare una fede logica, se questo può avere un senso e se non ci disturba il fatto che a una religione se ne contrappone un’altra, che ogni teoria scientifica è presto corretta e – tanto per non limitarci alla religione e alla scienza - ogni volta che un filosofo scrive la parola fine sull’ultima pagina del suo libro un altro filosofo incomincia ad esporre un nuovo sistema.
Forse non è una fatica di sisifo, forse è proprio così – cioè proseguendo con una stentata ragione al di là di ogni limite – che non si perde la chance di arrivare a cogliere il vero. E’ qualcosa che ha l’aria di un tormentoso e insieme appassionante mistero questa identificazione dell’assoluto con l’infinito. Due parole – assoluto e infinito - che forse sono una parola sola e che sembrano conciliare i due termini dell' aut-aut che Sesbassar ha posto all’inizio di questo argomento, i quali, più che rappresentare un’insormontabile antitesi, richiamano una dialettica che abbraccia la storia del mondo. |
24-08-2009, 14.29.00 | #37 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Aut fides aut ratio?
Citazione:
Sul corsivo avrei da dubitare. Cerco di spiegarmi: potrei dubitare che quello che so sia sbagliato, ma sarei giustificato nel compiere solo azioni o pensieri dettati dalla ragione. Il fatto però di sapere che potrei sbagliare, in quanto l'esperienza mi dice che si può sbagliare nel valutare le situazioni e non è giusto assolutizzarle, non mi indica però quando l'azione o il pensiero, giustificato razionalmente, sarebbe da non seguire. Quindi andare oltre la ragione, non seguire la logica, inventarsi una strada alternativa, è giustificato dall'esperienza (così si cresce), ma nessuna logica ci è d'aiuto nell'indicare quando seguire l'una o l'altra. Vedi emmeci, qui si parla di fede religiosa, quindi si parla di azioni, di vita, di atteggiamenti che chiunque di noi deve avere nel mondo. Si può aspettare che una verità assoluta sia compresa per inseguirla? Come dovrebbe vivere ognuno di noi? Seguendo la logica e la razionalità, ognuno dovrebbe vivere beatamente la propria vita con "furbizia". Non c'è ragione di credere nell'assoluto che non si "conosce", ne tanto meno in Dio, e non c'è prossimo se no colui il quale ti devi tener buono perché non ti faccia del male. Se oggi invece scopriamo nuovi valori lo dobbiamo al fatto che non si vive con la calcolatrice alla mano. Quei valori non sono logici... non sono razionali. Si vivono personalmente, come diceva l'amico che ha aperto l'argomento, e si scelgono in base a quell'esperienza interiore che nulla ha a che fare con la razionalità. Io non posso giustificare razionalmente che il mio vivere è dovuto al mio credo in Dio, perché non c'è nulla di razionale in questo. Se vivessi per far soldi il mio vivere sarebbe giustificato dal fatto che i soldi sono reali e mi danno delle reali comodità. Se vivessi un'esperienza spirituale e le mie azioni fossero tutte a favore del prossimo, qualcuno vorrebbe qualche giustificazione. Ecco Dio sarebbe il tentativo di giustificare razionale la mia scelta di vita, ma non è reale, mentre i soldi sono reali. Entrambe però fanno vivere agli uomini delle esperienze interiori; seguire il non reale (Dio) invece del reale (soldi) diventa una scelta non razionale, ma entrambe sono delle esperienze che ci inducono a fare scelte alternative e illogiche, non razionali, non "giustificabili". In conclusione: Io sostengo che la possibilità di poter fare una scelta irrazionale è molto positiva, ma non vedo come la scelta possa essere dettata dalla logica. |
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24-08-2009, 21.43.07 | #38 |
Ospite abituale
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Riferimento: Aut fides aut ratio?
