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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
26-08-2008, 13.42.40 | #3 |
Ospite abituale
Data registrazione: 24-04-2006
Messaggi: 486
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Riferimento: "Tu, Natura, sei la mia dea"
Non posso che sottoscrivere la tua riflessione emmeci, il concetto di natura, di naturale, mi é sempre parso come un pretesto per dare autorità a certe idee.
Come per chi dice: 'ma questo é contro natura!' E quindi? Perché la natura dovrebbe essere un criterio in base al quale giudicare bene/male, giusto/ingiusto? La natura é indifferente, non ha una volontà buona, non é un modello di perfezione, non sancisce diritti. E' l'uomo stesso che, spaventato dalla storia, dal progresso della civiltà, da questo legno storto che é, cerca rifugio in non-luoghi, utopie perfette quanto pericolose. Unicamente per la paura di se stesso. |
26-08-2008, 14.21.43 | #4 |
Ospite abituale
Data registrazione: 10-06-2007
Messaggi: 1,272
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Riferimento: "Tu, Natura, sei la mia dea"
Ti dirò, Albert (ma il chiarimento può essere indirizzato anche a S.B.) quale potrebbe essere il paradosso o forse il mistero della verità: è proprio perché non la conosciamo che la verità assoluta c’è – mentre se la conoscessimo diventerebbe ipso facto una verità relativa: quindi noi siamo in cerca di essa con le nostre forze conoscitive e morali, pur senza possibilità di poterla mai afferrare.
Giudica tu se questo è pensiero debole o forte: per me vi è contenuta non solo la storia dell’uomo, ma la storia del mondo – solo che si riesca a interpretarlo non come oziosa natura ma come un organismo vivente. Del resto quel pullulare di mitiche figure in forma di costellazioni che riempivano i cieli del nostro passato rappresentavano un’animazione dell’universo, che Giordano Bruno, nello “Spaccio della bestia trionfante”, porta davanti a Giove perché decida quali costellazioni possano rimanere nel vocabolario degli uomini e quali no, in base alle virtù che esse richiamano: prima delle quali è proprio la Verità e ultima, assolutamente da respingere, l’Ozio. Poiché l’ozio, per il filosofo degli eroici furori, rende gli uomini simili ai bruti ed è la bestia che dev’essere inesorabilmente spacciata. Un elogio per chi va in cerca della verità anche in questo forum, pur sapendo che non la potrà raggiungere, così come va in cerca del proprio destino, sia esso di vita o di morte. |
28-08-2008, 15.59.08 | #5 |
Ospite abituale
Data registrazione: 10-06-2007
Messaggi: 1,272
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Riferimento: "Tu, Natura, sei la mia dea"
Caro S.B., non voglio lasciarti senza risposta, anzi vorrei tornare su un punto per me decisivo in questa critica rivolta agli adoratori della natura, cioè all’ambito del diritto – oggi largamente di moda nella versione “diritti universali dell’uomo”. Potrei per esempio chiamare a rapporto, e sentire che cosa dicono, due mostri sacri come Thomas Hobbes e Hans Kelsen: un assertore e un negatore dei fondamenti naturali del diritto.
Per la verità in Hobbes l’idea dello stato di natura come stato razionale da porre alla base di ogni diritto, come sostenuto da tutti i giusnaturalisti, rischia di offuscarsi in quanto sembra richiamare piuttosto uno stato di guerra derivante dal diritto di tutti su tutto, al quale però – egli risponderebbe - si è rimediato con l’istituzione di un potere sovrano (per altri sarà soprattutto l’idea di un patto capace di garantire una convivenza). Kelsen - forse il maggior giurista del Novecento - non credeva invece nell’esistenza di un diritto naturale depositario di inalienabili valori, ma nella realtà di leggi istituite dai singoli stati, leggi che sono dunque un prodotto della storia e specchio di ideologie e tendenze sociali. Oggi – per una comprensibile reazione ai parti mostruosi degli stati totalitari - si rischia nuovamente di cadere nell’errore di pensare che i diritti rispecchino qualcosa di naturale, precisi come un decalogo. No (parlo da filosofo non da giurista!), i diritti sono stati creati o inventati dall’uomo e quindi hanno una storia: nascono, si trasformano e possono anche morire. Questo non vuol dire che sia lecito infrangere quelli che oggi chiamiamo “diritti umani”, ma credere anzi che possano essere allargati al di là delle formule stilate dalle conventicole del 1789, dai padri pellegrini o dalle assemblee dell’ONU. E se il filosofo vuole cercare quale sia il movente che sta alla base di ogni diritto, cioè di diritti vecchi e nuovissimi, direi (facendo, se mi consenti, un balzo nella morale) che sia un “aprirsi agli altri”, che è quello che fondamentalmente costituisce o dovrebbe costituire la specie uomo. Che fa il bambino (e prima di lui addirittura il feto) se non aprirsi agli altri, anche se questo significa all’inizio solo soddisfare un metabolismo? E che valore possono avere i tentativi di promuovere anzi rendere obbligatorio il rispetto dei nostri diritti, se questi sono al servizio di popoli diversi per genoma, educazione, cultura, magari risolvendosi – come tante volte si è dato il caso – in una sopraffazione dei diritti dell’altro? Tutto, infatti, ha una storia (e qui Albert comincerà a sentire odore di spiritello), una storia che si perde nella preistoria e nelle ere che l’uomo ha impiegato a formarsi, condizionato sì dalla natura ma da una natura che è in continuo travaglio, nella quale emergono dapprima i diritti degli atomi e dei fotoni, poi dei vegetali e degli animali (specialmente in quelli che assomigliano a società più che a branchi), alla fine i diritti della nostra specie in cui il bisogno di aprirsi agli altri si risolve talora – metaforicamente - nella volontà di allontanarli da sé o di dominarli in termini di potere….E così questo principio vale, sì, ma solo originariamente per tutte le specie anzi per ciò che diciamo la vita, o forse per la sostanza dell’intero universo, che trova in quell’aprirsi il principio dei suoi movimenti e – perché no? - di un'evoluzione che forse non terminerà mai. |