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Vecchio 09-09-2007, 16.33.52   #1
emmeci
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Cosa preferite: commedia o tragedia?

A tutta prima sembra che si debba rispondere: meglio commedia, almeno se s'intende chiedere se si preferisce essere coinvolti in un avvenimento comico o tragico. Eppure il fascino della tragedia è tale d’aver conquistato alcuni fra i più alti spiriti della terra. Ve lo immaginate un Nietzsche immortalato per aver scritto un libro sulla commedia?
Però…..sappiamo veramente cos’è la commedia quando ne vediamo una? Sì, un acuto saggista ha detto che la salvezza può essere l’ironia: salvezza dalla mala sorte, dalla colpa, dalla disperazione. E l’ironia è la radice del comico. Ma l’umanità ha sempre collegato il comico al tragico, intuendo in questo il termine del percorso, la scena reale del dramma e la rivelazione del vero. Potrebbe trattarsi di un riflesso meccanico, tanto comune da apparire banale, come è l’associarsi saltuario o durevole dei contrari: ma per chi sente che qui si gioca il nostro destino è qualcosa di più, una metafisica freccia, una spinta a porre quei termini in una reale sequenza, facendo della tragedia il grado più alto della coppia drammatica. Aristofane ed Eschilo: a chi assegnereste l’alloro? Forse un’unica linfa scorre nelle loro vene, una sola forza di negazione, anche se l’esultanza comica mantiene una tinta per così dire folle e ingiuriosa, mentre la sofferenza tragica sublima gli eroi e sembra portatrice di una misteriosa purezza. Ma ciò che più imbarazza nella considerazione del comico è l’estensione del campo, dal gioco verbale alle più sottili punte satiriche e al deliberato sarcasmo: e proprio ciò che sembra più acuminato e geniale è quanto ne rivela l’essenza, voglio dire: per quanto si seguano le ramificazioni dell’arte, quella volontà di trasformare in effetto comico le disgrazie di un essere, non si trova – non si è mai trovato – il motivo del divertimento, il perché una battuta ci appare riuscita e un’altra mancata, perché a questo punto si ride. Sembra che il comico sia caratterizzato da un’insuperabile contingenza e il tragico dalla necessità: quella che una volta si diceva fato, e forse è piuttosto il momento della grazia mortale, la catena che unisce colpa e dolore, essere e non essere in un unico nodo, che è il nucleo della tragedia e il baleno che si effonde dalle piaghe di un eroico destino. E’ dunque qui il vero discrimine. Non il piacere o il dolore, non il riso o le lacrime, non il flagello e la compassione, ma la contingenza e la necessità; dunque il comico è ciò che può essere, il tragico ciò che è, e il passaggio dall’uno all’altro costituisce il transito alla verità, quello che ha affascinato la coscienza ellenica e le grandi epoche della storia: uno scendere nell’orrore ma anche nella stabilità del giudizio, fino a riconoscere nella morte non solo la conclusione di un’esistenza ma la premessa della catarsi – strappando dal coro comico il coro tragico, dall’umanità un’altra umanità e dal destino un altro destino.
Dunque, se è lecito tornare alla domanda iniziale: sareste contenti se la vostra vita terminasse nel lazzo di una riuscita commedia?
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Vecchio 10-09-2007, 02.24.47   #2
Crono80
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Riferimento: Cosa preferite: commedia o tragedia?

preferisco la tragedia.

Aristotele ammetteva ke qllo ke c fa soffrire e inorridire nella realtà c attira inesorabile qnd è visto in finzione.


Non so se davvero comico sia contingente e tragico sia escatologico quasi, o cmq elevato a livello d "destini" e stereotipi d vita completa e vissuta da inizio a climax fino a distruzione o redenzione...forse anke la tragedia a puo' mostrare una natura piu contingente. (ma cme genere e classificazione letteraria nn oso certo dar contro a emmeci exendo io ignorantone in materia e nn potendo ke imparare qui in qsto forum, e se ho capito male riprendetemi pure eh!).