Emmeci,
Il solco problematico aperto da Sesbassar, Koli, Epicurus e Franco va chiudendosi..... Vorrei comunque capire meglio cio' che scrivi. Il corsivo è tuo: "Caro Il Dubbio e Noor, mi pare che un pensiero di fondo ci unisca: una fede nell’assoluto che è nel contempo certezza che una verità c’è anche se non la conosciamo," Cosa intendi? Mi aiuteresti a capire? Tu saresti un'esperienza particolare, nientemeno che quella della fede nell'assoluto. Non solo, ma sarebbe con-temporaneamente ( anche qui il tempo...) esperienza della certezza che una verità c'è. La lingua tedesca dopo quella greca classica è considerata la lingua filosofica per eccellenza. In tedesco il verbo "ergreifen" significa cogliere, prendere, Si tratta di un verbo facente parte della stessa fasmiglia semantica di cui fa parte il sostantivo "Be-griff" che in italiano è reso con quello di concetto. Mi daresti la possibilità di "ergreifen" di afferrare concettualmente cio' che intendi comunicare con l'asserto:"fede nell'assoluto che è nel contempo certezza che una verità c'è anche se non la conosciamo"? Qui sono senza dubbio coinvolte fede e rgione. Ma in che senso? Cosa sarebbe la tua espereinza della fede nell'assoluto? Cosa sarebbero qui fede ed assoluto? Sarebbe forse tale assoluto la verità che c'è? Già nell'ambito di un'altra discussione feci riferimento al tuo uso dell'espressione "c'è" riferita a cose come l'assoluto. Si tratta forse di un assoluto che c'è? Che c'è cosi' come si dice che "Dio" c'è e/o non c'è? Ci sarebbe l'assoluto? Il "ci" di origine latina sta per "li'","là". Se questo fosse il tuo uso della parolina "ci", il tuo assoluto saerbbe "là" e/o qui". Se osi' fosse anche il tuo assoluto sarebbe un esser-là, in lingua tedesca un da-sein. E' questo cio' che intendi? Un esser-ci dell'assoluto? Un che dunque di afferrabile con il dito che indica? Potremmo forse prendere per mano un bimbo e portarlo a vedere l'assoluto? E se cosi' non fosse, cosa mai sarebbe questo esser-ci della verità come esser-ci dell'assoluto? Vorresti forse dire che la verità e l'assoluto ci sono nel senso che esistono? Esistenza ed esser-ci, esser-là, da-sein, sono forse la stessa cosa? Esistenza ed esser-presente, esser-nella-presenza sono forse la stessa cosa? Non sarebbe meglio definire l'assoluto proprio cio' che si sottrae all'esser-presente, che si sottrae alla presenza ed alla capacità umana di presentare, oggettivare e manipolare? Franco Ultima modifica di Franco : 25-08-2009 alle ore 12.50.34. |
25-08-2009, 10.33.21 | #39 | ||
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Citazione:
(oggettivazione: proiezione,falsificazione,conc ettualizzazione ) che ci allontana inevitabilmente dall’assoluto ,rigettandoci nel tempo. L’essere presenti ,che è sempre qui e soltanto in questo momento ,nel rifuggire dal tempo e dal pensiero è l’unica Soglia d’accesso all’assoluto che sempre si E'. Citazione:
Non c’è nessun altra attrazione che ci richiami all’assoluto ,che questo. Il percorso è invece molto meno logico e spesso tortuoso di quel che imporrebbe qualsiasi logica. Ma fa parte del Gioco. E’ necessario anzi ,allontanarsi da qualsiasi logica immaginabile per procedere nell’oscurità,col solo lume dell’intuito e della fiducia in ciò che è. Ultima modifica di Noor : 25-08-2009 alle ore 19.40.37. |
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02-09-2009, 10.40.17 | #40 |
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Riferimento: Aut fides aut ratio?
Carissimi, è difficile rispondere contemporaneamente a domande e obiezioni diverse, anche se è un onere che chi partecipa a un forum deve a un certo momento assumersi…Mi sembra però che si possa rispondere, almeno provvisoriamente, a una sola domanda, se essa tocca il punto fondamentale dell’argomentazione: la domanda è quella di Franco, che mi chiede di giustificare quella fede nell’assoluto che io ho riconosciuto essere alla base non solo delle mie asserzioni ma di tanti (io direi tutti) coloro che partecipano al dialogo.
Se, come credo, filosofia è ricerca di verità, il primo sillogismo che ne discende (esplicito o implicito) è proprio questo: che siamo certi che la verità assoluta c’è anche se non sappiamo qual è ed è proprio questa ignoranza che la sostiene. Perché potrebbe essere, per esempio, che la verità è l’essere e non il nulla, oppure, al contrario, che è il nulla e non l’essere; potrebbe essere che la verità è questo universo fisico oppure che la verità è metafisica, e potrebbe perfino essere che il concetto di verità è un abuso e addirittura che una verità assoluta non c’è: perché sarebbe questa allora la verità, e tu puoi inventare una miriade di possibilità – senza poterti togliere dalla credenza che una verità assoluta c’è e non può non esserci, dovesse pure presentarsi come nichilismo o relativismo, negando sé stessa. Dunque a questo primo principio della filosofia si congiunge immediatamente un secondo, e cioè che proprio se credo nella verità assoluta so anche che non la conosco e forse non la conoscerò mai, qualunque sia lo strumento scelto per andarne in cerca (in sintesi – ma è una sintesi personale - religione, scienza o filosofia). Come vedi, mi pare proprio che in questi due principi si assommi la posizione iniziale di tutti coloro che cercano verità, al di là di ogni struttura grammaticale o linguistica in cui possono esprimersi: una sorta di big-bang della conoscenza. E aggiungo un altro sillogismo, che mi pare importante visto che siamo sotto l’ombrello “aut fides aut ratio”, e cioè che impostando così come ho fatto il problema della verità, pongo alla base di esso una logica che è contemporaneamente fede, anche se poi ne possano diramare storie diverse, cioè quelle della religione, della scienza o della filosofia. |