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Cultura e Società - Problematiche sociali, culture diverse. >>> Sezione attiva sul forum LOGOS: Tematiche Culturali e Sociali |
31-10-2004, 04.47.56 | #3 |
Ospite abituale
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Ciao Giuliano
Sono contento che qualcuno abbia risposto al tema proposto da me come arricchimento culturale.
Bhe, sul sciovinismo ne ho sentito diverse di opinioni. Gli stessi amici giapponesi addirittura, si dichiaravano un popolo razzista. E' vero, esiste una discriminazione estetica di popoli di categoria A, B, C, etc, ma più a livello burocratico che politico. Così è altrettanto vera la sopravivvenza del maschilismo e orgogolgio nazionalista in Giappone e resto dell'Asia. Inquanto al sogno del "Grande Giappone" ti posso rassicurare che è il residuo di pochi nostalgici, però. La gioventù giapponese mi sembra alquanto indifferente o demotivata di fronte all'idea di conquista. Sulla discriminazione: http://www.gesuiti.it/popoli/anno1997/10/ar971004.htm tanto da far notare la realtà di tutti i paesi industrializzati. Ripoto, sempre dal WEB anche il seguente: Koujou, la chimerica fabbrica del samurai di Cristiano Martorella Fra i diversi tentativi di descrivere l'apparato industriale giapponese e il suo modello economico, va ricordato il suggerimento proposto da alcuni studiosi di accostare la figura del manager nipponico all'antico samurai. Questa fascinazione si è rapidamente diffusa, senza nessun preventivo controllo, tanto da coinvolgere sia studiosi sia giornalisti e opinionisti, arrivando ad essere un'idea molto comune. L'accostamento della figura del samurai e dell'imprenditore è avvenuto in modo astratto e dilettantesco, tanto da provocare confusioni ed equivoci su due piani diversi e importanti. Il primo piano riguarda lo studio dell'economia, sfalsato da questo modello, il secondo quello della sociologia che rischia di rifiutare quei tratti culturali realmente esistenti a causa del rigetto di questo modello. Prima di approfondire questo tema, vale la pena segnalare alcune opere che hanno risentito del modello riduzionista del samurai. Francesco Gatti, profondo conoscitore della storia giapponese, ha scritto un discreto saggio intitolato La fabbrica dei samurai. Non soltanto il titolo suggeriva la possibilità di identificare il samurai e l'industrializzazione, ma gran parte del saggio suggeriva che le gerarchie del Giappone moderno fossero un'eredità dell'epoca feudale. Ciò è soltanto in parte vero. Il rischio di un riduzionismo di questo modello avviene nella mancanza di una comprensione complessiva dei fenomeni di interiorizzazione dei valori e della dinamica sociale. In parole semplici, l'idea che i samurai si fossero riciclati come imprenditori era affascinante, ma non spiegava come ciò fosse accaduto. Appellarsi alla "cultura" non era sufficiente, anzi indicava la necessità di spiegare come fosse stata prodotta la cultura (sia quella della classe dominante, sia quella popolare). Insomma, il samurai non era più una figura storica (con la Pax Tokugawa aveva perso il suo ruolo di combattente fin dal XVII secolo), ma era divenuto il soggetto di un'idealizzazione. Questo non significa che si sia ridotta la sua importanza, anzi si può dire proprio il contrario. L'idealizzazione del samurai fu usata un po' da tutti in Giappone (classe dirigente, ceti popolari, scrittori, etc.) divenendo un elemento dell'immaginario molto potente. Un personaggio che affollava non soltanto le tradizionali opere del teatro kabuki, ma anche i modernissimi cinema, le serie televisive, perfino anime e manga. Gli studi sociologici sul Giappone, profondamente viziati da impostazioni ideologiche, hanno risentito di questo potere immaginifico, ciascuno a suo modo. Per Karel van Wolferen, autore di Nelle mani del Giappone, la mentalità del samurai si manifesta nel Giappone moderno mai adeguatamente sviluppato democraticamente e tenacemente ancorato all'ideologia feudale. I pregiudizi di Wolferen partono dallo stereotipo del samurai che definisce l'economia giapponese come economia di guerra e di conquista (da cui l'eloquente titolo del libro). Opinionisti e giornalisti sentivano avallato questo mito del samurai tecnologico al vertice del potere di una casta di burocrati e industriali. E ciò giustificava qualsiasi rappresentazione dell'uomo giapponese, a volte schiavo-robot, altre volte guerriero spietato della finanza. La stampa di tutto il mondo si è alimentata di