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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 30-07-2007, 09.35.02   #1
emmeci
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La morte autentica

Difficile dimenticare due frasi heideggeriane. La prima: “noi siamo gettati”, che riassume l’evento magico di una nascita e lo stupore di trovarci qui, a discutere di filosofia mentre milioni di esseri muoiono senza sapere perché….Ciò che fa accogliere quasi come una grazia le parole che Trismegistos scandisce: “noi siamo stati, saremo se saremo ricordati, non saremo se saremo dimenticati”. O bisogna credere all’altra celebre frase heideggeriana, che il valore dell’uomo si dimostra quando la sua fine è una autentica fine? Bella frase, anche questa, seppure un po’ sibillina. Perché non è chiaro veramente come dev’essere questa morte autentica: quella di cui si comprende la necessità inevitabile? Quella che si affronta come una morte voluta? Quella che si ha davanti a sé per tutta la vita per farne uno stimolo non alla chiacchiera ma a vivere nella pienezza del proprio Da-sein? Quella che schiva ogni suasivo conforto, perfino il conforto che può dare il fantasma di un dio? O vi pare sensato ciò che diceva il filosofo stoico alla morte del figlio: “sapevo, generandolo, che non era immortale”?. Ci sono termini e motti che conservano un inalterabile fascino anche se non sappiamo perché.
Ma vorrei invitarvi a trovare che cosa può dare a una morte un’aureola di autenticità chiedendo, innanzi tutto, qual è la ragione che spinge, davanti all’insensatezza di un generare che porta alla fine, a rispettare se non esaltare questa funzione. E’ l’illusione di cui ci accusano i filosofi indiani, o una specie di freudiana coazione a ripetere? E’ la nostra libido, o quella specie di corrispondenza fra l’assurdità della nascita e l’assurdità del morire che mette in pace lo spirito rendendo ridicolo il ribellarsi – come pur qualche filosofo ha fatto – alla lama che pende sul nostro capo? O bisogna credere a sant’Agostino che invoca di fronte alla morte l’angelo del signore? Ma che direbbe a questo punto l’avvocato del diavolo: che forse è proprio questa la sua raffinatissima astuzia, il farsi credere l’angelo del signore, in modo da non parare ma andare in cerca del colpo di grazia? O è inutile cercare un perché ed è solo questione di un ciclo biologico che toglie alla vita e alla morte il loro alone di sacertà rendendo inutili e forse insincere le frasi di qualche filosofo?
Così questo impulso che vogliamo definire biologico, questa irresistibile spinta se non quest’obbligo a generare e insieme condannare una vita ottenuta per caso – questa fede nell’evoluzione che non rappresenta nessun perfezionamento del mondo - sarebbe riposto qui il segreto dell’autenticità della morte, che chiede di abbandonarsi all’indifferente corso della natura senza nobili fantasticherie e senza sospettare che susciti il piacere di un demone o forse di un dio che crea le sue forme per sacrificarle e ride delle nostre superstizioni morali, del nostro bisogno di esorcizzare la morte, o più semplicemente asciugare le lacrime di chi ha assistito allo strazio di un corpo che sembrava immortale? E’ questo semplice e rude, fisico evento che rappresenta, sotto qualsiasi cielo, l’autenticità della morte; e che vale dunque una bella frase quando basterebbe una sola parola per renderci un poco più amica questa dolorosa ma in fondo banale vicenda? Forse basterebbe l’inutile parola pietà.
Quella che pur si vorrebbe sentir suonare nel momento dell’agonia di un essere amato, e che potrebbe aiutare a credere per qualche istante in quella luce che si vede là in fondo e che nessuna disperazione riesce a offuscare perché anzi è la morte che sembra accostarla a noi, aprendo al nostro respiro il cielo e la terra in uno sbocciare di fiori sopra la nostra tomba….Sì, la morte autentica è quella di colui che sa che la pietà non è quella di chi gli sta attorno a vegliare e bacerà il suo cadavere, ma quella di quegli esseri che lo accoglieranno come fratello nel momento che morendo si aprirà alla vita degli altri.
Ho perso anch’io qualcosa di insostituibile come una parte di me e ho vissuto il suo strazio durante i mesi dell’agonia, cercando di far arrivare in alto un gemito di pietà, ho perfino pensato che la pietà è cosa degli uomini, immaginando che potrà – ma come? ma quando? – contagiare anche Dio. Eppure non c’è bisogno di attendere, perché il vedere quel corpo unirsi alla terra è quello, forse, il solo momento di grazia – la grazia della vita e non della morte, che sembra rispondere con la pietà alla nostra pietà.
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Vecchio 07-08-2007, 08.52.34   #2
paperapersa
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Riferimento: La morte autentica

Citazione:
Originalmente inviato da emmecifine

ma quella di quegli esseri che lo accoglieranno come fratello nel momento che morendo si aprirà alla vita degli altri.
Ho perso anch’io qualcosa di insostituibile come una parte di me e ho vissuto il suo strazio durante i mesi dell’agonia, cercando di far arrivare in alto un gemito di pietà, ho perfino pensato che la pietà è cosa degli uomini, immaginando che potrà – ma come? ma quando? – contagiare anche Dio. Eppure non c’è bisogno di attendere, perché il vedere quel corpo unirsi alla terra è quello, forse, il solo momento di grazia – la grazia della vita e non della morte, che sembra rispondere con la pietà alla nostra pietà.


