Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
Rorty e l'ironia liberale
di Massimo Fontana - Dicembre 2014
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Una neolingua
Dopo Nabokov, e sempre in Contingency, Irony and Solidarity, Rorty continua la sua escursione nel mondo del romanzo, mettendo sempre più a fuoco la sua attenzione sul tema della crudeltà. Dunque il suo interesse per quello che definisce the last intellectual in Europe: Orwell. Prima Animal Farm e soprattutto 1984.
A precedere Animal Farm, in origine, era un breve trattato dell'autore sulla libertà di stampa.
“Ovviamente non è auspicabile che un dipartimento governativo abbia qualche potere di censura (…) Ma in questo momento il pericolo principale per la libertà di pensiero e di parola non è l'interferenza diretta del Ministero dell'informazione o di un corpo ufficiale qualsiasi. Se gli editori e i direttori di giornali fanno di tutto per sottrarre alla stampa alcuni argomenti, non è per paura di essere perseguiti, ma per timore dell'opinione pubblica (…) Il fatto sinistro per quanto riguarda la censura letteraria in Inghilterra è che essa è in larga misura volontaria. Le idee impopolari si possono mettere a tacere, e i fatti inopportuni si possono tenere all'oscuro, senza bisogno di nessun bando ufficiale”. George Orwell, La fattoria degli animali, Milano 1947, pagina 28 (Animal Farm, Londra 1945).
Ci si può chiedere sino a che punto un ironico possa affermare una nuova versione e sino a che punto invece questa rischi di essere soffocata dalle versioni normali e rassicuranti di cui molti di noi hanno bisogno.
Orwell, in 1984, attraverso Winston, ricorda come non ci fosse una regola precisa che proibisse alcunché ai membri esterni del partito Socing, che sentono quasi senza bisogno di regole il dovere di privarsi di molte libertà.
La questione legata alla distopia di 1984 non sembra avere a che fare più di tanto con la presenza di una serie di termini severi e proibitivi calati dall'alto, attraverso l'autorità del Grande Fratello e l'idea di società proposta dal partito; forse è legata all'ansia di conformarsi a un linguaggio unico, rassicurante.
In Animal Farm, ad esempio, la casta dominante dei maiali non dispone di un codice definitivo. Più che ai sette comandamenti scritti a lettere cubitali nella stalla e successivamente più volte "aggiornati", i maiali si affidano alle ridescrizioni epiche di Clarinetto, un maiale particolarmente abile nella retorica che, di volta in volta, riscrive gli avvenimenti storici della fattoria durante e dopo la rivoluzione e la cacciata degli uomini.
Lo stesso Winston, in Oceania, svolge il suo lavoro di riformulazione della storia presso il Ministero della Verità: è addetto alla manipolazione degli articoli dei quotidiani, per cancellare ogni eventuale traccia delle fallite previsioni del Grande Fratello.
Il linguaggio unico sembra irrealizzabile anche dove ci sarebbero tutti i presupposti, in Oceania o nella Fattoria degli Animali.
A persuaderci può essere proprio una metafora come quella usata da Orwell in Animal Farm. Nella caricatura del regime autoritario e bugiardo messo in scena in quell'opera, i maiali diventano razza dominante e lo stivale dei maiali prevaricazione ottusa e violenta.
Nell'immagine dei maiali è rappresentata anche l’idea rortiana della metafora, che appare come qualcosa di azzardato, per poi entrare nell'immaginario collettivo meglio di come potrebbero un saggio di politologia o sociologia.
Animal Farm non è un trattato, ma narrativa e per questo secondo Rorty è efficace, un'invenzione letteraria che ancora oggi prendiamo sul serio (ed è come affermare che le condizioni socio-politiche in cui scriveva Orwell non sono ancora troppo diverse da quelle attuali).
Oltretutto, se consideriamo gli equilibri interni all'opera, anziché l'impatto sociale, comprendiamo come la metafora mantenga uguale importanza anche come espediente letterario.
