Come ho già avuto più volte modo di esprimere uno stato laico, che garantisca la libertà di coscienza per le scelte che riguardano la vita privata degli individui, è certamente più vivibile di uno stato che tende ad imporre i suoi valori anche nella sfera privata.
Il governo di un paese dovrebbe avere come cura principale l’amministrazione della cosa pubblica, cioè di tutte quelle strutture ed istituzioni che non sono private. Le leggi, che poi sono codici, dovrebbero presentare una serie di norme asettiche che non entrino nel questioni del bene e del male morali, ma che indichino un bene ed un male funzionale. Per intenderci dovrebbe essere come il codice della strada, la cui unica preoccupazione è che il traffico scorra in modo fluido.
“ Ciò che è bene e ciò che non è bene” dovrebbe incastrarsi nei codici dello stato laico e svilupparsi poi nelle vite dei singoli individui, in accordo con l’intimo sentire e l’appartenenza ad eventuali sistemi religiosi o filosofici, che i singoli cittadini abbiano liberamente scelto.
La neutralità dello stato di fronte ai sottosistemi filosofici e religiosi garantirebbe il florido sviluppo delle diverse religioni e filosofie, evitando la prevaricazione di alcune sulle altre.
Un personaggio illuminato, di grande spessore morale, e profondamente credente, quale fu Mohandas Karamchand Gandhi, meglio noto come il Mahatma Gandhi, volle per la (sua) India profondamente religiosa e mistica un governo laico. Viceversa il separatista Mohamed Alì Jinnah ateo e non credente, assetato di potere, diede origine alla nazione fondamentalista del Pakistan.
Temo che l’Italia clericale e papalina, dietro i reiterati inviti alla ragione, sia ancora incapace di scindere i problemi di gestione della cosa pubblica dai problemi di gestione delle coscienze e che, mantenga l’intento “talebano” di continuare a volerci dire non solo dove è meglio che passi un autostrada o dove è meglio costruire un acquedotto, ma anche con chi è meglio andare a letto e cosa fare o non fare sotto le coperte, e questo con una grande perdita di libertà, quindi anche di civiltà.