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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 05-02-2009, 09.42.57   #1
emmeci
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Il gioco delle parole-chiave

Prendo il “Dizionario dei filosofi contemporanei” curato da Pier Aldo Rovatti (editore Bompiani) e vedo che i filosofi importanti sono presentati con una sintesi delle loro idee e una parola-chiave che dovrebbe caratterizzare il loro pensiero. Per esempio: per Hannah Arendt la parola chiave è “Azione”, per Bergson “Durata”, per Freud “Inconscio”, per Derrida “Decostruzione”, per Nietzsche “Volontà di potenza”, per Heidegger “Lichtung”, per Wittgenstein “Gioco linguistico”, ecc. Bene, vorrei invitarvi a indicare una parola-chiave per la vostra filosofia, o almeno una parola in cui vi sentireste in qualche modo filosoficamente realizzati.
Forse è una pretesa eccessiva, soprattutto nei riguardi di chi ha cominciato da poco a filosofare? Però potrebbe essere un esercizio utile, per lo meno tale da renderci coscienti delle difficoltà che presenta e presenterà ancora più in avvenire l’esercizio della filosofia e l’impegno a partecipare a un forum filosofico.
Avverto che la parola-chiave, come avrete già compreso dagli esempi, può essere anche un’espressione composta da più di una parola – purché raccolte in un’efficace sintesi, come quelle che ho citate più sopra per qualche filosofo contemporaneo.
Dunque possiamo tentare? Penso che comunque la parola-chiave non debba per forza corrispondere al nick che ci siamo scelti per entrare nel forum, e penso pure che uno non debba sentirsi vincolato nel tempo a conservare questa parola-chiave quasi fosse una dichiarazione di eterna fede.
E per rompere il ghiaccio comincerei dalla mia, che mi pare potrebbe essere “Assoluto”, o meglio “Assoluto e storia”.
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Vecchio 17-02-2009, 08.08.13   #2
gyta
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Riferimento: Il gioco delle parole-chiave

"Realizzazione dell'identità nella contemplazione estatica"

Parole-chiave.. Accidenti se le parole "aprono" porte insospettate!
Non le parole in sé, quelle ci servono per comunicare, ma il cogliere l'essenza dei moti interiori
delle "forme" interiori che sperimentiamo, attraverso cui sperimentiamo, realizziamo, l'esperienza di vita,
l'esperienza dell'esistenza, la coscienza, l'Essere.. insomma.
Forse, spesso la parola, la sintesi attraverso la parola-simbolo aiuta ad individuare con maggiore fuoco l'identità fulcro alla quale tendiamo, dandoci così la possibilità di affinare meglio la sperimentazione o l'indagine.. Diciamo: un "cuore" della ricerca.
Logico, naturalmente, che sintetizzare un percorso interiore con una parola chiave può essere spunto e gioco;
eppure spesso le grandi intuizioni si sviluppano proprio da poche figure-simbolo centrali (può essere un colore, un suono, un'immagine, un simbolo-concetto, od anche semplicemente un "sentire" che ancora "non ha volto") sulle quali ruota tutta la nostra capacità percettiva sino a trovare il giusto accordo, la giusta armonia ed in quell"accordo musicale" realizzare l'identità, la conoscenza quindi, la comprensione, creazione..