Animal Farm si chiude con l'intera fattoria degli animali che osserva furtivamente dalla finestra i litigi, dopo una partita a carte, tra i proprietari delle fattorie vicine (uomini) e i proprietari della loro fattoria (i maiali). Si dissolve la differenza residua e i maiali sono in tutto simili agli ex nemici, gli uomini.
Da una parte viene meno il primo e più solenne dei sette comandamenti degli animali, Tutto ciò che va su due gambe è nemico, nell'ennesima prova della vanità di ogni proposizione definitiva. Dall'altra, con i maiali che camminano a due zampe e somigliano in tutto ai vecchi nemici di sempre, svanisce la metafora portante dell’opera. Non a caso con essa si dissolve la magia di Animal Farm, che termina.
La narrazione finisce con l’estinzione della metafora portante. Oltre avremmo dovuto immaginarci, con poco sforzo e molta noia, l'esistenza quotidiana di un qualsiasi agricoltore possidente terriero (il litigio durante la partita a carte è un anticipazione di un futuro che possiamo già immaginare senza fatica). La dissoluzione della metafora coincide con il sacrificio del dettaglio a vantaggio della normalizzazione, della semplificazione, con l’umanizzazione dei maiali.
Nella realtà unificata e indistinta di 1984, i prolet (coloro che vivono al di fuori delle gerarchie del partito, ai margini della città) sono la speranza di Winston. Possiamo pensare che essi rischino di conservare la forza di un vitale e imprevisto errore, ciò che li porterebbe a sopravvivere alla neolingua. Il vecchio prolet che Winston avvicina non gli fornisce le informazioni generali che si aspetta, se si stesse meglio prima della rivoluzione oppure no, sulle leggende diffuse dal partito… In realtà il vecchio, deludendo Winston, ricorda nitidamente solo alcuni eventi particolari della propria vita.
Ma lo stesso Winston, violando le oscure regole del Socing, acquista un quaderno allo scopo di annotare impressioni sparse o fornire una testimonianza, come se potesse ricrearsi scrivendo. Le annotazioni sgrammaticate e parziali di Winston sono anche la risposta alla negazione totale auspicata dal partito attraverso la neolingua.
“Tutta la letteratura del passato sarà completamente distrutta. Chaucer, Shakespeare, Milton, Byron… esisteranno solo in neolingua”. George Orwell, 1984, Milano 1947, pagina 47 (1984, Londra 1947).
Così il collega Syme tenta di esemplificare per Winston le conseguenze dell'applicazione della neolingua. La neolingua è il linguaggio ripulito da ogni particolarità e da ogni termine "non indispensabile" al funzionamento di una società come quella instaurata dal partito Socing in Oceania nel 1984.
Nell'appendice a 1984 intitolata I principi della neolingua, Orwell scrive di come sia prerogativa di ogni regime autoritario esprimere un vocabolario costruito su neologismi nati da abbreviazioni di termini in uso. Nazi, Gestapo, Agitprop…
Lo stesso Winston è alla ricerca, nei quartieri prolet, di oggetti che gli ricordino e aprano uno spiraglio sul passato, sul mondo prima del Socing. Trova questo in un fermacarte di vetro. Il fermacarte è il frammento di un mondo che Winston non ha potuto vedere. Un oggetto privo di significato, che non conserva alcuna utilità, per come questa gli era attribuita originalmente. Un oggetto che sfugge alla logica del partito, che risplende per la sua errata collocazione temporale.
Pensiamo alle razioni di gin controllate, alla penuria di lamette da barba o altro, tutto in quel 1984 è razionato e controllato, centellinato e propinato ai membri esterni del partito in una dose mai eccedente a quella strettamente necessaria alla sopravvivenza individuale, e agli scopi del partito unico Socing.
Un fermacarte in vetro è un oggetto impensabile e inutilizzabile per il Socing. Sottratto al mondo in cui è nato e allo scopo per il quale era stato utilizzato, il fermacarte stona vistosamente con l'oggettistica grezza e utilitaria del Ministero della Verità (dove lavora Winston). Quell'oggetto non ha scopo e non esiste, desta sospetto per la sua manifesta irriducibilità a un fine certo e può indurre a pensare a qualcosa che non sia di stretta attinenza alle attività sociali e politiche del Socing. È un'inutile anomalia, una stonatura.
