letteratura e psiche
Letteratura e psiche
“La notte oscura dell’anima” conclude un ciclo d’incontri su temi psicologici. Con spirito interdisciplinare e post-freudiano si parla dei mutui sconfinamenti tra letteratura e psiche, dei dissidi interiori espressi dalla scrittura, di “patologie” di autori e di personaggi.
Letterati e psichiatri ricordano la dolce malinconia ed i tormenti irrisolti di Petrarca colto da accidia e “voluptas dolendi”; la tristezza inconsolata del Tasso e la leggenda del suo impossibile amore per Leonora; Leopardi capace di ricreare in sé il mondo che gli manca fuori preferendo un amore sognato che tuttavia non lo appaga del tutto; Pavese e il suo infelice amore per Constance poi identificata con la disperazione e la morte, ecc.
Uno psicoterapeuta vi riconosce le ferite narcisistiche originate dal bisogno frustrato di essere amati. Può scatenare una depressione reattiva e reca in sé l’angoscia di morte come irrimediabile perdita per ciò che non è accaduto e non accadrà, e richiede un’elaborazione del lutto.
Si cita Erasmo da Rotterdam per cui la pazzia è forza vitale creatrice e lungimirante, la follia di Don Chisciotte che combatte la mediocrità e l’intolleranza al potere, e quella di Enrico lV di Pirandello come rifugio estremo da un mondo deludente. Per una scrittura che indaga nei meandri della psiche si accenna ai personaggi dell’inquietudine novecentesca, alle affinità di psicoanalisi e narrazione, ecc.
Il tema è vasto considerando anche la letteratura straniera. A parer mio splendidi prototipi e precursori di disadattati sono Folantin di “Alla deriva” di Huysmans e Bartleby dell’omonimo racconto di Melville. Accomunati da inerzia ed anedonia eppure diversi. Il primo è un travet sopraffatto dai disinganni della vita e dalla malinconia. Oscilla tra la nausea e lo spleen, indeciso tra integrazione ed estraneità; claustrofiliaco che attende in rassegnato isolamento la fine della giornata meditando con lucidità sui paradossi sociali, infine deciso a lasciarsi andare alla deriva. Il secondo è molto più conosciuto di Folantin. Benché lo preceda di trent’anni (1853) ne potrebbe essere la continuazione. Bartleby, copista pure lui, è uno “straniero” senza storia e senza volontà di alternative o di consensi che lo redimano. Ostinato a celare un presunto segreto dietro una ripetuta frase: “Avrei preferenza di no”. Essenziale, enigmatica e destabilizzante in un ambiente di lavoro burocraticamente formale. Rappresenta solo una presenza perturbante non esplicitata da alcuna riflessione interiore.
Sono tutti personaggi complessi e di non facile consumo in quanto interpreti di dimensioni dell’anima, devianti in crisi d’identità e in dissidio con l’ambiente circostante, chiaroveggenti che scrutano dietro le apparenze, attenti a una realtà poliedrica e contradditoria. Oggi si avverte la mancanza di simili personaggi problematici, sempre più rimpiazzati da quelli irriflessivi e conformi al mediocre orizzonte di attesa del pubblico massificato. Così anche nei film dietro alle suggestioni degli effetti speciali è ormai difficile individuare personaggi, storie e psicologie profonde.
Chi conosce e vuole presentare qualche personaggio conflittuale?
Lo straniero
Son senza qualità
e cosciente
un po’ straniero
e indifferente
Cultor di nausea
ansia e noia
più che di poesia:
un decadente
Tu vuoi farmi cambiar
ma s’è morto il mio cuor
per non ormai saper
più ascolto suscitar?
Or tu forse mi vuoi…
o te ne vai lesta
per ben diversa festa?
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