Ma vorrei sottolineare una cosa ke s legge tra le (prime) righe: comicità o tragedia in fondo sn due modi complementari x esorcizzare paradossi, paure, limiti d qsto nostro esistere, della ns stessa mente e qndi alla fine un modo d cercare la verità, o d simulare la sua ricerca, magari anche superbamente autocelebrando il ns ego.
Cmq l'importante è ke servano a metterci davanti (cn cinismo e crudeltà oppure cn analogie vertiginose e divertenti o prosaiche) alle fasi critiche della vita in tutte le loro contraddizioni.
solo qnd c accorgiamo d qste fasi infatti possiamo cn l'immaginazione (unica vera ns arma primaria) rompere gli schemi assodati e proseguire verso la verità, avvicinandola a tentoni, ma pur sempre cn maggior consapevolezza , non fosse ke qlla d "sapere d nn sapere".

cmq xi miei gusti preferisco la tragedia alla commedia.

e quindi....nn amo le censure .

ciao!
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Vecchio 10-09-2007, 16.40.45   #3
emmeci
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Riferimento: Cosa preferite: commedia o tragedia?

Certo i casi della vita, il diverso grado di sensibilità, educazione, carattere, sembrano rendere impossibile stabilire un giudizio che riguardi l’umanità – anche se siamo abituati a esprimere universali opinioni magari chiacchierando in attesa dell’autobus…..Dunque è troppo aver chiesto a degli appassionati filosofi se, dovendo interpretare la vita come un dramma teatrale, preferirebbero che fosse una commedia o una tragedia? Ma lasciamo stare, Crono e, se vuoi, senti come io son giunto a pormi questo problema quando ho letto per la prima volta i drammi di Eschilo e Sofocle, riconoscendo in essi non dei semplici mezzi per esorcizzare le paure dell’esistenza cioè degli strumenti magici ma, come tu dici, mezzi per arrivare senza paura alla verità….
Dunque quando per la prima volta sentii il fascino di quella tragedia, mi parve che il vero problema stesse nella necessità di scoprire, al di là della travolgente potenza dell’espressione, quale senso potesse avere una “rivelazione tragica” per un pubblico educato sulle visioni di Omero, cioè su una cultura che dal mito traeva la forza di abbracciare totalmente la vita, tanto da non avere più bisogno di credere negli dei – e neppure in una moralità come forma superiore dell’esistenza. Un eroe, una stirpe, un popolo. Un’azione e una gesta. Ed è di fronte a questo gloriarsi dello spirito ellenico, a questa certezza o presunzione di un’esistenza compiuta e prossima a una vittoriosa affermazione nel mondo, che la tragedia fa la sua improvvisa comparsa: il mistero delle sue origini era, per me, tutto qui. L’ira è la colpa, l’eros è colpa, la figura eroica è la figura tragica cioè la figura dannata: così almeno vuole la logica tragica, che sembra affidare ai geni futuri il coraggio di portarla avanti e di estenderla oltre le mura di Atene. Ho detto che la catastrofe è la realizzazione del male: ma è, nello stesso tempo, la sua soppressione, ed in questo sta la fondamentale ragione della cosiddetta catarsi. La catastrofe è la catarsi: ciò che compie ed elimina l’azione eroica – come una nera specie di grazia – almeno nelle tragedie più alte, che toccano d’altra parte il fondo di una coscienza, pronta ad andare avanti abbandonando gli spalti di Atene per scuotere altri cervelli e altri popoli, strappando alla storia la sua essenza mitica e proseguendo la sua missione. Nessuna gesta è innocente. L’eroe è negato da sé. La morte rischiara la scena spogliata di quell’istrionica larva.
Così si configura la prima interpretazione possibile della catarsi tragica: se la morte, cioè la negazione fisica dell’eroe, è l’unico mezzo di purificazione. E tuttavia non si tratta già più di un evento fisico, poiché, se l’azione dell’eroe era colpa, la sua morte diviene in qualche modo un’espiazione e si afferma attraverso di essa il valore della giustizia. Per un colpo un colpo, per un sangue versato un altro sangue versato: la schiatta si trasmette questo segreto e si fa, contro ogni illusione, il processo da sé. La giustizia non si afferma sempre e sembra schernire sé stessa? O è la nostra mente incapace di seguire gli itinerari del dardo fatale? No, la giustizia non è minacciata da sé ma da una potenza più alta. Ed è qui che si spiega la vera funzione del coro – questa suprema invenzione dei Greci.
Il coro è l’altro popolo greco, cioè il popolo inventato dal genio per sostituire – in senso esaltante o vendicatore, lirico o tragico, quello della città reale, radicato nell’ethos eroico e in una percezione mitica inconsumabile. Il coro tragico ha però una prerogativa supplementare: esso sostituisce il pubblico del teatro, incapace di seguire un genio così diverso da quello di Omero, non tanto nelle sue sorprese espressive, quanto nel rovesciamento della coscienza, nel seguire e nell’uccidere il mito e insegnare qualcosa che diventa una condanna degli spettatori. I satiri sono il popolo altro. Sono esseri che trascendono il fango terrestre, lo sperma della natura, sono gli esseri che non sanno diventare eroi, che sanno solo gemere e contemplare, che cercano di compatire e comprendere – e soprattutto non partecipano all’azione scenica – qui la tecnica è trascinata dalla coscienza e il coro è un aprirsi a un sapere e un’etica nuova: a qualcosa che sembra negato ai protagonisti e che nel coro stesso appare inafferrabile e perfino illogico. Eppure la presenza del coro è assolutamente evidente, esso è ciò che circonda l’evento, che soffre l’azione nella sua intera parabola, che accoglie il trionfo e l’agonia degli eroi. Ed è ciò che sopravvive alla morte, perché alla fine è pietà.
E’ questo, a mio parere, il più profondo significato della catarsi. Sfuggente allo stesso genio teatrale, e naturalmente al pubblico del teatro, improvvisamente nato, rapidamente perduto, quando lo stesso poeta poteva smarrirne il significato ed essere trascinato a sognare e rappresentare altre catarsi, più facili, più civili o magari selvagge, comunque più comprensibili alla Grecia reale.
emmeci is offline  
Vecchio 10-09-2007, 17.59.59   #4
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Riferimento: Cosa preferite: commedia o tragedia?