Se l'amore è infinito, come la vita, anche se subiamo una perdita quando
un essere amato se ne va e ci manca la sua forma è giusto chiedersi
cosa realmente ci manca? l'amore che diamo o quello che riceviamo?
E' possibile separarli? No! poichè l'amore, come la vita esistono sempre!
Con la perdita fisica di un essere ci sembra che si sia interrotto un particolare flusso d'amore, che sia crollato un ponte, ci sentiamo aridi, ci sembra impossibile tornare ad amare, a dare, a ricevere.
Ci sembra che solo quel ponte poteva farci attraversare il fiume della vita e che nessun sostituto potrà andar bene....eppure troveremo altre strade, non per rimpiazzare o sostituire, ma per i loro meriti, Amare di nuovo è naturale,
come le lacrime.... L'AMORE E' ed è quello che abbiamo amato nel corpo fisico
che lo incarnava. Noi mettiamo sempre sullo stesso piano l'oggetto dell'amore e l'amore. Quando una persona cara ci lascia ci affliggiamo perchè pensiamo di avere perso il suo amore, ma esso non se ne è andato da nessuna parte. Contiunua ad esistere ed arriva a noi nei modi più impensati.
L'amore è troppo grande per poter essere limitato e l'Universo ci rifornisce sempre di questa forza e bellezza. L'amore non è mai assente siamo noi che immersi nel dolore chiudiamo le porte ad esso e con esso alla vita.
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Vecchio 17-08-2007, 06.39.20   #3
emmeci
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Riferimento: La morte autentica

“La morte è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come se fossi nascosto nella stanza accanto….” Forse è uno sbaglio cercare consolazione nelle parole di un santo o un filosofo, e mi domando: può la nobile retorica di Agostino dare conforto a chi è stato colpito dallo scandalo della morte? Non significa un voler esorcizzare la morte invece di immergersi in essa per trovare…che cosa? Un significato? Una dimostrazione? Forse una grazia? E non sarebbe sempre un atteggiamento da primitivi; che cosa può dare a noi, esseri civilizzati, che possa ristabilire lo splendore dell’essere sulla tenebra che l’ha offuscato o, più semplicemente, asciugare le lacrime di chi ha assistito allo strazio di un corpo che sembrava immortale? Eppure proprio questo ha rappresentato uno stringente, continuo impegno dell’uomo sotto qualsiasi cielo e in qualsiasi tempo - la ricerca di quella parola magica che ci faccia capire perché, e ci renda in qualche modo amico questo mistero.
Gli etnologi spiegano che il primitivo cercava di ristabilire, con mezzi rituali, l’ordine sconvolto dalla morte, il pericolo che poteva venire da fantasmi vaganti, o sostenere colui che doveva superare le prove di una lunga strada…e, in fondo, anche oggi non facciamo che ripetere questo rito, fino a che tutti, davanti agli idoli della tribù, ci mettiamo il cuore in pace. Poi, con l’aiuto della filosofia, l’uomo deve aver cercato un conforto più razionale allargando il suo sguardo alla storia che fiorisce sopra miriadi di morti e rovine di popoli e civiltà, ed è sempre pronta a farti credere un vincitore e a trovare in te stesso, nel fatto che vivi, la giustificazione di quello sconvolgente mistero. Il risultato è stato, per noi occidentali, una religione senza problemi, la fede in una salvezza che non poteva essere rimandata al dì del giudizio ma stava qui, nella vita e non nella morte, che non t’impegna per molto e costa al massimo qualche lacrima e una domanda a cui non segue risposta.
Troppo duro sulla morale di un mondo al quale il caso ci ha consegnati?
Certo l’uomo ha qualcosa di meno o di più della sapienza dei santi e dell’apatia delle fiere, qualcosa che lo comincia a corrodere davanti alla famiglia, al villaggio, alla nazione, a un’umanità che pure si strazia le membra: una pietà che sembra essere una proprietà o una mania di questo pianeta di fronte al fuoco gelato del cosmo….E che cosa poteva portare di consolatorio una scienza che aveva distrutto ogni illusione che l’uomo avesse nutrito di essere il beniamino di Dio e il signore del mondo?
Pietà….forse ciò che l’uomo sente nel momento della morte di altri esseri e alla fine di sé è qualcosa che cancella la colpa d’origine, il male delle nazioni, e che ha attraversato il cosmo fino a giungere a noi - e non ci insegna il divenire del cosmo che è questa la verità, che l’aprirsi al tutto è l’unica morale che lo accompagna, il solo scopo a cui tende? Un aprirsi che potrebbe essere inteso come uno sforzo per raggiungere l’infinito…. Forse è questa la sola luce che può illuminare la morte di un idiota o un eroe – cioè la catarsi della tragedia - questo pensiero dell’infinito che contiene il supremo significato di questo rincorrersi di vita e di morte, la risposta alla domanda: perché il nulla invece dell’essere?
Non sono parole….Ho perso anch’io qualcosa di insostituibile come una parte di me e ho vissuto il suo strazio minuto per minuto durante i mesi dell’agonia, cercando di strappare a Dio una dimostrazione di pietà, ma ho dovuto capire che la pietà è cosa degli uomini, fino a farmi immaginare che la nostra pietà potrà un giorno contagiare Dio. Riconoscendo alla fine che proprio l’universo creato da Dio poteva insegnarmi qualcosa, cioè che la morte è un invito ad aprirsi agli altri anzi un aprirsi a tutto – a raggiungere almeno col corpo quello che il pensiero dovrebbe sapere, cioè che l’unica moralità, l’unica salvezza è, per ogni essere di questo universo, vivere nell’infinito.
emmeci is offline  

 



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