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George Orwell

 

La vita

Eric Arthur Blair, vero nome di George Orwell, nacque il 23 giugno 1903 a Motihari, nel Bengala, dove il padre, d'origine angloindiana, era funzionario dell"'lndian Civil Service". La famiglia di George Orwell apparteneva alla borghesia «alto-bassa», come la definì lo stesso scrittore con sarcastica contraddizione. Al ruolo dominante e privilegiato degli amministratori britannici nelle colonie non corrispondeva, infatti, un analogo status in Inghilterra. In India, i Blair si destreggiano a conciliare effettiva scarsità di mezzi e salvaguardia delle apparenze quando, nel 1907, Eric torna in patria con la madre e le due sorelle e si stabilisce a Henley-on-Thames. Iscritto nell'esclusivo collegio St. Cyprian di Eastbourne, George Orwell ne esce con una borsa di studio e un opprimente complesso d'inferiorità, come racconta nel saggio autobiografico “Such, such were the Joys” del 1947. Né riuscirà a integrarsi nel clima altrettanto snob, seppur meno gretto, di Eton, dove è ammesso nel 1917.
Il senso di sradicamento è probabilmente alla base della sua decisione di seguire le orme paterne arruolandosi nel 1922 nell'''lndian Imperial Police" a Mandalay, in Birmania. Pur se ispirerà il suo primo romanzo (in ordine di composizione, ma edito solo nel '34), “Giorni in Birmania”, l'esperienza si rivela traumatica. Diviso fra il crescente disgusto per l'arroganza imperialista e la funzione repressiva che il suo ruolo gli impone, George Orwell si dimette nel 1928. Nello stesso anno parte per Parigi. Il suo non è solo un pellegrinaggio nella capitale intellettuale, ma una vera e propria esplorazione dei bassifondi, dove sopravvive grazie alla carità dell'Esercito della Salvezza, sobbarcandosi lavori umilissimi. Un'avventura che continuerà subito dopo anche in patria e accenderà estro al romanzo d'esordio, “Senza un soldo a Parigi e Londra”, pubblicato nel '33 con il nome di George Orwell.
Tra il 1932 e il 1936 alterna alle fatiche di romanziere quelle di insegnante e di commesso di libreria, che entreranno nelle descrizioni d'ambiente dei due romanzi successivi, “La figlia del reverendo” del '35 e “Fiorirà l'aspidistra” del '36. Su commissione del Left Book Club, un'associazione culturale filosocialista, svolge un'indagine nelle zone più colpite dalla depressione economica, che lo porterà, nei primi mesi del '36 tra i minatori dell'Inghilterra settentrionale. Le loro misere condizioni saranno descritte in “La strada di Wigan Pier” (pubblicato nel '37). Sempre nel '36 sposa in giugno Eileen O'Shaughnessy, impiegata al Ministero dell'lnformazione, e parte in dicembre come volontario per la guerra di Spagna, raccontata nel diario, reportage edito nel '38, “Omaggio alla Catalogna”.
A Barcellona si arruola nelle file del P.O.U.M. (Partito Operaio d'Unificazione Marxista, d'ispirazione trotzkista) ed è inviato sul fronte aragonese. Colpito alla gola da un cecchino franchista rientra a Barcellona. Ma il clima politico è mutato. Con il prevalere della linea del Fronte Popolare e del partito comunista nel governo repubblicano il P.O.U.M. e gli anarchici sono dichiarati fuorilegge e Orwell deve lasciare la Spagna quasi clandestinamente. Del '39 è il romanzo “Una boccata d'aria”.
Respinto come inabile allo scoppio della seconda guerra mondiale si arruola nel '40 nelle milizie territoriali della Home Guard. Gli anni dal' 41 al '46 lo trovano a Londra dove collabora a giornali e riviste («Partisan Review», «New Statesman and Nation», «Poetry London»), cura per la BBC una serie di trasmissioni propagandistiche dirette all'India, è redattore del settimanale socialista «Tribune», che gli affida una rubrica (“As I please”, A modo mio).
Nel '45, anno in cui muore la moglie, è in Francia, Germania, Austria come corrispondente dell'«Observer». Sempre nel '45 appare il romanzo del successo, “La fattoria degli animali”.
Nel' 47 si stabilisce con il figlio Richard, adottato nel '44, a Jura, una fredda e disagiata isola delle Ebridi. È minato dalla tisi, il clima non si confà alle sue ormai disperate condizioni di salute, costringendolo a continui ricoveri in sanatorio. Nel '49, risposatosi con Sonia Bronwell, redattrice di “Horizon", si dedica, letteralmente incalzato dalla morte, alla revisione di 1984. Si spegnerà a Londra il 23 gennaio 1950.

