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Le finestre dell'anima di Guido Brunetti

Le Finestre dell'Anima

di Guido Brunetti   indice articoli

 

L'inconscio tra psicoanalisi e letteratura

Gennaio 2021


Si deve a Freud la scoperta e lo studio scientifico dell’inconscio benché l’idea di questa struttura psichica fosse già presente nella letteratura romantica dei filosofi tedeschi, come Schelling, Schopenhauer e Nietzsche, i quali mostrano come l’Io sia circondato da forze inconsce che interagiscono tra loro. Le teorie freudiane rappresentano una rivoluzione non solo nel campo della psicoanalisi, ma anche in quello della letteratura, dell’arte e delle altre scienze umane.
Il termine inconscio indica non solo i contenuti mentali rimossi, ovvero che non sono presenti alla coscienza quali pulsioni sessuali o aggressive censurate dalla coscienza, ma anche uno dei tre sistemi - conscio, inconscio e preconscio - descritti da Freud per formulare la sua teoria dell’organizzazione dell’apparato psichico. La maggior parte della nostra vita mentale, per il padre della psicoanalisi, procede in “modo inconscio”. Il quale può essere conosciuto mediante sogni, sintomi, lapsus, atti mancati, ecc. La coscienza è quindi “solo una proprietà di una parte della mente”. Questa teoria, oggi, è ampiamente “accettata” anche dalle nuove neuroscienze, come rivelano le evidenze che provengono dall’osservazione clinica di pazienti che hanno subito un danno cerebrale.
Il merito della psicoanalisi è stato quello di fornire, tra l’altro, nuovi strumenti per comprendere gli eventi mentali legati alla creazione artistica e al testo narrativo, come dimostra il nuovo libro di Carlo Di Lieto, che s’intitola “L’inconscio. La letteratura e l’ospite inquietante” (Marsilio Editori, 2020). La dimensione letteraria e artistica, per l’autore, non è altro che “una realizzazione allucinatoria dei desideri inconsci”. Attraverso l’opera, si rivelano le istanze più nascoste e profonde della condizione umana e di come il “doppio” sia un aspetto dell’“io-diviso”.
Il legame tra letteratura, arte, creatività, divinità, follia e sofferenza mentale è stato descritto nei miti greci. Per Socrate, la follia è un dono del cielo, è il mezzo attraverso cui noi riceviamo “le maggiori benedizioni”. L’arte, in tutte le sue espressioni, costituisce la forma più elevata di rappresentazione della sofferenza dell’artista, dei suoi stati d’animo, delle sue ferite e in sostanza della condizione del senso tragico dell’esistenza. Secondo Aristotele, filosofi, artisti, poeti e letterati hanno un temperamento malinconico e il dolore espresso dalle tragedie ha un effetto catartico, costituisce un atto liberatorio, di purificazione.
L’analisi dell’autore si sofferma in particolare su Francesco di Assisi, il “Dolce stil novo”, Edmondo De Amicis, Leopardi, Nietzsche e Pirandello. In tutti, domina la scissione dell’io, un io diviso, destituito, frammentato.
In Francesco D’Assisi (1181), psiche e cosmo sono i due poli della medesima espressività, i quali sono esaminati e celebrati nel “Cantico delle creature”, un’opera che dà inizio alla poesia italiana e rappresenta una “lode universale”, la “matrice” di un movimento nuovo di pensiero.
In questo autore, la “pulsione di vita” diventa, per Di Lieto, “amor vitae” e percorso emotivo di un “flusso ininterrotto dell’io”. È una pulsione presente nell’esaltazione e nell’incantesimo dell’Ego, nell’eco del creato e nell’esperienza catartica della maestosità della “sora nostra madre terra”. La madre terra è un’immagine primaria della psiche. È la ricerca dell’oltre, del soprannaturale, di un aldilà metafisico e ultraterreno. La ricerca dell’oltre esprime la visione dell’inconscio. Qui, l’immagine del si fa “autoanalisi” e “autocoscienza”, mentre c’è coesistenza di pulsione di vita e di morte, insieme con “lo straniamento dell’io, proiettato verso una destinazione “altra” della vita.
San Francesco scrive il Cantico delle creature in un momento di grande ispirazione, creatività poetica e serenità dello spirito. L’opera si apre a “un’estasi mistica”, alla magica bellezza del paesaggio umbro e a un mondo in cui tutte le creature sono chiamate con il nome di fratello e sorella. Gli esseri umani, gli elementi della filosofia naturale - acqua, terra, aria, fuoco - e la morte partecipano a questa lode universale. Che è attraversata dalla presenza del sacro, dalla dimensione del trascendente e dell’oltre. In questa armonia del creato, c’è l’esaltazione dell’io insieme con il suo incantesimo e con la sua tranquillità spirituale.
