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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 21-01-2008, 23.40.37   #11
Il_Dubbio
Ospite abituale
 
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

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Originalmente inviato da emmeci
Quanto al criterio dell’oggettività: per rimanere nell’atmosfera kantiana che hai evocato, guarda che per vedere un oggetto a Kant non basta un paio di occhiali (come diceva anche quel mio professore di filosofia quando, venendo da Zelo Buon Persico, entrava in classe annunciando: ora vi spiego che cosa dice Kant): non basta, perché ci vuole anche un “io penso”.

Un io che pensa? E ti sembra poco?
Esci dalla metafora degli occhiali da vista e guarda il concetto per quello che è non per quello che sembra, altrimenti guarderai sempre ogni cosa come se lo vedessi attraverso un'occhiale colorato.

Il Dubbio? E' semplicemente una domanda... a cui bisogna dare una risposta.
Ma la domanda non nasce spontanea, ha bisogno di un io che pensa, di una coscienza (non so se hai letto il mio unico argomento qui aperto su scienze dal tema "cervello-coscienza" ) di una entità che disponga dei requisiti per farsi domande.

Non è vero, poi, che il miei occhiali li tengo perchè li ritengo migliori (non l'ho mai detto). Ho solo voluto evidenziare che volenti o nolenti, noi singolarmente, come uomini o come specie, dobbiamo tener presente che esistono delle limitazione per la conoscenza della realtà. Possiamo anche scambiarci gli occhiali, anzi sicuramente indosserò i tuoi perché li riterrò più fichi, ma sempre saranno limitanti. L'unico modo di guardare la realtà (e cercare la verità) è quella di non guardarla attraverso le lenti e le nostre proprietà fisiche. Bisogna guardare oltre...

Pensa al fatto che noi tutti abbiamo delle qualità comuni, guardiamo tutti la luna e le stelle, ci scambiamo i risultati, mettiamo a confronto le osservazioni.
Paragoniamo tutto questo con le sole metafore:viviamo tutti con gli occhiali verdi, oppure tutti con occhiali azzurri. Ogni epoca indossiamo un'occhiale differente. E' normale che quando indosseremo l'occhiale verde sarà "evidente" che le pecore saranno tutte verdi; nell'epoca successiva gli occhiali avranno un colore azzurro e le pecore saranno azzurre. Ma come cavolo saranno le pecore nella realtà?

Esci dalla metafora, ed immagina il mondo, la nostra conoscenza e le nostre limitazioni. Ogni volta che guardiamo il mondo e lo studiamo lo oggettiviamo, non possiamo farci nulla, possiamo (rientra nella metafora)anche scambiarci gli occhiali e farli indossare a tutti. E' normale che a tutti sarà evidente che le pecore saranno del colore degli occhiali.
Questo è il pericolo di chi razionalizza troppo, di chi crede di poter conoscere il mondo senza riuscire neanche una volta a guardarlo senza lenti e senza impedimenti; va a finire che l'amore poi diventa una malattia da curare dal dottore o da auspicare con un elisir. Diventa un accidenti, qualcosa di cui farne a meno.

Se crediamo che sia irrazionale qualcosa che non è evidente a tutti e che quindi non è reale (mi riferisco alla scienza in particolare), come può essere l'amore personale di un uomo verso una donna e la "fede" che nutre nei suoi confronti, evidentemente è perché non esiste un modo (o metaforicamente: un occhiale) che permetta a tutti di percepire "razionalmente" una sensazione o un pensiero come reale. Infatti un fenomeno come la coscienza potrebbe anche non esistere, infondo la scienza non ha dimostrato cosa vuol dire coscienza. Ne sa qualcosa solo perché quello è un paio di occhiali che dovremmo avere un po tutti...

ciao
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 23-01-2008, 10.56.53   #12
arsenio
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Data registrazione: 01-04-2004
Messaggi: 1,006
Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Ciao arsenio

non vorrei che tu abbia inteso male ciò che ho detto (forse una maggiore attenzione nella lettura non guasta). Infatti ho poi concluso che infondo si scopre che il fine dell'uomo è rispondere a delle domande.
"evitare la sofferenza" è poi un fine(come da te suggerito), uno di quelli che ci si può prefiggere fra i tanti. Sicuramente però solo quando si è fatto esperienza del dolore, altrimenti non avrebbe senso la domanda: come posso evitare di soffrire?