caro Emmeci,

scusami, ma m sn sentito cullato dalle tue parole come probabilmente lo era il popolino greco dai cori delle prime tragedie, che s presentavano innanzi a lui cn irriverente novità e crudezza, io cme quel popolino nn ho potuto nn sentirmi in empatia cn il tuo profondo coro, ma purtroppo d emaptia solo emotiva si tratta.
Sapevo, o meglio temevo, che m sarebbe arrivata una tirata d'orecchie a rispondere a qsto post...perchè in effetti al di là dell'interpretazione diciamo generale e profonda, ma poetica e umana, che tu dai, io preferivo concentrarmi sulla solita interpretazione diciamo piu' fattuale e meccanica che cerca di spiegare il (ed afferisce al) senso del pensiero umano che s fa teatro e in qsto caso teatro tragico, o fiaba o commedia.

leggendo attentamente, trovo cmq interessante la tua teoria, anche se confesso d nn capirla appieno...io nn sn (ma già lo ricordavo) conoscitore della letteratura greca e del teatro greco, quindi m spiace ma al di là d qsta simpatia xil tuo commento e d qsto senso di plausibilità che esso suscita in me, proprio nn saprei che dirti

Lascio campo quindi a utenti piu' capaci ed interessati d me in qsto ambito che sicuramente approteranno un contributo nel senso che tu, emmeci, chiedi e ritieni opportuno.


ciao! anzi...al prossimo post (...speremo d fisica o filosofia della scienza )
Crono80 is offline  
Vecchio 11-09-2007, 09.02.32   #5
emmeci
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Riferimento: Cosa preferite: commedia o tragedia?