questo mito. Emblematico l'articolo di Shere Hite intitolato Siamo ancora samurai: "Orrendi omuncoli con i vestiti da duro: ecco come appaiono in televisione gli uomini d'affari giapponesi. Per non parlare degli scandali legati a famosi personaggi invischiati in casi di corruzione, manager troppo vicini al governo per operare in modo leale, uomini, uomini e ancora uomini. Lasciando da parte queste note pittoresche, come si può verificare la correttezza della teoria del samurai-manager? Cerchiamo innanzitutto di esplicitarla. Quel che si crede è l'esistenza di un codice etico del samurai adottato nella società industriale: rigida gerarchia, inflessibile ubbidienza al dovere e spirito di sacrificio. Questi elementi non sono però sufficienti a descrivere l'economia giapponese. Najita Tetsuo osserva l'impaccio e il carattere maldestro di questa formulazione, arrivando a ridicolizzarla: [...] tanto che anche gli occidentali sono stati indotti a credere che il bushidou sia la base delle pratiche tecnologiche e imprenditoriali giapponesi. Come si è mostrato in precedenza, il samurai era una figura piuttosto idealizzata già nel Giappone del XVII secolo. Purtroppo la reale natura del samurai è coperta da queste incrostazioni ideologiche. Rappresentato da molti come uomo pronto a morire in ogni momento, il samurai perdeva ogni connotazione umana. E nella società industriale, i cui processi portavano a una forte alienazione, cosa c'era di più aderente al modello tecnologico di un uomo snaturato? Queste interpretazioni si poggiavano su una falsa rappresentazione del samurai. In particolare era stato frainteso il senso del bushidou, il codice morale del guerriero. Yamamoto Tsunetomo, autore dello Hagakure, non era stato letto con attenzione, e nemmeno Nitobe Inazou. Il samurai non era un rozzo guerriero privo di sensibilità pronto a sacrificare la vita in nome del dovere, e nient'altro. Questa era una semplificazione estrema. Lo Hagakure aveva costituito una riformulazione del buddhismo e del confucianesimo funzionale alla società feudale giapponese. Ma per giungere a tanto bisognava che questa formulazione fosse condivisibile, insomma, che giungesse nell'animo delle persone (usando un termine sociologico, che fosse un valore interiorizzato). Perciò il bushidou non è soltanto quel codice fondato sulla gerarchia e il dovere come si crede. L'insegnamento zen era stato applicato come trascendimento dell'individualità (l'io è un'illusione), ma l'eliminazione dell'io non significava "disumanità", piuttosto il riconoscimento dell'uomo come progetto di vita, l'innalzamento degli ideali al di sopra di ogni meschinità mondana. Tutto è illusione tranne la consapevolezza di questa natura illusoria, tutto è effimero tranne l'ideale del Buddha, e il satori può essere conosciuto soltanto provandolo. La dimensione estetica costituiva la base dell'etica del samurai, tanto che sarebbe più sensato parlare di estetica invece di etica. Qui intendiamo per estetica non soltanto una rappresentazione artistica, ma la dimensione della psiche che si fonda sul sentimento (in giapponese il kimochi). Si può quindi definire il samurai come un'opera d'arte vivente (così come la geisha per altri versi). Detto ciò si può tornare al tema dell'economia. La fabbrica giapponese (koujou) non rispecchia affatto la rappresentazione stereotipata del samurai. Il samurai non è il modello a cui si ispirano i manager, piuttosto sono stati i samurai e i manager ad aver avuto entrambi come punto di riferimento la cultura giapponese. Ma l'applicazione di questi tratti culturali all'economia ha modalità differenti secondo il contesto e l'interazione di altre variabili. La concezione del processo di miglioramento (kaizen) delle fabbriche giapponesi è sicuramente un frutto della mentalità giapponese. Nel capitalismo occidentale la finalità della produzione è il profitto, e l'innovazione tecnologica è concepita come abbassamento dei costi (grazie a una razionalizzazione del processo di produzione). Il capitalismo giapponese pone la produzione come obiettivo e considera la qualità una variabile interna al processo di fabbricazione (e non un effetto). Le differenze concrete fra le strutture e le operazioni della fabbrica giapponese (koujou) e della fabbrica occidentale (factory) sono state ben descritte da Richard Schonberger, Oono Taiichi, Fujimoto Takahirou, Ishikawa Kaoru, Taguchi Gen'ichi, Tanaka Minoru e altri. Differenze riscontrabili nello scorrimento nella linea di montaggio, nelle