Anche i poeti del “Dolce Stil Novo” presentano una scissione dell’io. La donna-angelo è un tramite per raggiungere la divinità e la salvazione, un simbolo che media tra Dio e l’uomo. La passione, il desiderio, il “principio di piacere”, la carica sensuale “evadono” nel sovrasensibile. In Dante, l’Inferno diventa l’inconscio, il Purgatorio, il luogo della rigenerazione e della catarsi, mentre Beatrice è il simbolo della vita affettiva, che si “sublima” per raggiungere la pacificazione interiore nel Paradiso e Virgilio è l’immagine del medico-psicoanalista.
La Commedia, secondo Sollers, è uno dei più significativi esempi di “psicoanalisi positiva”, una sublimazione degna di essere valutata nel segno del Super-Ego. La sublimazione, la donna angelicata, la malinconia, il dolore, il senso della morte e dell’angoscia rivelano complessi stati d’animo e molteplici fantasie inconsce.
I poeti dello “Stil Novo” viceversa mostrano un io scisso, derealizzato, sofferente, sospeso tra amore ideale e reale, rimozione e sublimazione. C’è un continuo conflitto tra eros e thanatos. L’io - scrive Di Lieto - “si ipostatizza nell’altro da sé; l’alterità si identifica con l’io”. La rimozione degli impulsi istintivi e sessuali è operata da una coscienza morale, che è un’istanza legata all’io ideale. Spesso il desiderio aumenta il senso di angoscia nell’io e provoca un sentimento di fuga dalla realtà. Prevale il ruolo del Super-io, che impedisce agli impulsi l’aspirazione al piacere.
È tutto uno scenario “inconscio” quello che domina l’opera di Edmondo De Amicis (1846). Dalla sua scrittura, dai toni melodrammatici, emerge un individuo caratterizzato da una doppia personalità, da un “io diviso”. “Cuore” è un libro scolastico, che ha un intento etico-pedagogico. È stato scritto in un’epoca distinta da una società autoritaria, da una visione paternalistica e caritativo-filantropica.
I temi trattati hanno una grande carica emotiva, i personaggi hanno un’esistenza grigia e tanta povertà. C’è nell’autore un forte Super-io costruito attraverso sensi di colpa, un certo pathos e tanti buoni sentimenti. Il Super-ego ha il mandato di delineare valori etici ed educativi come istanza principale. I rimorsi e i sensi di colpa rivelano “una insicurezza di fondo” e “paure inconsce”. Il doppio dell’opera deamicisiana si pone tra la “vita reale” e quella “immaginativa”, nel segno dell’inconscio e di un “io-diviso”. Il libro “Cuore” è un “training autoanalitico, nel senso che l’autore sottopone ad “analisi” i suoi personaggi in un processo di “rieducazione emotiva”, di consapevolezza di sé.
L’analisi infatti ha una funzione terapeutica ed educativa, in quanto modifica la struttura mentale dell’analizzato e ne rinforza le difese immunitarie. Attraverso l’autoanalisi, è possibile poi “ricostruire” le relazioni oggettuali con le figure significative della storia personale, che fanno capo alle figure della madre e a quella del padre. Ci troviamo di fronte a una duplicità dell’io, a un io ipertrofico, in cui l’inconscio proietta pulsioni di vita e quelle di morte.
La poetica di Leopardi (1798) è ricca di prospettive per la conoscenza e la comprensione del mondo inconscio. Un mondo “totalmente di fantasia”. L’inconscio è avvertito come “matrice” dell’evento poetico. La lirica del poeta è la “metafora” di una coesistenza di inconscio e conscio, di “principio di piacere” e di “principio di realtà”. La creazione artistica, attivando l’immaginazione, fa “ri-nascere” in Leopardi il piacere della vita. Che costituisce il vero superamento del suo pessimismo.
Emblematico al riguardo l’Infinito, che apre la serie dei primi sei idilli. La poesia si basa sul tema infinito-indefinito. Nel concentrarsi sul proprio io, Leopardi coglie non un infinito reale, ma un orizzonte, che oltrepassa la realtà materiale, adombrando una prospettiva metafisica.
La perdita del Sé - scrive Di Lieto - è “in bilico tra desiderio e piacere”, e il concetto dell’infinito nasce “fuori dal tempo e dallo spazio”, facendo trasparire l’idea della immensità. In questa immensità, “s’annega il pensier mio” dal quale emerge “l’inconscio leopardiano”. La sfera inconscia finisce per costituire in sostanza la proiezione della vera realtà dell’Infinito. In questa condizione, si coglie inoltre “un’innata malinconia” (Pirandello).
Le emozioni del poeta, la sua tensione lirica e il suo estatico incantesimo creano una situazione dello spirito che si avvicina al “principio di piacere”. Che per Freud è inteso come appagamento di un bisogno. Dall’Infinito, poesia che sfugge ad ogni tentativo di comprensione, nasce “quella dolce malinconia che partorisce le belle cose”. È questa malinconia a generare la creatività, il pathos, la vitalità. È un mondo che conduce alla “dissolvenza” dell’io nel “dolce naufragio” dell’estasi.
