Concordo assolutamente con Irene.
Ho poi scritto qualcosa per questo forum, provando ad analizzare un pò la questione, senza pretesa di dire cose nuove, e sperando di non tediarvi..!
1) Conoscenza: interpretazione, realtà e fantasia
Non ho dubbi nell'affermare che: l'abbigliamento di una persona invia un messaggio.
Il messaggio è portatore di un significato, e perché possa esistere un messaggio, deve esistere un'emittente ed un ricevente.
Il ricevente riceve il messaggio e lo interpreta nel significato: l'interpretazione avrà tante più possibilità di essere errata, quanto minore è la conoscenza che si ha della persona emittente. E questo perché è impossibile dissociare significato e contesto : il messaggio può essere compreso correttamente solo se inserito nel suo contesto.
Per contesto non intendo l'ambiente in cui vediamo la persona, bensì il contesto della persona, che è ciò che rende quella persona tale: famiglia, storia personale, carattere, cultura ecc...
Il contesto è l'amalgama in cui nasce, e da cui trae nutrimento, quella creatura con radici che è l'uomo.
Se una persona non conosce l'"amalgama" da cui il messaggio giunge, non potendo prescindere, per una comprensione, da un contesto, se lo inventerà. Teniamo inoltre presente come, per conoscere una persona, dobbiamo mobilitare le nostre energie nell'atto della comprensione: uno sforzo notevole, che non sempre siamo disposti a fare.
Non potendo però fare a meno di conoscere, in quanto il non sapere porta con sé l'insicurezza che mobilita l'ansia dello sconosciuto, ci accontentiamo, spesso e volentieri, del credere di sapere, che è credere in qualcosa di falso, credendolo vero grazie all'auto-inganno, ben supportato dall'abitudine a farlo che tende a sostituire la ben più faticosa abitudine a pensare, rendendoci così incapaci a smascherarci.
Dico che non si può, per comprendere, prescindere da un contesto, per osservazione personale: se una persona mi racconta qualcosa, o è talmente brava nell'uso delle parole che riesce a rendere ciò che vuole esprime, altrimenti riporterò i concetti da lei espressi in uno schema a me familiare, ovvero, immaginerò la situazione... succede anche a voi?
Ecco allora che, nel creare il contesto, la fantasia del ricevente farcirà il tutto con: educazione ricevuta, norme, morale, giudizi e pregiudizi, luoghi comuni, intelligenza, cultura, religione ecc...
Tanto minore è la consapevolezza che si ha di se stessi, tanto più difficilmente si riuscirà a distinguere ciò che siamo noi, da ciò che è l'altro.
2) Timore e formalità: l'ipocrisia
Consideriamo poi che tutti (chi più, chi meno), pensiamo e diamo valore al giudizio che gli altri hanno di noi. Poi, più la comunità in cui si vive è di piccole dimensioni, più "la gente mormora".
Una buona difesa (anche se non sufficiente per le "lingue più velenose") può essere il mantenere un atteggiamento condiviso e accettato dalla realtà sociale al cui giudizio si conferisce valore.
Ecco la nascita dell'ipocrisia del "celarsi sotto false spoglie", il mantenere un atteggiamento formale, non personale, non privato, in modo di nascondere il più possibile ciò che si è, e che potrebbe "far mormorare".
L'ipocrisia è senza dubbio il risultato della moralità, la moralità è un problema che causa problemi immotivati, atti a nascondere l'essere umano da se stesso a dai suoi simili.
La moralità e la relativa ipocrisia costringono i comportamenti sociali entro certi standard.
Esempi di chi non condivide questi standard, di chi risulta indipendente da essi, sono coloro che possiedono la capacità di pensare in modo personale, come possono essere le personalità creative, o anche coloro che vengono classificati sotto il termine "devianti", come le personalità criminali, antisociali, o coloro che vengono esclusi dalla società in quanto "pazzi", e quindi con una modalità di pensiero più o meno radicalmente estranea agli standard.