cabine di saldatura, nell'uso di kanban (cartellini), del just-in-time, etc. Queste differenze materiali spostano il discorso della diversità culturale al livello fisico, così che risulta molto difficile negare ciò che invece, a livello astratto, era facile dubitare. Fra gli anni '80 e '90, il modello giapponese di fabbrica fu imitato anche in Occidente, con risultati considerevoli. Ma l'adozione della chimerica fabbrica dei samurai non ha significato la trasformazione degli occidentali in feroci guerrieri armati di katana. Così come i giapponesi non sono divenuti occidentali adottando la tecnologia occidentale, nella stessa maniera gli occidentali non sono diventati giapponesi imitando le tecniche produttive giapponesi. Questo dovrebbe far riflettere sui modelli sociologici ed economici e prestare più attenzione al loro uso. Ciao Giuliano |
31-10-2004, 11.02.35 | #5 | |
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Re: Ciao Giuliano
Citazione:
Salve Neman motlo interessante , mi par di capire che l'etica-estetica del samurai e' qualcosa di ben piu' raffinato e sottile della rappresentazione depositatasi nell'immaginario collettivo occidentale e perfino giapponese talvolta e che il rapporto di questa etica con la modernita' produttiva giapponese non e' diretta ma piuttosto sia l'una che l'altra si collegano alla totalita' della antica cultura di quel paese d'altra parte non mi pare che Sacchetti e Terzani intendessero riferirsi a questo elemento direi quasi oramai "mitologico" mentre ne fa chiaro riferimento lo storico Hobsbawn nel suo "Il Secolo Breve",riferendosi pero' al Giappone quale era fino all'ultima guerra mondiale. Non so , l'argomento non e' certo il piu' elementare , a me parrebbe che , e chissa' se il buon Terzani non sarebbe d'accordo , e sulla scia,direi,della tua affermazione sui giovani giapponesi,anche in giappone la tendenza alla globalizzazione culturale,tenda ad appiattire tutto su una sorta di "interruzione della memoria" in particolare per le nuove generazioni,nel bene e nel male,e che quindi l'inlfuenza di quella antica cultura originaria , intrisa di filosofia Zen ,vada sbiadendo , lasciando si' ancora una sua particolare impronta,ma tenda ad essere soverchiata dall'"impero del mercato" infatti nell'articolo di Terzani si parla di silenzi angusti diciamo , e ci da una sensazione di alienazione piu' che magari soffocante presenza di una cultura magari autoritaria l'argomento mi interessa , devo dire che per la mia pigrizia e per la mia non illimitata disponibilita' di tempo , mi sarebbe piu' agevole aver da leggere una tua risposta alla volta,considerato anche gli anch'essi interessanti link che proponi leggero' poi anche l'altra mi piacerebbe anche approfondire l'argomento religioso Saluti Giuliano |
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01-11-2004, 16.06.18 | #6 |
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"La crescente influenza del Giappone nell’economiamondiale e una calibrata opera di promozione culturale ha portato all’accettazionedi vari aspetti della cultura e della società nipponica fuori daiconfini dell’arcipelago: dai manga alla qualità totale, dall’automazioneai waribiki (i bastoncini in legno da separare prima dell’uso). Strumentoprioritario di comunicazione, la difficile lingua giapponese ha visto crescerein modo esponenziale utilizzatori e appassionati."
http://www.gesuiti.it/popoli/anno1997/10/ar971004.htm ho letto anche il resto e il link dei gesuiti , di cui sopra , e appunto questo apetto di calibrata promozione culturale mi ha fatto ricordare quel fenomeno religioso a forte espansione che direi ,con me molti altri, nella suddetta promozione si inscrive,in questo caso piu' strettamente religiosa , vale a dire la diffusione del buddismo della Soka Gakkai non per niente l'articolo che posto qua si intitola ,certo provocatoriamente, "e se l'era delle colonie non fosse finita?" http://web.tiscali.it/grisroma/artic...nur_parte3.htm Saluti Giuliano |
05-11-2004, 07.57.42 | #8 |
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Ma facciamo un passo indietro per vedere fatti storici che hanno implicato legami tra buddismo e governo. Nel febbraio del 1924, su richiesta da parte di Hirohito di far qualcosa in merito ai "pericolosi pensieri" fu formata dal Primo Ministro Kiyoura un'associazione culturale. Alle sedute vennero invitati rappresentanti delle religioni scintoista, cristiana e buddhista (inclusi alcuni leaders della setta Nichiren).