Diversamente, il celebrato trattato socio-politico del leggendario leader dell'opposizione segreta al Grande Fratello, Goldstein, il libro sacro dei nemici del Socing, appare tutto sommato noioso. Il libro che dovrebbe spiegare ogni cosa, conferma solamente cose risapute e ben note, chiarendole appena un po'.
Questo testo, tanto atteso e temuto da Winston, rivela la sua pretenziosità e la sua infondata brama di abbracciare e risolvere in sé ogni dubbio in relazione alla situazione politica dell'Oceania e del mondo intero. A dispetto dell'attesa con la quale è introdotto, non si rivela di alcuna importanza, non solo perché a scriverlo sono in realtà alcuni membri del partito stesso, ma per il fatto che i migliori libri non sono quelli che ci dicono qualcosa che già sappiamo, non sono quelli che propongono verità per colui che già a sua volta abbia pensato i pensieri ivi espressi.
Nel romanzo distopico di Orwell lo stato totalitario sembra quasi del tutto realizzato, la neolingua e la strategia della semplificazione assoluta paiono trionfare, aldilà di ogni debole tentativo messo in atto dagli amanti Julia e Winston che, al termine della seconda parte, sono catturati dalla psicopolizia.
“Qualcuno aveva afferrato il fermacarte di vetro dal tavolo e l'aveva scagliato sulla pietra del caminetto, rompendolo in mille pezzi”. George Orwell, 1984, Milano 1947, pagina 232 (1984, Londra 1947).
Appendice al paragrafo Una neolingua.
Da un punto di vista etimologico Big brother, termine usato da Orwell per indicare il nome del leader del partito politico totalitario Socing, nel romanzo 1984, è stato tradotto nella lingua italiana con “grande fratello”. Alcuni hanno fatto notare che il termine big brother andrebbe più correttamente tradotto dall’inglese con “fratello maggiore”. Quest’ultima traduzione, a mio parere, mal si adatta al contesto del romanzo di Orwell. Improbabile affibbiare al big brother qualsiasi termine che introduca un immaginario legato al mondo della famiglia (fratello, padre, zio, ecc.), in un contesto di consolidata disintegrazione sociale e isolazionismo. Nessun membro del partito Socing ha come modello sociale quello della famiglia, né vi è alcuna intenzione (e, verrebbe da pensare, possibilità) da parte di O’Brien, ma nemmeno dello stesso Winston, di farsene un vanto, un’aspirazione. Anche un’intenzione originale canzonatoria dello stesso Orwell, nel scegliere un nome che rimandasse all’immagine del nido famigliare, sarebbe azzerata dalla cupezza dell’ambiente socio-politico narrato e dall’astrattezza apocalittica di ciò che in 1984 ci rimane del personaggio Big brother. Difficile dimenticare i figli che denunciano i padri alla psicopolizia. “Grande fratello”, come nella traduzione in uso nel nostro paese, è un termine che ha il merito di renderci la figura del big brother in una luce più fedele al contesto del romanzo, senza fare torto ad Orwell. “Grande fratello” è un termine che allude al modello sociale basato sulla famiglia in un modo così lontano e grottesco da renderci bene l’idea di un ricordo sbiadito nel tempo e ridicolizzato. Stracci di memorie alterate e sostituite con concetti talmente assurdi da sembrare verosimili in un mondo alla rovescia come quello di 1984. Come se il partito avesse tentato di coniare un termine rassicurante e famigliare per il proprio leader, ma avesse fallito, non avendo nemmeno più memoria di cosa potesse essere una vera famiglia, un vero padre, un vero fratello maggiore. Per questo il termine “grande fratello” rende possibile una descrizione perfetta di un personaggio astratto e ottuso come il Big brother orwelliano. Nessuna traduzione letterale avrebbe ottenuto tanto.
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