Preferirei, Crono 80, discorrere ancora una volta con te, visto che la Grecia per noi ha iniziato tutto, cioè non solo l'arte ma la scienza e la filosofia.
Ammetto che è difficile rispondere alla domanda che un po' avventurosamente ho lanciato, e io stesso non saprei darla affidandomi alla momentanea impressione che un caso lieto o sgradevole può aver suscitato in me ……E se è lecito citare sé stessi, potrei dire che la tragedia (quella canonica, esemplificata dai greci e da Shakespeare) mi ha svegliato la mente, non solo per lo shock di quelle terribili favole, ma anche per la pace che alla fine sembrava venire di là – quella misteriosa catarsi che Aristotele aveva in certo modo reso banale, ma che poteva essere interpretata come la rivelazione che suscita l’agonia di un eroe e che poteva indicare, al di là della giustizia di Zeus, la grazia di una mitica redenzione.….Certo non sempre la catarsi prodotta da una tragedia mi sembrava tale da rappresentare la soluzione del dramma, quando questo finiva con l’assoluzione legale dell’Orestea, con la beatificazione di Edipo o, peggio ancora, con la ridda e il fremito di quell' “atto satiresco” che usava chiudere la tetralogia greca per lo spasso degli spettatori - oppure anche la soluzione farsesca aveva il valore di una morale risoluzione? E poi, siamo tutti disposti a riconoscere nella drammaturgia ellenica un esempio valido per la storia dell’uomo, così piena di imprevisti, di chiaroscuri, di sventure che non sono causate da repentine ire di demoni, ma scavano ostinatamente nel nostro cuore? Non è questa piuttosto la vera tragedia, quel rodere di un verme dentro di noi, quel progressivo avvelenarsi delle cellule e dell’intelligenza? Insomma, ammetto che ricorrere al modello greco significa sublimare ma anche imprigionare la vita del mondo. Dunque, per tornare alla domanda iniziale, forse non c’è risposta possibile, e il più saggio è colui che - al di là delle pretese di un adoratore dell'Ellade - si apre egualmente a commedia e tragedia, in modo da poter affrontare con meno certezze ma con maggiore agilità e tempestività il proprio destino?
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Vecchio 11-09-2007, 19.15.07   #6
Socrate78
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Riferimento: Cosa preferite: commedia o tragedia?

Non saprei, le apprezzo entrambe, anche se la tragedia può essere più utile per comunicare un chiaro messaggio morale:non a caso è un valido ausilio nell'apprendimento della filosofia greca. Anche la commedia, però, può avere aspetti quasi tragici e perfino nel tragico si possono trovare aspetti comici, che danno origine al grottesco:la vita stessa altro non è se non una tragicommedia,il ridicolo e il drammatico sono onnipresenti.
Prescindendo dalla morale, si potrebbe anche ridere di tutto:il grande drammaturgo Pirandello non a caso definiva il comico come "il sentimento del contrario". Ogni anomalia che spezza la routine e le aspettative comuni può suscitare anche l'ilarità:successivamente, però, la ragione e il nostro senso morale ci portano a drammatizzare.
In fondo, però,io credo che l'uomo sia istintivamente più disposto al riso che non al pianto.
Ciao
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Vecchio 12-09-2007, 10.45.30   #7
emmeci
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Riferimento: Cosa preferite: commedia o tragedia?