Gyta
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Vecchio 18-02-2009, 08.27.28   #3
emmeci
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Il guaio è che la “parola-chiave”, che tu giustamente dici in grado di illuminare la nostra coscienza, individuare l’identità alla quale tendiamo, far pulsare il cuore della ricerca, quasi mai siamo capaci di riconoscere prima della nostra disfatta davanti alle banalità della vita: e non parlo solo di uomini senza qualità, ma di noi stessi, cittadini di questo forum e pieni di grandi speranze. Eppure forse è meglio così, è meglio che non la conosciamo questa parola-chiave, perché il pericolo è che diventi una specie di parola magica, alla quale ci si aggrappa precludendosi la possibilità o il coraggio di aprirci a qualcosa di nuovo, forse anche imprudente, ma capace di rischiarare la coscienza del mondo, se avessimo inventata un’altra parola o intrapreso un altro cammino….E’ soltanto un simbolo? Ma è difficile staccarsi da una parola che ci ha esaltato e costituito anche solo per un istante quella “contemplazione estatica” che tu citi all’inizio della tua risposta. Dopo tutto, forse, è meglio rinunciare a quella parola, e lasciare che la scoprano i posteri, anche se in tal modo rischiamo di perdere il copy-right e con quello, magari, una cattedra universitaria. Se per esempio Heidegger non avesse capito l’importanza di ribattezzare l’io – il vecchio cartesiano ego – col neologismo da-sein, credi che avrebbe ottenuto il successo da cui fu baciato e che ha superato d’un balzo gli ostacoli che potevano rappresentare i suoi flirt col nazismo?
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Vecchio 24-02-2013, 23.06.49   #4
Tempo2011
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Riferimento: Il gioco delle parole-chiave

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emmeci

Il guaio è che la “parola-chiave”, che tu giustamente dici in grado di illuminare la nostra coscienza, individuare l’identità alla quale tendiamo, far pulsare il cuore della ricerca, quasi mai siamo capaci di riconoscere prima della nostra disfatta davanti alle banalità della vita: e non parlo solo di uomini senza qualità, ma di noi stessi, cittadini di questo forum e pieni di grandi speranze. Eppure forse è meglio così, è meglio che non la conosciamo questa parola-chiave, perché il pericolo è che diventi una specie di parola magica, alla quale ci si aggrappa precludendosi la possibilità o il coraggio di aprirci a qualcosa di nuovo, forse anche imprudente, ma capace di rischiarare la coscienza del mondo, se avessimo inventata un’altra parola o intrapreso un altro cammino….E’ soltanto un simbolo? Ma è difficile staccarsi da una parola che ci ha esaltato e costituito anche solo per un istante quella “contemplazione estatica” che tu citi all’inizio della tua risposta. Dopo tutto, forse, è meglio rinunciare a quella parola, e lasciare che la scoprano i posteri, anche se in tal modo rischiamo di perdere il copy-right e con quello, magari, una cattedra universitaria. Se per esempio Heidegger non avesse capito l’importanza di ribattezzare l’io – il vecchio cartesiano ego – col neologismo da-sein, credi che avrebbe ottenuto il successo da cui fu baciato e che ha superato d’un balzo gli ostacoli che potevano rappresentare i suoi flirt col nazismo?
"Vivere in modo semplice, umile e solidale, nell'attesa".

Poiché ritengo che un significato questa vita sulla terra lo debba avere, vivere in una condizione semplice e solidale mi sembra il modo ideale per percorrere molta strada senza procurarsi del male, non conoscendo il tempo necessario per raggiungere la nostra verità e dare un significato all'esistenza. Per altro, le preoccupazioni di emmecci mi sembrano intellettualmente oneste, poiché si preoccupano che la parola “chiave” non diventi un lucchetto per un’eventuale modifica futura ma, secondo me, è una preoccupazione un tantino esagerata, poiché per formarsi un'idea della vita e poterlo descrivere con una parola “chiave”, significa aver elaborato dei concetti relativistici e, quindi, mutabili, altrimenti si entrerebbe in una dimensione di assolutismo.

Ultima modifica di Tempo2011 : 25-02-2013 alle ore 14.44.22.
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Vecchio 25-02-2013, 23.37.41   #5
maral
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Riferimento: Il gioco delle parole-chiave

La parola chiave della mia filosofia credo che possa essere rappresentata dall'immagine nel mio avatar: si tratta del più famoso frattale di Mandelbrot che ha una valenza sia estetica che epistemica. Si potrebbe tradurre nell'antica profonda concezione ermetica che vede la coincidenza del macro e microcosmo, del grande nel piccolo senza disgiungere il bello dal vero.
Forse la parola chiave potrebbe essere appunto "frattale".
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Vecchio 26-02-2013, 06.44.58   #6
Tempo2011
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Riferimento: Il gioco delle parole-chiave