Leggiti (sicuramente non l'hai letto poiché avremo postato in contemporanea) il tema da me posto sugli occhiali azzurrati.
Una domanda non può giungere alla nostra coscienza se non avessimo la possibilità di farcela. Così se fossimo onnipotenti (con degli occhiali molto speciali) non ci chiederemmo sicuramente come fare per evitare il dolore, perché non ne faremmo esperienza.


caro “il dubbio” la nostre premesse filosofiche sono confrontabili ma ne derivano implicazioni e conseguenze differenti.
A parer mio il fine ultimo dell'uomo è l'”essere-per la morte”, che è stata l'origine della religione. Essendo l'unico animale che vi riflette costantemente, mai rassegnato che tutto un giorno abbia fine. Le domande metafisiche che si pone da sempre sono appunto Chi sono? Perchè esisto? Dove sto andando? Che senso ha la vita? Soprattutto quest'ultima. Non ci sono risposte, si potrebbe regredire all'infinito alla ricerca del primo “motore”. Domanda ingenua ma non tanto spesso formulata dai bambini. E la filosofia non risolve i problemi, insegna casomai a porli: domande che servono solo per dubitare metodicamente dell'esistente. Nulla a che fare con la teologia che presenta soluzioni prefabbricate e indiscutibili. Non credo sia un caso che il tuo nick sia “il dubbio”.

Lo “scopo” della vita, nei fatti osservabili e non nelle credenze ideologie, rimane l'evitare la sofferenza. Anche un masochista che gode nel soffrire, se lo percuoti lo soddisfi e non gode più. Questo paradosso dimostra la tortuosità della psiche in quanto a gratificazioni.

Per camminare si deve sapere di avere le gambe e solo se ho mal di testa ne conosco il rimedio a cui ricorro. E' anche vero che la condivisione di vissuti ( non di esperienze che ognuno vive in modo soggettivo) favorisce l'empatia dell' immedesimazione e le risonanze intense spesso da anche un'eccessiva identificazione E si comprende il senso della sofferenza per evitarla dopo proprie esperienze estreme, per alcuni sia pure ideologi e normativi. In effetti il Papa rifiutando la cannula di nutrimento trasgredì a quell'eutanasia di cui lui fu predicatore contrario e intransigente. Ma la leggenda narra che Siddharta 30 enne , ricchissimo fu testimone del dolore, della malattia e della morte, e abbandonò la vita mondana. Così San
Francesco. Scelte di vita con alla base una motivante pulsione.
Il Dio ebraico è un Dio che soffre perchè “impotente” testimone del male nel mondo; quello cristiano forse ha i ray-ban azzurrati . Tutto a significare un giustificato relativismo nell'interpretare le autentiche motivazioni umane.

arsenio is offline  
Vecchio 23-01-2008, 15.59.41   #13
Il_Dubbio
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Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

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Originalmente inviato da arsenio
caro “il dubbio” la nostre premesse filosofiche sono confrontabili ma ne derivano implicazioni e conseguenze differenti.
A parer mio il fine ultimo dell'uomo è l'”essere-per la morte”, che è stata l'origine della religione.

Non credo sia così. Cerca di fare un rapporto tra l'età in cui un bambino pone sempre "Perché questo? Perché quello?" All'incirca verso i tre anni. Fai un rapporto con l'età media di un adulto oggi (75 anni?), ti indicherà che c'è stato un momento nella storia dell'evoluzione dell'uomo, che assomiglia a quello del bambino, in cui nascono costantemente solo dei perché.Quindi non è la semplice domanda ad essere importante? Perché fare distinzioni sulle qualità delle domande? La cosa più importante è che tu ti ponga una domanda, non quale sia la domanda migliore. Per te che hai occhiali azzurrate sarà più importante una specifica domanda, per un altro sarà un'altra la domanda più importante.

La domanda che mi potrei porre io è: perché ci facciamo le domande.
E la risposta possibile sarebbe perché solo se ci ponessimo domande significherebbe che siamo nella possibilità di porci domande.

Ma non mi sono ancora risposto adeguatamente, perciò mi servo di strade alternative per risposte alternative un po più fattibili, come quella di evitare la sofferenza, o la morte solo perché ne facciamo esperienza. Ma non credi che così ci sbarazziamo dell'unica domanda primordiale, dimenticandoci che è l'esperienza primaria, e cioè quella che determina spontaneamente la possibilità di porci domande ovvero: la coscienza?
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 26-01-2008, 11.45.16   #14
arsenio
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Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Non credo sia così. Cerca di fare un rapporto tra l'età in cui un bambino pone sempre "Perché questo? Perché quello?" All'incirca verso i tre anni. Fai un rapporto con l'età media di un adulto oggi (75 anni?), ti indicherà che c'è stato un momento nella storia dell'evoluzione dell'uomo, che assomiglia a quello del bambino, in cui nascono costantemente solo dei perché.Quindi non è la semplice domanda ad essere importante? Perché fare distinzioni sulle qualità delle domande? La cosa più importante è che tu ti ponga una domanda, non quale sia la domanda migliore. Per te che hai occhiali azzurrate sarà più importante una specifica domanda, per un altro sarà un'altra la domanda più importante.