Sì, Crono80, la Grecia è per noi tutti “il principio”, e non tanto per aver creato un’arte, una letteratura, una scienza e una filosofia che avrebbero plasmato la nostra umanità per millenni, ma per aver dato inizio alla storia: ed è questo per me ciò che distingue i Greci dai popoli la cui cultura era ed è in gran parte ancora imprigionata dalla religione (in una specie di liturgia culturale), mentre i Greci hanno fin dall’inizio confinata la religione in una sorta di limbo riservato a misteri, miti orfici e massime sapienziali, piuttosto che rivolgerla alla litigiosa e bonaria famiglia d’Olimpo, senza tuttavia mai creare una chiesa e tanto meno un’ortodossia, consegnando semmai il bisogno del sacro al genio di artisti e poeti e alla superstizione del popolo, ma lasciando libertà suprema ai filosofi (il caso di Socrate è un caso politico, non filosofico!) finché il mutato clima mediterraneo con la voga delle religioni d’Oriente spingerà i Greci a crearsi una "filosofica religione"…..Insomma, noi siamo figli della Grecia che – effetti del caso? – aveva d’un colpo raggiunto quell’ 1,23% di differenza che sembra, secondo la scienza, distinguere il nostro genoma da quello degli scimpanzè.
Piuttosto, per non abbandonare del tutto il tema iniziale e per rispondere in qualche modo a Socrate78, che giustamente evoca il pirandelliano “sentimento del contrario” per giustificare l’umorismo e, presumibilmente, la comicità, direi che la difficoltà di porre a livello più alto il comico (con la sua cattiva e ridanciana crudeltà verso la creatura beffata) può essere ridotta meditando sull’esperienza del più universale drammaturgo che sia mai esistito, cioè Shakespeare, che non soltanto alternava nel suo impegno di uomo di teatro la creazione di commedie e tragedie, ma ha operato una sorta di sublimazione della commedia passando dal modello classico - banalizzato dall’italiana commedia dell’arte e contrassegnato dall’equivoco, dal gioco di parole, dalla bastonatura e dalla beffa - alla commedia del sogno, che sembra risolvere la trama nell’infinito….Una comicità che può presentarsi perfino come la risoluzione finale del genio drammatico, quasi che soltanto chi si volgesse, alla fine della sua carriera, a considerare l’evento tragico come un sogno, potrebbe aver trovato non solo la pace ma una sorta di redenzione. Dunque commedia come ironia ed esperienza dell’infinito: che è quanto mi sembra d'aver intravisto già nel porre il problema: “commedia o tragedia?”
emmeci is offline  
Vecchio 12-09-2007, 10.57.58   #8
Crono80
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Riferimento: Cosa preferite: commedia o tragedia?

si, in un certo senso è anche cme dice Socrate78.

Tornando al discorso d prima pero’, la tragedia cn la sua catarsi finale o la sua risoluzione forse, caro emmeci (se ho capito bene) la interpreti probabilmente in modo quasi nichilista, cioè a dire uno stadio in cui l'eroe ha affermato si sè stesso (quasi cme il superuomo al di là ache della giustizia e della morale consolidate, rompendo gli schemi e addirittura proponendo una nuova morale, un nuovo assoluto, fatto proprio dalle azioni senza se e senza ma del protagonista) ma sapendo al tempo stesso che quello era l'unico modo per dar senso al suo eterno presente poichè nella vita tutto il resto (gioie e tormenti) sono vane illusioni. Se nn fosse che cmq per la tradizione greca esiste un aldilà cn delle divinità ecc...sembrerebbe buddismo secondo cui l'io dei desideri alla fine s accorge della terribile fragilità delle cose e diviene esso stesso effimero e si annulla in
Un assoluto ma che nulla ha a che vedere cn il mondo…un assoluto stato d pace e d redenzione dal dolore e dalle illusioni della gioia. Solo qsta sprezzante consapevolezza d affermare il proprio io immanentemente ma cmq sempre al di là d tutto (forse unico modo x poter davvero restare nell’eterno presente del mondo che prosegue la sua strada attraverso varie epoche ovvero exere ricordato nella storia dell’uomo) mosso all’inizio da “cose” terrene ma poi (cio’ che accoumuna molti eroi) destinato all’assoluto e alla liberazione, solo qsta volontà ferrea giustifica il fatto che il superuomo abbia diritto a porsi al d là del bene e del male, al di là del mondo, proprio xchè ha in primis ucciso il suo vecchio sé stesso ed è teso verso una spirale vertiginosa di volontà assoluta, di eroismo fine a sé stesso e di nulla.
Insomma sembrerebbe una vita da superuomo-buddista ma inserita in una cornice teleologica di redenzione ultima anche a livello di aldilà (campi elisi (beh qsti erano romani…ma cmq….il concetto è qllo), vita da dio nell’olimpo ecc).

