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Edonismo

 

Dal greco piacere, godimento, è, in senso generico, ogni dottrina che pone il piacere, comunque inteso, a norma e fine ultimo dell'attività umana, facendo in esso consistere il valore stesso del bene morale. L'edonismo è un derivato nel campo etico dell'empirismo gnoseologico: negata infatti alla conoscenza umana la possibilità di raggiungere, oltre i fatti d'esperienza, valori d'ordine spirituale assoluto (Dio, anima, bene, ecc.), ne consegue logicamente l'impossibilità, o, quanto meno, l'inopportunità di porre questi supposti valori a fondamento e norma della vita morale e della felicità; ed è facile sostituire ad essi il criterio immediato e concreto della soddisfazione, piacere, godimento che le singole azioni sono in grado di procurare all'individuo. Edonismo, questo, in senso proprio, distinto da altri sistemi etici affini come l'eudemonismo e l'utilitarismo.

L'edonismo compare sistematicamente nella filosofia occidentale con Aristippo (435-360), il fondatore della scuola cirenaica. Concretando il concetto del bene rimasto alquanto indeterminato in Socrate, Aristippo lo polarizzò verso il godimento individuale, inteso ancora in senso abbastanza largo, come l'appagamento di ogni desiderio o tensione dell'animo: tutti i piaceri sono buoni, qualunque ne sia la fonte e l'oggetto; criterio di preferenza è solo il loro maggior grado di raffinatezza e intensità, quale è proprio, secondo Aristippo, dei piaceri del senso, nella immediata concretezza del momento presente. La virtù del sapiente non è che arte del godere, ossia di procurarsi il maggior godimento possibile, padroneggiando il piacere e pur seguendolo come unica e suprema norma dell'agire (cf. Diog. Laert., II, 86 sgg); il piacere è desiderabile e bene per se stesso. I principi di Aristippo, svolti in vario senso dalla sua scuola, ricompaiono più tardi nell'epicureismo. Anche per Epicuro, vale l'equazione bene = piacere, male = dolore: nella ricerca quindi del godimento e nella fuga del dolore consiste il fine supremo della vita e la norma della felicità (Diogene Laerzio, X, 128). Ma Epicuro fra i piaceri stima in sé migliori quelli d'ordine spirituale; comunque, nella ricerca di essi occorre procedere con discernimento, preferendo quelli che, anche in rapporto alle prossime e lontane conseguenze, sono atti a procurarci maggior somma di godimento (cf. Epist. A Meneceo, §§ 128-30). Anche un dolore va ricercato quando sia mezzo a un piacere maggiore. Il sistema etico di Epicuro appare così un'anticipazione dell'aritmetica morale del Bentham.

L'indirizzo edonistico, ripreso da alcune tendenze del Rinascimento (Valla), rivive, seppure in forme diverse, nei sistemi empirico-materialistici della filosofia moderna. Principali rappresentanti: Gassendi, Helvétius, Diderot, Holbach, Feuerbach, e, con piega utilitaristica, Bentham, James e John Stuart Mill, Spencer. In queste ultime correnti sono talora introdotti (Stuart Mill), in disaccordo con i principi generali del sistema, criteri di discriminazione qualitativa fra le varie classi di piaceri (Utilitarism, cap. 2: 3a ed., Londra 1867, pp. 11 sgg.). Da notare che l'edonismo è alla base del sistema sociale marxista, e, come metodo pratico di vita, largamente diffuso nella odierna società, in dipendenza anche dalla cultura filosofica moderna in gran parte orientata verso lo scetticismo metafisico e la negazione del trascendente.

L'etica edonistica, essenzialmente negativa, ha il torto fondamentale di misconoscere i valori più alti della vita umana che rappresentano la base insostituibile di una morale oggettiva. La totale riduzione del bene etico al piacere è in contrasto con le più immanenti esigenze dello spirito umano cui legge e norma, anteriormente all'utile e godimento immediato, è anzitutto il dovere, espressione dell'ordine etico assoluto, entro cui la sua azione, appunto perché personale e spirituale, deve inserirsi. Il piacere e l'utile, intesi nel loro senso più comprensivo, e che l'etica cristiana non intende rinnegare, rappresentano bensì un elemento concomitante e conseguente dell'azione morale, ma non ne costituiscono l'essenza, salvo a negare la moralità in quanto tale. Di fatto l'edonismo, con la sua sostanziale negazione dei valori di onestà, obbligazione, legge, virtù, rende impossibile ogni norma oggettivamente valida del bene e del male, risolvendosi così in negazione della stessa moralità. Questa vien ridotta a puro calcolo d'egoismo in cui tutto è giudicato e accolto secondo l'immediato tornaconto, e anche le più nobili azioni imposte dal dovere, o suggerite da una volontà di bene e di perfezione, perdono, in quanto tali, ogni loro significato e valore.

 

Ugo Viglino

fonte: www.paginecattoliche.it

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