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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
14-12-2007, 22.32.55 | #5 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 24-11-2007
Messaggi: 192
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Riferimento: La cultura per la massa: produzione e consumo
Citazione:
L'esempio di Potter era ovviamente un sintomo di come oggi si ritenga più stimolante leggere romanzi fantastici che qualche libro di saggistica. Anche perchè io credo che non ci si deve attaccare alla scusa "non sono in grado". Con la giusta predisposizione a capire si è anche in grado di affrontare libri cosiddetti "impegnativi" (oddio Psiche e Techne di Galimberti, come molti suoi altri lavori, a mio avviso è di facile comprensione, non è sicuramente un saggio di logica teoretica allo stato puro). L'altro giorno parlavo col mio Prof. di Sociologia all'università, e gli esponevo il pensiero di Galimberti (che tra l'altro sommariamente lui conosceva): lui mi rispondeva dicendo che Galimberti, come altri, è il classico intellettuale del 900, intriso di nichilismo e incapace di proporre soluzioni alternative per le parti che egli intende distruggere. Io credo che nel discorso del mio prof. sia ravvisabile quella che è una contraddizione insanabile del mondo contemporaneo: l'intellettualità che non produce, nel senso di non concretizzare in progetto efficente ciò che va esponendo, viene rifiutata appunto perchè va fuori da quel criterio di efficenza. Questo fenomeno non è limitato all'uomo medio, ma anche agli uomini di cultura attuali, ed è questo ciò che preoccupa: non ci si rende conto che senza una piena e consapevole conoscenza delle condizioni per le quali si sono prodotti i cambiamenti sociali che oggi portano a valutare tutto in termini efficentistici. Si dimentica che non si può solo guardare avanti, perchè oggi la mentalità tecnica non permette di guardare indietro, bisogna andare avanti senza sapere dove si va, mentre invece solo ricercando le condizioni per cui noi siamo quello che siamo possiamo edificare un futuro che non ci sfugga di mano, che non ci renda schiavi di quello che noi stessi abbiamo creato per soddisfare la nostra sete di dominio sul divenire. In questo l'intellettuale svolge un compito indispensabile: non si può pensare di proporre una soluzione che resti nella logica dominate (come fanno coloro che non si accorgono di essere individui massificati, pensando di essere particolari), perchè se si rifiutano quelle critiche genealogiche che indagano tutto il movimento profondo dell'uomo non si fa nulla di diverso da quello che si fa ora. Mi ricollego in questo senso al tuo discorso dell'inutilità con cui oggi vengono tacciati alcuni autori, e penso anche a Severino, tra l'altro maestro di Galimberti, semplicemente perchè non producono cultura secondo lo standard attuale. E d'altronde se io oggi, a 22 anni, vado da un mio amico e gli dico: invece di stare sempre a cercare il divertimento estremo non ti leggi un buon libro, che ti fa aumentare consapevolezza e ti dona una felicità molto più profonda rispetto a una serata in discoteca? No, a quel punto mi guarderebbe male e comincerebbe a sospettare sul mio stato mentale. Il problema è che senza cambiare la mentalità, e questa si cambia solo se si riesce a de-situarsi e guardare il fenomeno da un punto più alto per riconsiderarlo nella sua valenza complessiva, è inutile proporre soluzioni: infatti non c'è terreno culturale per proporle. Per creare questo terreno culturale bisogna pensare diversamente da come si pensa: ma oggi non si è disposti a rinunciare a quelle illusorie sicurezze che gli oggetti ci danno, a quella beata reificazione che riduce i nostri rapporti (e Marx fu buon profeta) a rapporti tra cose, non più fra uomini. La mia grande preoccupazione è che questo fenomeno ormai sia incontrovertibile e che solo una rottura forte del sistema porti a un ripensamento. Difatti non si tratta di negarlo in toto, lo stesso Heidegger che si occupò tra i primi del problema della società tecnicizzata in cui dominava il "si" della quotidianità, ammetteva che comunque i progressi (penso al campo della medicina) tecnici non potevano essere bollati senza distinzione. Ma, e qui torno a Galimberti, è possibile oggi pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione oppure è definitivamente certo che siamo noi strumenti in mano alla tecnica, e lo saremo finchè serviremo come funzionari ad essa? E' una domanda, a mio avviso, decisamente inquietante. |
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