Cmq, x il rispetto che ho d una mente elegante cme la tua, emmeci, sempre pronta a confronti non banali e appassionati, volente o nolente debbo cmq risponderti.
Ma la mia risp forse nn t piacerà.
(Premetto sl una cosa ad emmeci: scrivi in modo molto bello ma xme complesso e pieno d riferimenti colti, e onestamente nn ho capito tutto …)
Leggendo le tue interpretazioni (ripeto molto plausibili ex-post) m rendo sempre piu’ conto che cmq qsti “fini” o qsti “sensi di valore” della tragedia o della commedia non sono altro che un’ennesima tragicommedia (cme diceva Socrate78 ), in quanto nn sn altro ke il desiderio d spiegare e d inquadrare in modelli organizzati e comprensibili le cause della ricerca dell’uomo (in qsto caso cme conoscenza mitizzata dei grandi temi della vita (tragedia) e delle piccole cose del quotidiano che cmq le donano quel sapore unico (commedia??)).
Secondo me infatti sicuramente ki scrisse le tragedie greche nn aveva in mente in modo esplicito e propriamente conscio i fini, che tu emmeci, fai emergere interpretando oggi gli scritti di allora (ma infatti lo dicevi anche che spesso lo stesso poeta nn sa a priori e consciamente quello che poi sarà l’anima della sua opera, qll’anima poi condivisa dalle altre soggettività che s fa convenzione e resta nell’immaginario collettivo come arte).
Però ritorno al mio discorso iniziale, xme, gli scritti classici in questione sono un tentativo di ricerca del vero, un tentativo intuitivo di raggiungere un assoluto, di “vedere le cose fuori dal sistema delle cose stesse, trascendendolo”, di dimostrare lo stupore xil paradosso e (cosa tipicamente umana) di chiedersi cmq un perché.
La catarsi finale allora forse nn è altro se nn una presa d’atto dei ns limiti ma anche e soprattutto, della ns irriducibile tensione a superarli. Quindi una sorta d superba e orgogliosa rassegnazione che porta l’eroe alla pace, che lo porta ad aver assaporato la’assoluto (o cmq un riflesso d esso), anche solo xun istante, certo però che nell’aldilà la sua consapevolezza sarà cmq perpetuata, di piu’ onorata. (I buddisti per es. fanno un passo in piu’ smascherando acnhe qsto residuo di “egoismo” , vedendo cme illusione anche lo stesso al di là).

Di piu’ nn saprei dire…e ora se sn andato ancora fuori tema…farò, NON come l’eroe, ma come l’umile gregario che è pronto a prendersi la strigliata (in qsto caso, io x vergognosa mancanza d cultura artistica-umanistica sul tema trattato). Mi aspetto quindi che da te m arrivi tosta la soluzione del koan che chiede quale sia il suono d una sola mano (cioè ‘no scappellotto in testa XD) se t ho fatto perdere tempo cn discorsi ancora, e per l’ennesima volta ahimè, che nn c’entrano.

Aggiungo sl ke in fondo anche l’arte è un sapere (mediato, analogico, non scientifico) e cmq un altro modo x evocare a noi qlle contraddizioni che, se sappiamo aggirare cn l’immaginazione, c portano a gradi d consapevolezza piu’ elevati e c avvicinano all’assoluto.
In fondo è tutto un modo x dare forma e intelligibilità al ns abisso interiore anche se mai s riuscirà a farlo xvia diretta ed empatica ma solo mediata…ecco un’altra ns tragedia….

ciao
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Vecchio 12-09-2007, 15.02.16   #9
emmeci
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Riferimento: Cosa preferite: commedia o tragedia?

No, Crono80, non sei lontano tu da questo mio modo di esprimermi, sono io che non mi so avvicinare con maggiore umiltà al linguaggio degli altri, come forse riusciva a Socrate fra i suoi giovani amici, magari con un pizzico d’ironia verso la tragicomica danza di vita e pensiero….
Sì, può essere che io attribuisca ai drammaturghi greci dei fini che essi non si erano posti, ma d’altra parte tu sai che l’ermeneutica – oggi il più completo e libero modo di interpretare i testi passati - permette questo senza necessità di chiedere venia ai lettori (un testo è da considerarsi un eterno presente).
Ma ciò non significa che, se anche le nostre idee dovessero suscitare troppe obiezioni e durare per altre giornate, il nostro filosofico impegno non punti a una verità assoluta – quella che tu stesso evochi nelle tue appassionate ultime righe….
emmeci is offline  

 



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