La domanda che mi potrei porre io è: perché ci facciamo le domande.
E la risposta possibile sarebbe perché solo se ci ponessimo domande significherebbe che siamo nella possibilità di porci domande.

Ma non mi sono ancora risposto adeguatamente, perciò mi servo di strade alternative per risposte alternative un po più fattibili, come quella di evitare la sofferenza, o la morte solo perché ne facciamo esperienza. Ma non credi che così ci sbarazziamo dell'unica domanda primordiale, dimenticandoci che è l'esperienza primaria, e cioè quella che determina spontaneamente la possibilità di porci domande ovvero: la coscienza?

Caro “il dubbio”, precedentemente hai detto che il senso della vita consiste nella possibilità di rispondere a domande, ora di porre domande. Ma non è il fatto irrilevante della possibilità verificata di poterci porre domande, che conta in filosofia; il problema è ben più profondo. E poi perchè lo scopo della vita sarebbe di porre domande? Per provare che esiste la coscienza? Ma qui è necessario fare una nuova digressione dall'argomento originario, deviando sul cogito ergo sum, che tra l'altro non è di Kant, come ho letto in un recente post qui apparso. Quest'ultimo abbandonò l'idea di poter conoscere l'essenza delle cose (criticismo).

Comunque la filosofia consiste nel porre domande maieutiche per condurre a “verità” attraverso l'esercizio del saper ben giudicare le cose, quindi di saper ben pensare, e mai per risposte preconfezionate e definitive. Tuttavia si distinguono quelle domande che non possono avere risposta, senza ricadere in soluzioni dogmatiche perciò non discutibili, non indagabili, la cui ultima risposta non può essere altra che “perchè sì”.
Esempio, solo la religione dà un senso alla morte; in natura lo scopo è il circolo continuo morte vita morte vita, che perpetua le specie. Ma perchè le specie si perpetuano? Che senso ha chiederlo alla religione e non alla scienza? Ovvio che nemmeno la scienza può rispondere sul senso della vita e cose del genere, come dell'origine del tempo e simili, che sono di competenza filosofica, come se penso a “ciò che non è” , in che senso lo faccio esistere, e quindi entro in contraddizione?

Ovviamente certe domande astratte, se intese come esercizio di pensiero,hanno lo scopo di dimostrare che non bisogna mai credere a ciò che si vede,che è una delle basi filosofiche d'ogni tempo. Matrix è fantascienza, e se è esemplificativo in alcuni casi, altre volte viene assunto con superficialità, se prima non si sono elencate le varie forme di “realtà” che finora sono state oggetto di studio da parte delle scienze e di speculazioni della metafisica.
Tornando al “cogito ergo sum”, alla res cogitans, (coscienza o io) è fondamento di ogni conoscenza, ma non è “sostanza”; testimonia qualcosa di esterno, ma non altro.
Se qualcuno mi tocca ho la certezza di essere toccato, ma non che esista veramente una “sostanza” che mi tocca, o la sua origine. L'esistenza di cose esterne non si deve ammettere per fede. “L'io non è una certezza immediata”, dice Nietzsche che fu un acuto critico delle implicazioni cartesiane.
Posso avere la certezza della mie sensazioni, ma non di ciò che suscita la mia sensazione, tornando all'esempio, se qualcuno mi tocca non so quale origine abbia quella mia sensazione di essere toccato.

L'ente, inoltre è qualcosa (tavolo , sedia, cielo, ecc.) Ma l'essere? Il senso dell' “è” è oscuro; ad esempio, cosa significa dire Oggi “è “ sabato?

In ogni caso sono problemi classici, senza scomodare Matrix, affrontati in varie forme da molti pensatori, sempre proposte a studenti, ecc. Ad esempio il problema dei “cervelli in una vasca”. E non so se ci sia ancora molto da aggiungere,considerato anche che tali “problemi appaiono spesso nei forum. Ma quanto sviscerati in modo esaustivo, nei limiti?

arsenio is offline  

 



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