Riferimento: Umili origini
Mi metterei in coda anch'io per alcune domande.
Emmeci, se ho capito bene dal poco che ho letto delle tue parole, uno dei motivi per cui una verità assoluta ci deve essere, è proprio per il fatto che le risposte finora disponibili sono insoddisfacenti. Di fatti non avrebbe senso dichiarare insoddisfacente una risposta se non si pensasse che qualcosa di più vero si può trovare.
Limitandomi a questa argomentazione, e solo a questa, a me non sembra che questo implichi che ci sia una verità assoluta, ma che ci sia una verità di qualche tipo. Di fatto perlopiù le discussioni hanno sempre dei limiti posti dalla domanda, e raramente si domanda direttamente sull' ab-solutus.
Quando si cerca una risposta ad una domanda, si cerca una verità, ma non una verità assoluta, ed errori e dubbi sono relativi a questa.
Ciò che tu chiami verità assoluta secondo me ha più il carattere di un presupposto logico del pensare discorsivo in generale. E mi pare di capire che è per questo motivo, cioè proprio per il suo carattere autofondativo e non attaccabile dal dubbio, che tu fai della sua esistenza un principio filosofico primo.
E qui veniamo alla filosofia che piace a me. Il caro amico Wittgenstein, il secondo mi raccomando, parlava di proposizioni elementari come di proposizioni indubitabili. Esse erano indubitabili non tanto perchè appartenevano ad un magico mondo istintivo del senso comune purtroppo, ma proprio perchè costituivano quell'asse di rotazione attorno al quale si costruisce tutto il sapere. Esse non sono fondate nel senso predicativo del pensiero, ma sono fondate come una sorta di apriori, però materiale, cioè non formale. La cosa assolmiglia abbastanza a quella logica non formale di cui parli tu.
Un esempio di proposizione elementare è: "tutte le superfici hanno un'estensione", oppure "il mondo non è cominciato ieri". Ciò che è in gioco dubitando di queste proposizioni è l'immaginabilità stessa dei propri termini. La prima non è immaginabile, la seconda richiede una serie di aggiustamenti all'interno del mio sapere che, estesi nelle loro conseguenze, implicano la contraddizione logica dei temini "ieri", e "mondo".
Esse sono certezze indubitabili e vengono prima del dubbio stesso e anzi ne costituiscono il corpo, ed è per questo Wittgenstein non fonda l'assoluto come uno, ma guarda il mondo sub specie aeternitatis ripercorrendo il costituirsi linguistico dei significati, e illustrando di volta in volta il nostro unico mondo. Questa è l'etica del metodo. La verità diventa etica.
Senza qui addentrarmi nella questione che queste certezze hanno un carattere ovviamente storico, e che se potessi fare un'ontogenesi linguistica mostrerei come il modo stesso di essere apprese dall'infante è sempre tacito, cioè sempre implicito nelle espressioni più comuni, io credo che la tua fede nella verità assoluta possa essere ricondotta una sorta di "apriori materiale" del pensare discorsivo, con la riserva che di assoluto non puoi parlarne, essendo ogni verità concepibile già mediata da sempre dal linguaggio.
Alla luce di queste premesse, spero non troppo ellittiche, perchè, Emmeci, assoluto e non semplicemente verità?
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