Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
La gestione del punto di vista. Spunti per un'ermeneutica del cambiamento in Epitteto.
di Lucio Scognamiglio
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Epitteto: chi era costui?
Delle convinzioni normalmente non ci chiediamo da dove vengono, esse ci appaiono come la proiezione interna di un certo spicchio di realtà che stiamo vivendo. La realtà normalmente coincide con la nostra percezione e da questa scaturiscono convinzioni, positive o negative, sulla medesima, col risultato perverso che lo strumento diventa fine e il fine si perde; la realtà s'identifica in ciò in cui crediamo e quindi non necessita di analisi.
A ben vedere siamo di fronte a un trinomio che parte dalla percezione della realtà, si trasfonde nella personale convinzione e diventa parte di noi stessi; abbiamo chiuso il cerchio. A questo punto ogni modifica della percezione equivale a un arretramento della convinzione personale e quindi ad una perdita di una parte dell'essere. Siamo sulla roccia delle nostre convinzioni a difendere un territorio che facciamo erroneamente coincidere con la nostra sfera d'inviolabilità, spacciando il nostro ardore per amore della verità, invece di vederlo per quel che è, cioè paura di perdere in tutto o in parte noi stessi. Inconsapevolmente blindiamo la nostra capacità di lettura e quindi di giudizio, ancorandola ad un punto di vista inamovibile. Ed è sovente con questo approccio che si affrontano anche i momenti critici, complessi o dinamici, mettendo in atto azioni o re-azioni inadeguate o dannose.
Dal punto di vista scientifico Thomas Kuhn parla di slittamento di paradigma, riferendosi al momento in cui un determinato modo di pensare entra in crisi e non è più in grado di “leggere” e risolvere le diverse problematiche emergenti, così viene sostituito da un altro, frutto di un modo di ragionare completamente diverso. Durante le rivoluzioni scientifiche cambia il paradigma di riferimento, ma il cambio non è conseguenza di un'evoluzione coerente e progressiva delle conoscenze scientifiche. Si afferma invece un nuovo paradigma un modo di “vedere le cose” completamente nuovo che spazza via il vecchio in modo traumatico e a volte brutale, altrimenti non si parlerebbe di “rivoluzioni scientifiche”. “È da notare che nelle rivoluzioni scientifiche si ha una sostituzione di paradigmi, il che non vuol dire che nel cambiamento si registra un progresso. Si può parlare di progresso entro un paradigma, ma non di un progresso nel passaggio da un paradigma a un altro. Ciò che è giusto o sbagliato è tale rispetto a un paradigma, ma non possiamo classificare un paradigma come giusto o sbagliato rispetto a un altro paradigma: i paradigmi, come dice Kuhn, sono incommensurabili.” (Claudio Pizzi: Lezioni di filosofia della scienza)
La negatività è normalmente il presupposto da cui partire per aprirsi al cambiamento, d'altronde se le cose andassero bene perché sforzarsi? Non solo perché ne rappresenta la molla motivazionale, ma anche perché il momento negativo è disarmonia, rispetto a una precedente situazione in equilibrio tra essere, agire e vissuto, dove la parte razionale, emotiva e pulsionale si trova in empatia col contesto ambientale o relazionale. La crisi si appalesa quando il sistema di rapporti salta perché, evidentemente, i paradigmi su cui si basa si stanno o si sono modificati, spesso all’insaputa delle parti coinvolte, trasformando uno stato da empatico in patologico. Quando ciò avviene, quando si passa dall'empatia, cioè dall'en (compenetrazione) páthos (della sofferenza, degli affetti), alla patologia, cioè alla páthos (sofferenza) logìa (del discorso), quindi dall'equilibrio al disequilibrio, si scivola verso la perdita di senso, verso l'incapacità di capirsi, di relazionarsi, di condividere uno stesso discorso (inteso anche come diversa attribuzione di senso alle stesse parole). Questi momenti impongono – per non esserne travolti - un salto di paradigma, quindi la necessità di lavorare sulle proprie capacità percettive “prendendo le distanze”, non solo dall’oggetto percepito (realtà), ma anche dal soggetto percettore (noi stessi).
La pratica dell’allontanamento ha, come principale obiettivo, quello di ridurre gli elementi significativi della condizione individuale agli elementi essenziali, al fine di recuperare una capacità di lettura, di orientamento e quindi di giudizio, scevra da condizionamenti, per favorire anche in noi stessi uno slittamento di paradigma, altrimenti impossibile da attuarsi. Questa strada appare obbligata se non si vuole subire o aggravare gli effetti di eventi inconoscibili. La metodologia proposta si basa su una “pratica del dubbio” utile per l’analisi del vissuto, sia per valutare l'efficacia di percorsi cognitivi ripetuti nel tempo, sia per disancorare la propria persona e le proprie scelte da un determinato contesto e da un certo giudizio. Guardando dall'esterno gli eventi della vita è possibile scorgerne profili che altrimenti sarebbero rimasti nascosti e trovare soluzioni a problematiche che apparivano inestricabili.