La setta, fondata nel 13esimo secolo, stava godendo del suo periodo d'oro e due dei suoi leaders, Honda Nissho e Tanaka Chigaku, interessati a questa campagna di "spirito nazionale"chiesero alla corte di pubblicare un decreto conferendo a Nichiren, il fondatore della loro setta, il titolo di "Gran Maestro che ha stablito la Verita". Dopo che la corte ha conferito il titolo, il ministro all'agenzia imperiale Makino sembra abbia dichiarato:"questa decisione e' stata presa tramite la benevolente consapevolezza dell'imperatore che la situazione ideologica attuale ha bisogno una guida migliore e specialmente un credo religioso". Quando Honda ando'a ritirare il titolo si vanto' davanti a Makino della natura antidemocratica e anticomunista della setta Nichiren. Che il Buddismo (o la fede dei credenti Nichiren, molti dei quali erano ufficiali militari di alto rango e civili di ideologia di destra) sia stato chiamato in supplemento all'ideologia imperiale significa che il credo religioso ufficiale non era mai riuscito ad esercitare e influenzare tutti i gruppi della societa' giapponese. Tanaka Chigaru, il leader spirituale di uno di questi gruppi del Buddismo Nichiren, era profondamente ostile alla "Democrazia Taisho". Tanaka collegava Nichiren all'espansione dell'impero giapponese e tra le sue priorita' stava nella chiarificazione del kokutai. Sicuramente xenofobo ma non radicale, Tanaka lavoro'per integrarsi con la corte per fare della fede Nichiren la religione di Stato. Nel 1914 diede il nome di "Kokuchukai" (colonna dello Stato) alla sua organizzazione. Dai ranghi di questa organizzazione emersero ufficiali militari che vennero promossi da Hirohito per coprire posizioni di tutto rilievo come, per esempio Ishiwara Kanji che entro'nell'organizzazione nel 1920. Fu tra gli artefici per la messa appunto nel 1931 dell'incidente di Manchuria. Cio' che faceva muovere Ishiwara non erano solo le paure per gli interessi nipponici in Manchuria messi a rischio dai cinesi e dai russi ma bensi il militarismo del Kokuchukai di Tanaka. Ishiwara inoltre accettava la credenza della setta su un conflitto mondiale senza precedenti che spianera'la via per un regno di pace universale ed eterna. Ishiwara interpretava le scritture a modo suo e vide che tali avvenimenti si susseguiranno durante la sua stessa vita. La situazione degli anni '20 gli fece concludere che due potenze opposte sia nella religione che nella tradizione emergeranno e solo una delle due rimarra'. Da una parte gli Stati Uniti e dall'altra un Giappone che si dimostra la vera e unica potenza della civilta'asiatica. A questo punto e'necessario assicurarsi gli interessi nipponici in Manchuria e dominare l'Asia per i preparativi per una base industriale utile a provvedere alle necessit' per una battaglia finale per annientare Stati Uniti (Uno dei primi in assoluto a chiedere al governo maggiore forza nell'assicurare gli interessi in Manchuria fu Yoshida Shigeru che nel dopoguerra divenne Primo Ministro). Honjo Shigeru, collega di Ishiwara e comandante dell'armata Kwantung nella Manchuria a quel tempo, era un credente della dottrina Nichiren. Il movimento nazionalistico Nichiren fu da catalizzatore nel generare il fenomeno di ultranazionalismo giapponese. La setta influenzava molti signori della guerra che partecipavano nelle politiche del periodo fra le due guerre mondiali e divenne parte di un contesto dove l'idea della missione giapponese di unificare il mondo fu rivissuta durante l'inconorazione ufficiale di Hirohito. Lo scrittore Iichiro Tokutomi descriveva nel 1944 il conflitto: "per i giapponesi, la guerra e' un esorcismo purificatorio, un abluzione di pulizia". Questi atti di pulizia spirituale erano importanti per i giapponesi. Mentre la guerra veniva descritta come una missione divina per diffondere la "Via" imperiale per il mondo, per la classe dirigente la guerra era percepita come un ingaggio di "vita o morte" dove i giapponesi stessi possono ricuperare lo "stato di eccellente morale". La dichiarazione piu' estrema in questo senso e'un libretto pubblicato nel febbraio del 1942 dalla "Imperial Rule Assistance Association" (IRAA) che comprendeva membri di tutti i partiti "legali" del Giappone. Scritto dal