 

La fortuna

In Orwell le continue sovrapposizioni uomo-scrittore, pongono non pochi problemi interpretativi. I personaggi dei primi romanzi, in particolare, soffrendo di un eccessivo ricalco biografico, paiono mancare di efficace caratterizzazione e, più che di vita autonoma, vivrebbero come portatori delle istanze del loro autore su particolari problemi. In questo senso proprio i romanzi premiati dal successo di pubblico, “La fattoria degli animali” e “1984”, sono considerati, per motivi diversi, i più riusciti anche dalla critica. Ma la scarsa attenzione prestata alle prime opere di Orwell derivò anche dalle difficoltà di pubblicazione. “Giorni in Birmani” uscì con anni di ritardo per tema della censura statale; “Omaggio alla Catalogna” faticò non poco a trovare un editore disposto a rischiare su un'interpretazione tanto poco allineata della guerra civile. La stessa “Fattoria degli animali”, strepitoso bestseller da 11 milioni di copie, finito nel '44, capitava male - proprio quando l'Inghilterra aveva più bisogno del potente alleato sovietico - e dovette aspettare un anno la pubblicazione. In Russia, poi, solo con la “glasnost” è stato tolto dall'indice dei libri proibiti. Vicissitudini editoriali che confermano a Orwell la fama di autore "scomodo". L'ansia per la verità, l'imparzialità di giudizio perseguita quasi fino alla maniacalità, l'onestà intellettuale - che trovano l'espressione più viva in “Omaggio alla Catalogna”, libro rivalutato dalla moderna critica storiografica e considerato uno dei più lucidi sull'argomento - danno quasi costantemente un carattere di denuncia alla sua opera.
L'inesauribile verve polemica che nei saggi e negli articoli fece di Orwell un implacabile e magistrale pamphleter, gli costarono, letterariamente e politicamente, l'isolamento. Dall'”intellighenzia” degli anni '30, dagli Auden e dagli Spender con cui pure aveva condiviso l'esperienza spagnola, lo separa il suo irrinunciabile spirito critico nei confronti del marxismo. Gli strali immancabilmente rivolti contro una letteratura asservita all'ortodossia investono un'intera generazione d'intellettuali “engagées”, di «poetini effeminati» corrotti dallo spirito gregario e irretiti nel culto della Russia. La sua denuncia degli opposti totalitarismi lo vide inviso alla destra e alla sinistra e spesso strumentalizzato da entrambe. L'insistenza con cui dal '36 in poi si volse contro il regime comunista tende a far dimenticare che Orwell si definì sempre socialista. Certo, il suo socialismo, così come egli lo andava assestando sui cardini di «giustizia» e «libertà» non poteva identificarsi con il socialismo reale. La sua società ideale, più che alla dottrina del materialismo storico, sembra ispirarsi a un primato morale, che contempla decoro, rispetto della dignità umana, tolleranza, un concetto ampio di “decency”, insomma, esteso a tutte le classi. Un modello sulle cui effettive possibilità di realizzazione il pessimismo di “1984” viene a porre una grave ipoteca. L'universo catastrofico di Orwell non è, infatti, che il precipitato di tutte quelle tendenze negative che egli vede già nel suo tempo. Secondo il tratto distintivo della letteratura antiutopica, per lo scrittore il futuro è già presente, nel momento in cui egli scrive il processo di degenerazione è già avviato, la massificazione ha già iniziato a corrodere il destino individuale e sociale. L'urgenza dell'avvertimento è drammatizzata in Orwell dalla vicinanza della proiezione: non un futuro remoto del prossimo millennio - dove, invece, s'ambientano gli altri campioni dell'escatologia negativa del '900, “Il mondo nuovo” di Huxley e “Noi” di Zamjatin - ma addirittura un anno del suo stesso secolo, ottenuto semplice mente invertendo le cifre finali della data di composizione, 1948, del romanzo. Quindi una lettura che insista sull'aspetto «profetico» di 1984 - inevitabile apogeo delle monumentali celebrazioni che sono state promosse dai media allo scoccare della data orwelliana - rischia d'essere sviante. La valutazione di 1984 sulla base dell'effettiva esistenza, oggi, di stati totalitari, d'uno strapotere dei mezzi di comunicazione, d'una tecnologia alienante - o di quant'altro si è voluto identificare come la maggiore intuizione orwelliana non dovrebbe oscurarne il carattere di monito, valido per ogni futuro.

Da: “1984” di George Orwell – Mondatori Editore

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