Ospite abituale
Data registrazione: 10-06-2007
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Riferimento: I funerali dell'arte
No, Giorgiosan, nessuno sforzo si fa a dimenticare l’estetica perché c’è qualcosa di molto più importante delle volute architettoniche o delle armonie esteriori: qualcosa che trasforma l’emozione in espressione e questa in conoscenza ed ethos….cioè dà forma al destino umano. Ma tu, di fronte a un’opera letteraria o artistica di oggi, dici davvero “come è bella!” e magari ti affidi a qualche tardoromantico slancio del cuore? Oppure scavi dentro di te per cogliere le risonanze di quelle forme e parole, pronto magari a dare un altro senso, da ora in avanti, alla tua esistenza?
Quanto poi all’aridità….Pare impossibile che, con la tua sensibilità, tu non veda che si può rifiutare la parola bellezza senza desistere dall’amore per una donna e, naturalmente, per un poeta o un artista. E, quanto al rapporto col cinematografo, forse non hai notato la punta di estrema riserva per non dire disprezzo in quella frase bergsoniana che citi: “Il meccanismo della nostra conoscenza abituale è di natura cinematografica" (dove è chiaro che la parola meccanismo sfuma nel più forte meccanicismo).
Quanto a Bergson, va bene, commento riportando, per brevità, le parole del sintetico ma corretto commento che puoi trovare in rete: “Per queste sue caratteristiche l'intelligenza si rappresenta chiaramente solo ciò che le è proprio, quindi ciò che è solido, discontinuo e immobile, mentre ha un'incomprensione naturale per il movimento, il divenire e la vita. Bergson spiega il funzionamento dell'intelligenza, paragonandola al cinematografo, nell'ultima parte dell'"Evoluzione creatrice", intitolata appunto “il meccanismo cinematografico del pensiero e l’illusione meccanicistica”. In effetti, spiega Bergson, l'intelligenza prende sul divenire delle "istantanee" e cerca di riprodurre il movimento mediante la successione di tali istantanee (che non rappresentano se non cose immobili), azionando una specie di cinematografo interiore. Questo meccanismo si lascia sfuggire ciò che vi è di proprio nella vita, cioè la continuità del divenire nel quale non si possono distinguere stati immobili: "Supponiamo di voler riprodurre su uno schermo una scena animata, per esempio la sfilata di un reggimento; dovremmo prendere sul reggimento che passa una serie di istantanee sullo schermo in modo che si succedano rapidamente le una alle altre. Così fa il cinematografo. Con dei fotogrammi, ognuno dei quali rappresenta il reggimento in un atteggiamento immobile, esso ricostituisce la mobilità del reggimento che passa. E' vero che se noi ci trovassimo di fronte le fotografie soltanto, per quanto le guardassimo, non le vedremmo mai animarsi. Perchè le immagini si animino, bisogna che da qualche parte il movimento ci sia. E infatti il movimento c'è: esso sta nell'apparecchio. La pellicola cinematografica si svolge portando, uno dopo l'altro, i diversi fotogrammi a continuarsi gli uni negli altri, ed è così che ogni attore di questa scena riconquista la sua mobilità: egli infila tutti i suoi atteggiamenti successivi sull'invisibile movimento della pellicola. Questo è l'artificio del cinematografo. Ed è anche quello della nostra coscienza. Invece di spingerci fino all'intimo divenire delle cose, noi ci collochiamo al di fuori di esse, per ricomporre artificialmente il loro divenire. Fissiamo delle immagini quasi istantanee sulla realtà che passa e, poiché esse sono caratteristiche di questa realtà, ci basta infilarle lungo un divenire astratto, uniforme, invisibile, situato al fondo dell'apparato della conoscenza, per riprodurre ciò che vi è di caratteristico in questo divenire medesimo" Bergson riassume tutte queste sue osservazioni in un'unica affermazione: "Il meccanismo della nostra conoscenza abituale è di natura cinematografica"
Per comprendere, infine, le mie ultime righe bisogna effettivamente lasciare l’argomento estetico e cercare di afferrare l’intero sviluppo delle forme umane che a me appaiono scàndersi – dal più semplice al più complesso – attraverso impulso biologico, emozione, conoscenza ed ethos, senza ovviamente chiudere la partita ma lasciando alla nostra esistenza di tentare un passo ulteriore verso la verità.
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