L’attività onirica è “un momento euristico” di ricerca dell’essere. La visione dell’infinito, dell’oltre costituisce “uno stato di grazia”, che ci porta alla “innaturale felicità di un mondo metastorico”, verso l’ascesi.
Dinamiche irrazionali e inconsce caratterizzano la personalità e l’opera di Nietzsche (1844). Sono il presagio della sua malattia mentale (psicosi maniaco-depressiva) e del forte sentimento di inquietudine di una crisi storica profonda, di un rivolgimento totale della cultura europea e del suo universo di valori. Di qui, la scissione dell’io, il nichilismo, la morte di Dio, il superuomo.
La sua opera rivela una dimensione “distruttiva e nichilistica” assieme al tentativo di sondare l’abisso dell’io e dell’inconscio. C’è scetticismo verso qualsiasi dogmatismo. Esclude ogni istanza teologico-metafisica e dunque anche la morale, la religione e l’arte, che sono parte integrante del pensiero metafisico.
Egli critica pertanto le “pretese metafisiche” del pensiero occidentale e prende posizione contro la cultura moderna a cui contrappone la sana cultura greca. In Nietzsche c’è l’idea “orgiastica della follia sacra”, ma c’è anche Dioniso, il dio dell’estasi, della lacerazione e delle passioni. Si protesta infatti l’ultimo discepolo di questa divinità, una figura ambigua e seducente.
Il concetto di volontà di potenza insieme con quello di superuomo è il senso dell’essere, è la vita concepita come forza capace di un continuo rinnovamento. È desiderio di vivere. L’esame della sua opera mostra un io diviso, una crisi profonda e inarrestabile dell’io. È fondamentale il suo tentativo di analizzare il suo inconscio, alla ricerca della propria interiorità. Che tuttavia rimane oscura.
Es e Super-Io si sovrappongono, così come l’apollineo e il dionisiaco. L’Es (Dioniso) contiene forti emozioni e irrazionalità. Pensiero e istinto coincidono. Al dio dei misteri e dell’irrazionale si contrappone Apollo (Super-Io), il dio delle arti, dell’equilibrio e dell’armonia, della bellezza e dello splendore della vita. E Nietzsche costruisce la sua personalità sull’opposizione tra lo spirito “apollineo” e quello “dionisiaco”.
Egli sostiene insomma un nuovo orientamento esistenziale, un nuovo umanesimo, che presuppone non solo la creazione di nuovi valori e principi e post-verità. Ma anche la “morte di Dio”, che rende l’uomo libero da angosce, paure, illusioni e finzioni metafisiche. Dalla morte di Dio e dal rifiuto della metafisica nasce dunque il nichilismo. Di fronte al nulla e alla vanità di tutto, il filosofo sceglie la sua volontà di potenza, per conseguire la realizzazione di sé stesso, ovvero di un essere in divenire.
In Pirandello (1867), il disagio psicologico è “rilevabile” sia attraverso la suggestione della scrittura che della parola dipinta. Nel pittore-narratore si raccolgono gli scenari rimossi delle tracce anamnestiche e la coscienza di un “io diviso. Tutta la sua opera si basa sullo studio dell’inconscio condotto attraverso un lungo processo di autoanalisi, dal quale affiorano il “principio di piacere” e il “principio di realtà”.
L’artista in questo modo opera una “rappresentazione del sé” insieme con la ricerca della “perduta armonia dell’io”. In particolare, la scrittura ha la funzione di indagare il rimosso e le “contrastanti personalità” all’interno dello stesso individuo. I personaggi pirandelliani infatti hanno una personalità multipla. La tematica del doppio e dell’io diviso porta i personaggi a vivere - spiega Di Lieto - “una psiconevrosi irreversibile”.
Dall’abisso dell’inconscio e dell’Es appaiono stati angosciosi e una “insicurezza ontologica”. L’Es per Pirandello rappresenta la parte oscura e inaccessibile della nostra personalità, fortemente legata a eros e thanatos. Nell’opera pirandelliana poi c’è l’idea ossessiva di vivere in “una surrealtà visionaria”, caratterizzata dalla “paura di impazzire”. C’è la ricerca continua di una “identità misteriosa”, c’è il bisogno di comprendere i fantasmi della mente, dai quali cerca di sfuggire, immaginando un’altra realtà, dove l’arte diventa “salvezza e liberazione”, Salvezza dal suo stato depressivo che gli procura una grande angoscia e un forte disorientamento. Per questa via, la scrittura, la poesia, l’arte assumono una funzione terapeutica e compensativa, nel tentativo di “ricomporre” la dissociazione della personalità.


Guido Brunetti


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