professore Fujisawa Chikao dell'universita' imperiale di Kyoto, il libretto fu messo a disposizione anche in una versione in inglese chiamata "The Great Shinto Purification Ritual and the Divine Mission of Japan" Nel suo libro comincia a parlare dell'imperatore, chiamandolo Sumera Mikoto (august sovereign - Fulgido Sovrano), che e'il nome originale per chiamare l'imperatore, e di un Giappone come la vera culla della civilta'in tempi antichi. Parla di un "sistema mondiale di famiglia" preistorico dove il Giappone veniva riverito come il Paese padre, mentre altri Paesi (come Babilonia, Egitto e Cina) erano i Paesi figli. Fujisawa ando' oltre affermando che la civilta' sumeriana dell'antica Mesopotamia ha preso il nome proprio da Sumera Mikoto. I lettori vennero a conoscenza che la chiave dello spirito giapponese (e cosmico) era il "O-harai", Grande Rituale Purificatorio effettuato due volte all'anno dall'mperatore e che l'ttuale guerra era una lotta per togliere dal mondo impuritaEmorali come l'individualismo, capitalismo e Marxismo. Conclude affermando che le sue ipotesi sono logiche in quanto riti di purificazione osservati dai cinesi, hindu ed ebrei derivano molto probabilmente dal O-harai di Sumera Mikuni, la sacra madre-patria di tutte le razze. Mentre il Ministro all'Educazione cercava di raffigurare la guerra come un ristabilire delle virtu'antiche, colleghi di Fujisawa all'Universita'imperiale di Kyoto, associati alla scuola di Kyoto, prendevano il tutto in un modo diverso ma fecero chiaramente intendere che l'attuale conflitto rappresentava per il Giappone l'ascesa come superiore "razza storica". Per loro e per tutti i patriottici giapponesi, la guerra del Pacifico era una "guerra santa" e una lotta per il raggiungimento di una "Grande Armonia"(Taiwa). Questa "Grande Armonia", che era il nucleo delle teorie della scuola di Kyoto, veniva rinforzata dagli scritti di Suzuki Daisetsu che era gia' emerso come uno dei piu' conosciuti interpreti del Buddismo Zen in Occidente. Come le sue controparti della scuola di Kyoto, non si limitava a ripudiare qualsiasi influenza dell'Occidente. Mise attenzione nell'identificare un intuitivo senso di armonia e "unicita'" che dichiarava caratteristica dei pensieri orientali. In un libro scritto nel 1942 intitolato Oriental "Oneness" (Toyoteki "Ichi"), Suzuki metteva in guardia verso chauvinismo nazionale o culturale ma apoggiava il tentativo da parte del Giappone di ristabilire la coscienza di unicita' tra la gente asiatica. Al concetto "Taiwa" veniva dato risalto nel "Cardinal Principles of the National Polity" ma anche nei testi sulle basi militari come il Senjinkun (Codice di servizio sul campo) pubblicato per tutti i soldati a cominciare dal gennaio del 1941. Il soldato giapponese arrivava cosi sul campo di battaglia gia' rassegnato alla morte. A causa dei limiti linguistici nel giapponese scritto e parlato, i due ideogrammi usati per scrivere Taiwa venivano usati anche per scrivere Yamato, la linea imperiale fondata dall'Imperatore Jimmu e la designazione piu' evidente per i giapponesi come una razza. Anche per l'Imperatore Jimmu gli ideogrammi hanno un punto di vista simile: "buono"e "arte marziale" o "affari militari", di fatto "militare divino" E' molto probabile che molti o adirittura la maggioranza dei giapponesi mai associarono questi ideogrammi in modo cosciente. Inconsciamente invece questi esistevano ed erano un chiaro messaggio che la razza era identica ai maggiori ideali e caricata con una missione santa. Nonostante l'assurdita' intellettuale, trattati come "Cardinal Principles of the National Polity" vennero pubblicati in 2 milioni di copie e la loro lettura era obbligatoria nelle scuole. Anche gli altri trattati come il "Great Shinto Purification Ritual" e altri scritti della scuola di Kyoto (per esempio il Chuo Koron) ebbero un'enorme audience nel periodo di guerra. Chiedendo ad un giapponese medio il significato di "Purificazione" sicuramente la risposta sara' stata meno astratta. Purificazione era intesa come eliminare influenze straniere, vivere in modo semplice, combattere e se necessario, morire per l'imperatore. Fonti e spunti da: Kansai Time Out - edizione Marzo 2003 Herbert Bix "Hirohito and the making of modern Japan" John W. Dower "War without mercy" James L. McClain "A modern history - Japan" Brian Victoria "Lo Zen alla Guerra" (traduzione in italiano della "Sensibili Alle Foglie". http://www.giapponegiappone.it/default.asp Ciao |