(Quanta ricchezza buttata al vento..!!)
3) Gli stereotipi
Vedo un signore elegantemente vestito, con un eloquio gentile: lo riterrò senza dubbio una buona persona, affidabile, moralmente retta.
Poi, dopo avermi salutato, va a violentare una prostituta.
Vedo un signore dormire su una panchina, barba lunga, sporco, una bottiglia di vino in mano.
Gli starò alla larga, è un barbone, un poco di buono, un'alcolista.
Magari, se gli parlassi, scoprirei che è più profondo di tanti "signori distinti" ben tenuti e affidabili.
Non è detto, certo! ma nemmeno è detto il contrario!
...dipende!
Siamo spesso stati educati a ragionare per stereotipi; gli stereotipi sono etichette generali che siamo stati abituati ad usare, che abbiamo introiettato, e che richiamano direttamente un giudizio morale.
Esempio:
...vado a Vienna da ragazzino, con i miei genitori; camminando nei pressi della metropolitana, stanno seduti dei punk su un muretto; mia madre fa in modo di camminare "a distanza di sicurezza", comunicandomi timore.
Quindi, chi ha i capelli colorati e veste con borchie è potenzialmente pericoloso, da starci alla larga.
(Tra l'altro il movimento punk nasce da precisi motivi, se qualcuno sapesse illustrarli potrebbe essere interessante ai fini della discussione).
Ecco lo stereotipo, la generalizzazione, il giudizio morale ed il relativo comportamento introiettati da una cultura sociale: familiare in primo luogo, che può poi essere concorde con quella più diffusa.
Non è facile tranciare queste catene.
4) Il "quieto vivere"
Tutto insomma sembra favorire l'omogeneità, il conformismo, il "quieto vivere".
"Quieto vivere" che sono portato a ritenere come frutto della frustrazione dell'originalità e della creatività, dell'autonomia e quindi della possibilità di destabilizzare un limbo che si presenta come una condizione ottimale per l'ozio borghese e decerebrato dell'uomo.
La routine amici miei! L'abitudine, "abile e lenta, che inizia con il lasciar soffrire il nostro spirito, che è, nonostante, contento: senza l'abitudine sarebbe impossibile rendersi abitabile una casa. (...) Se l'abitudine è una seconda natura, essa ci impedisce di conoscere la prima, di cui non ha né le sofferenze, né gli incantesimi" (M.Proust, "Recherche")
Ecco perché, chi più si mostra come in realtà è, più si attirerà giudizi; ecco perché l'originalità dell'individuo è temuta: perché ha il potere di rievocare il ricordo della vitalità che abbiamo ucciso.
Ha il potere di ricordare l'originalità che tutti abbiamo ricevuto in potenza, ma che la maggior parte di noi non ha avuto il coraggio di curare, lasciandola appassire, abbandonandola al vento monotono e quieto del conformismo, temendone il giudizio.
Se, al contatto con l'originalità, sentiamo muoversi in noi una ribellione verso questo assassinio che stiamo commettendo, siamo ancora in tempo di salvare la Vita, e tornarla a vivere. Se non ce ne ricordiamo più...è tardi, servirà un'evento eccezionale per poterla rianimare.
Riguardo invece al detto:
"L'esteriorità è il nostro biglietto da visita"
lo spiegherei così:
la nostra apparenza può essere il nostro biglietto da visita in quanto, innanzitutto, chi lo riceve se ne appropria secondo i suoi giudizi, per poi eventualmente decidere di visitarci o meno.
(Irene è stata chiarissima)
Io ho invece sempre trovato nei pressi dell'assurdo questo detto:
"La prima impressione è destinata a rimanere".
Significa che la prima impressione è destinata a influenzare le nostre relazioni...anche dopo una conoscenza più approfondita?!
Sperando di non avervi tediato...