Mi allaccio a quello che ha detto Mary... (che ringrazio per il suo intervento)
Ci manca il senso dello stare insieme.
Forse nel forum c'è dentro di noi la vaga speranza di poter creare quel senso di comunità, di comunione, di crescita collettiva, di esperienza comune condivisa, che ci fa sentire appartenenti ad un movimento unico della società, un'umanità che vive insieme, che si riconosce un solo corpo.
Non intendo calarmi in una veste eterea, ma credo che prima del pane abbiamo bisogno di un "perché". Quando avremo capito che il nostro cibo migliore è la vita stessa allora non saranno necessari né "pane", né "perché".
Ma è inutile proiettarsi al futuro, anzi è proprio dannoso. Crea inutili speranze.
Purtroppo (o per fortuna) nulla sostituisce il vero, diretto e completo contatto umano, quello dove è in gioco una serie di "informazioni" impercettibili (subliminali?) e che inconsciamente ci danno una visione ed un "sentire lo stato di salute" delle nostre relazioni.
Nella struttura sociale in cui ci troviamo non c'è spazio per gli incontri informali e disinteressati di gruppo, come invece era di prassi per esempio in molte tribù indiane d'America, e questo è, per quel che vedo, una gravissima debolezza della struttura sociale. Manca proprio la base della società. Noi in effetti siamo mantenuti separati forzatamente dal dio Mercato (che noi idolatriamo), altrimenti si creerebbe la condivisione dei prodotti acquistati, si creerebbe la condivisione di idee; ma non incentivando neppure la creazione di queste ultime (che nascono proprio con lo scambio creativo e stimolante in un contesto reale) questa struttura mortifica l'individuo ed il suo ambiente, così si parla di quartieri-dormitorio, di mancanza di radici nel territorio, mancanza di storia in cui vivi. Non esiste un senso di appartenenza. Non si saluta, o si guarda con diffidenza il proprio vicino o non si ha il coraggio di chiedergli neppure il sale o un limone. Cosa ci stanno a fare gli altri intorno a te? Non c'è società, c'è "vicinanza". Non c'è gruppo, c'è "agglomerato". L'alienazione è una dimensione ormai scontata, nessuno ci fa più caso. Nessuno ci pensa più, ci sembra una cosa normale non sapere niente di chi vive e dorme al di là della parete del proprio appartamento, o al di là del recinto! Certo non sono affari miei. Ho confinato i miei "affari" alla mia proprietà di spazio e di oggetti e del loro raggio d'azione. E' ovvio che poi inorridisco al pensiero che dall'Africa vengano a "invadere" i miei spazi e a rubare il mio lavoro.
Continuo a tenermi stretto quello che considero mio? Vivrò nell'angoscia continua che l'altro me lo porti via. Ma non risolverò niente, se non una nevrosi insopportabile, che invece ora sopporto benissimo, la considero "normalità"(!!!).
La mia idea è di smettere di perdere tempo davanti ai consigli per gli acquisti o ai film/ninna-nanna che incitano solo a darti una pseudo-felicità e ad accrescere la nevrosi da furto e invece cominciare a trovare la propria dimensione umana, una dimensione vera però, fatta di incontro e di silenzio, non di una socialità fatta di convenzioni banali e vuote.
Probabile che non siamo più abituati a parlare solo quando si ha qualcosa da dire e di stare in silenzio quando non si ha niente da dire o l'argomento è concluso o non interessa più,
ma questa è la nostra dimensione! Viviamola! viviamo i nostri imbarazzi!... viviamo i nostri condizionamenti! Se non abbiamo paura di affrontarli non ne usciremo mai e continueremo a lasciarci sfuggire l'occasione di essere naturalmente ciò che siamo, cioè vivi e pieni di vitalità, di voglia di gustare i giorni di pioggia come quelli di sole, di gustare la solitudine come la compagnia.
Qualche anno fa conobbi un indiano-sciamano (uomo medicina) d'America che ci parlava della sua riserva e di come l'organizzazione sociale prevedeva sempre la dimensione di gruppo, la condivisione, l'incontro. Addirittura non esisteva neanche il salutare, perché mai ci si lascia veramente (tu saluteresti tuo fratello o tua madre perché vai in bagno a lavarti i denti?). Il mondo è la loro casa e l'allontanarsi non necessita del saluto. Ma ci ha anche insegnato a divulgare un metodo di incontro fatto per accogliere e rispettare il messaggio dell'altro. Lo chiamava "Talking Stick" (bastone della parola). Nel cerchio si passa un bastone che, come un microfono, dava la parola a chi ce lo aveva. Ognuno aveva un tempo a sua disposizione: tutti erano tenuti a parlare a turno, facendolo girare e anche se uno non avevano niente da dire stava in silenzio e gli altri non intervengono, perché quello era il suo momento e andava rispettato. Naturalmente si trattava di un seminario guidato da questo Indiano, che utilizzava questo, come vari altri metodi di supporto, per favorire l'emergere di una relazione profonda con noi stessi e con gli altri. (vedi in Bacheca: Medicine Story)
Secondo me un tentativo è importante farlo: riuscire a stare tra persone che hanno dei buoni propositi e condividerli. Non è necessario essere dei luminari di filosofia, né dei grandi pensatori o dei saggi condottieri, ma gente semplice che sappia parlare di sé, se ci riesce, e se non ci riesce, almeno che abbia voglia di incontrarsi e condividere momenti insieme, che siano di silenzio o di dialogo.
So che può sembrare difficile, ma se non abbiamo una ricchezza da spartire, che è quella che nasce dalla nostra umanità, dal nostro essere, cosa ci resta?
Poi sono certo che la voglia di incontrarsi crea essa stessa i momenti favorevoli.
Comunque si può sempre tentare...
un abbraccio!