05-11-2004, 09.55.41 | #9 |
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Salve Neman
molto interessante , mi piacerebbe sapere questo post corrisponde ad un articolo frutto di una ricerca giornalistica o cosa di questo Rob , e sai perche' ?,perche' ho da tempo uno scambio di idee e opinioni con alcuni appartenenti italiani della setta Nichiren di cui abbiamo parlato sopra in questo senso direi che l'articolo e' a tratti perfino illuminante mi piacerebbe poterlo trasmettere se e' possibile citando la fonte come e' giusto il raggiungimento di un'epoca di armonia anche ,se necessario, raggiungibile tramite la guerra vista come atto purificatorio mi fa pensare all'uscita dall'impura epoca "mappo" di cui i buddisti Soka parlano faccio probabilmente andare troppo svelta la mia immaginazione , ma conosciuta l'esistenza del partito giapponese del Komeito , che puo' essere considerato un'espressione politica della setta, mi trovai a discuterne con gli appartenenti italiani di cui sopra,visto che per alcune testate internazionali,come ho notato navigando in rete,questo partito sarebbe per il riarmo anche nucleare del paese , perfino per alcuni per un Giappone di nuovo militarista certamente il Komeito appartiene all'odierno governo che ha appoggiato con navi e uomini la "scelta Bush" in Iraq , questo e' un dato di fatto mentre i miei interlocutori mi fanno notare che il primo presidente della SG , Makiguchi mori' in carcere vittima della repressione nazionalista ho cercato maggiori notizie su Makiguchi ma per ora ho poco io mi sarei fatti l'idea che l'organizzazione da quando e' diretta da Daisaku Ikeda abbia di fatto accolto in pieno il principio di " obutsu miogo " , vale a dire di non separazione tra religione e societa',che pare fosse stato precedentemente abbandonato. qualcosa su questo ho trovato qua : http://members.tripod.com/~unavocegrida/Soka.htm ora io non so precisamente quanto questa ideologia non ostile alla guerra di cui tutta la scuola Nichiren oltre a quella Zen sono improntate, come appare nel tuo post , inlfuisca sulle posizioni e le implicazioni economico- politiche del buddismo Nichiren al momento io , personalmente,continuo a discutere con i miei amici buddisti che vantano a parole la loro fede nel pacifismo , trasmettendogli i miei forti dubbi,e la sgradevole sensazione che la crisi religiosa e morale occidentale lasci spazi a possibili neocolonizzazioni che nascondano interessi di natura ben piu' "materiale" in piu' direi che il Giappone sta forse con il nuovo governo intraprendendo un "new deal" ma pero' improntato a assumere nuovamente un ruolo di potenza oltreche' economica anche militare soprattutto in estremo oriente,forse con la novita' di voler dare un'"impronta di se'" anche culturale e linguistica , nel mondo e a questa rinascita mi pare partecipi anche la Soka Gakkai , visto che senza la presenza del Komeito l'attuale governo pare proprio non avrebbe raggiunto come si desume da questo articolo : http://www.time.com/time/asia/magazi...549066,00.html Saluti Giuliano |
05-11-2004, 12.14.53 | #10 |
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Ciao Giuliano
Il ragazzo Rob2, leggendolo ognitanto, ha fatto un collage di testi realmente esistenti. Non mi pare che in questo caso abbia espresso un suo giudizio personalissimo se non guardando il risultato del post intero.
La prima parte (tradotta pari pari) la trovi in inglese qui http://www.japanfile.com/culture_and...nholywar.shtml Delle altre fonti e spunti ho trovato solo recensioni o commenti. Piu che altro, sarebbe utile leggere anche sulla biografia di Nichiren Daishonin stesso. Per vedere in quali situazioni e circostanze si creo' il suo pensiero. La storia non meno intrigante politicamente parlando e con il elemento "purezza", rimanere intatti. http://www6.ocn.ne.jp/~nichiren/StoriaND.html Visse per l'appunto nell'era Kamakura, cioe' quella dei Samurai (da Samureru= servire). Sulla Komeito la prossima volta. Ciao |