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Originalmente inviato da maral
La parola chiave della mia filosofia credo che possa essere rappresentata dall'immagine nel mio avatar: si tratta del più famoso frattale di Mandelbrot che ha una valenza sia estetica che epistemica. Si potrebbe tradurre nell'antica profonda concezione ermetica che vede la coincidenza del macro e microcosmo, del grande nel piccolo senza disgiungere il bello dal vero.
Forse la parola chiave potrebbe essere appunto "frattale".
In termini di spiegazione definita, ho trovato la tua parola “chiave”, complessa come la geometria dei frattali. Per mio uso e consumo potresti fornirmi una descrizione meno ermetica e comprensibile ai più? Grazie.
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Vecchio 26-02-2013, 07.21.25   #7
QantonioQ
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La parola-chiave della mia filosofia è "Radura". Nella fitta foresta degli uomini osservarono che piovevano dei raggi di sole che illuminavano una piccola zona del terreno (due mq). Allora intuirono una mancanza, pensarono che quello fosse il segno inequivocabile per ampliare quella piccola area creando una radura nel fitto del bosco. Tolsero degli alberi e venne a formarsi un ampio spazio luminoso delimitato dagli alberi intorno. Osservarono un'altra mancanza e innalzanono al sole delle colonne al posto degli alberi intorno: così edificarono un tempio alla Luce (Dewos =Dio e dèi). Nacque così la polis e tutto il resto, e ogni cosa venne fatta in base al principio del lasciar essere (Gelassenheit) la radura. Ogni cosa e ogni rapporto umano era determinato dal principio-radura.
Ma la radura fu un giorno oscurata da costruzioni di pseudo linguaggio, pseudo politica, pseudo architettura, pseudo dèi. E così venne dimenticata: fu l'oblio della radura e dell'essere. E' la nostra storia. Alcuni filosofi e poeti del Novecento promisero un Nuovo Inizio. Con la critica della metafisica, la radura cominciò di nuovo a venire alla luce; lucus a non lucendo, Slargo, Lichtung.

Ultima modifica di QantonioQ : 26-02-2013 alle ore 16.04.45.
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Vecchio 26-02-2013, 07.42.54   #8
green&grey pocket
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la mia è sempre stata (ora lo so): SINTOMO.

sto parlando dell'esistenza o dell'ente che dir si voglia (non dell'essere che pure mi interessa).
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Vecchio 26-02-2013, 10.14.28   #9
Soren
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"nulla" e "dualismo" ( o dualità ) per la teoretica, equilibrio per la pratica. Per quanto il secondo sia ancora soltanto un ideale per me.
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Vecchio 26-02-2013, 23.33.34   #10
maral
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Originalmente inviato da Tempo2011
In termini di spiegazione definita, ho trovato la tua parola “chiave”, complessa come la geometria dei frattali. Per mio uso e consumo potresti fornirmi una descrizione meno ermetica e comprensibile ai più? Grazie.
In realtà Tempo2011, di complesso nella famosa struttura di Mandelbrot c'è forse solo il fatto di essere il risultato grafico di una procedura di calcolo iterattivo contenente numeri complessi, un algoritmo piuttosto semplice tra l'altro, che come tutti gli algoritmi è completamente meccanicistico. Ma il risultato a cui dà luogo è graficamente fenomenale: ogni minimo dettaglio del suo contorno è identico all'intera figura (per questo richiama il principio ermetico dell'eterna ripetizione del grande nel piccolo, dell' Essere in ogni singolo Ente che ne costituisce parte). Come è noto poi strutture di questo tipo si ritrovano anche in natura (le linee delle foglie, i tratti costieri, i mantelli degli animali ecc.) per cui alludono non solo un principio di calcolo fine a se stesso, ma al modo del mondo di farsi conoscere apparendo al soggetto nel suo valore estetico.
Sono riuscito a farmi capire?
maral is offline  

 



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