Siamo nudi e ignoranti di fronte alla conoscenza, sapendo che quella che possediamo è in scadenza, se non già scaduta. Quando ci troviamo in questa assai poco piacevole situazione, dobbiamo cercare di uscirne elaborando un piano di emergenza, non certo per ripristinare lo status quo ante, ma per cercare nuovi e più sostenibili equilibri. Umilmente dobbiamo perciò “prendere le misure” sia da noi stessi, sia da quello che ci circonda per recuperare gli elementi essenziali della logìa, del discorso, che affondano le proprie radici in quelle della conoscenza stessa.
In questo prospettiva il Manuale di Epitteto offre degli strumenti di analisi tuttora incredibilmente attuali, nonostante i quasi venti secoli dal loro concepimento. Strumenti forgiati su una logica stringente che rappresentano vere e proprie leve immediatamente utilizzabili grazie alla loro semplicità. Le sue massime sono pinze, tenaglie, scalpelli da usare come “attrezzi del pronto intervento”, quando si scivola verso la perdita di senso. Sono strumenti efficaci ad aprire le gabbie cognitive in cui senza saperlo siamo rinchiusi e stiamo soffocando.
Rilette oggi le sue massime stimolano spunti di riflessione assolutamente attuali, non solo sotto il profilo filosofico ed etico, ma anche sotto quello psicologico. L'aspetto forse più interessante che emerge dai suoi scritti è la metodologia che riporta la complessità all’essenziale, recuperando così la dimensione biologica dell'uomo, al contrario di alcune attuali pratiche, orientate più a distruggere che trasformare. Le fondamenta del suo pensiero sono ancorate a saldi principi logici ed etici, che possono essere utilizzati per differenziare ciò che invece oggi tendiamo artatamente ad unire. I suoi strumenti concettuali rappresentano la migliore risposta alla “saggezza” di alcuni analisti, terapeuti ed esperti che spesso sostituiscono una gabbia con un'altra, imponendo modelli nuovi, senza però insegnare nulla sulla disciplina della libertà. Epitteto sostiene invece un'etica laica contenente i principi di base a cui riferirsi per il proprio personale equilibrio, una bussola da utilizzare quando il cielo è coperto, una mappa su cui è possibile tracciare la propria esistenza, valutare il proprio agire e accrescere la propria consapevolezza.
Il nocciolo della sua filosofia è racchiuso nel Manuale che ha avuto un'indubbia fortuna nel corso dei secoli, nella formazione della cultura occidentale e come ponte con quella orientale, ma anche per la stessa etica cristiana. Nelle considerazioni che seguono esamineremo del Manuale solo alcune massime, quelle che maggiormente appaiono utili ad “amplificare” coscienza e consapevolezza personali, per meglio disporsi ad acquisire nuova conoscenza di sé e della propria condizione.
Il legame tra coscienza e consapevolezza è fondamentale non solo per la crescita individuale, ma anche per quella collettiva e quindi per la progressione sociale, culturale, scientifica ed economica necessaria allo sviluppo di una società sempre più basata sulla conoscenza. In particolare ci soffermeremo sul suo metodo di disidentificazione dal contesto, raggruppando le massime scelte con riferimento: al soggetto percettore (il singolo con riferimento alla realtà) e all'oggetto percepito (la realtà con riferimento al singolo), secondo una classificazione non tradizionale, ma funzionale alle esigenze espresse in precedenza. Proprio in questa capacità di rendere mobili approcci cognitivi che invece si considerano fissi, risiede la straordinaria modernità del messaggio di Epitteto.
Verranno viceversa tralasciate molte altre prescrizioni e consigli che, pur potendo contribuire ai nostri scopi, enfatizzano troppo il ruolo egemone della volontà e della ragione, oppure quelle eccessivamente rinunciatarie che risentono dei canoni propri della Stoà. Per una descrizione della sua dottrina etica, che si può riassumere nella massima che recita: “Dio mi conceda la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capirne la differenza", si rimanda a: http://it.wikipedia.org/wiki/Epitteto.
Prima di commentare le sue massime (le traduzioni in italiano delle parti del Manuale che seguono sono tratte da: Il Manuale di Epitteto – Introduzione e commento di Pierre Hadot, Einaudi 2006), è doveroso un ringraziamento ad Arriano, discepolo di Epitteto, che ha trascritto il suo pensiero nel Manuale e nelle Diatribe, senza la sua perizia non sarebbe giunta fino a noi questa incredibile eredità sapienziale.
Come Socrate, anche Epitteto non scrisse nulla, convinto che la filosofia sia una pratica di vita, ritenendo quindi utile non tanto parlare, quanto vivere da filosofo. Una critica alla filosofia intesa in modo libresco e scolastico che potrebbe, come tanti altri suoi insegnamenti, essere applicata utilmente anche oggi dove ci si impegna soprattutto a ripetere piuttosto che elaborare. Questo profilo, che non tratteremo in questa sede, diventa tuttavia strategico per formare nelle nuove leve di giovani, mentalità aperte al divenire. “Il tradizionale sistema di istruzione è stato impostato sostanzialmente per far prevalere la dominanza di una memoria fondata sul consenso acritico, a strutture logiche gerachizzanti proprie del passato; pertanto ha teso a favorire la memoria dell’essere anziché quella del divenire, sulla base del rafforzamento ripetitivo di una identità culturale mistificante in quanto statica, anziché favorire la conoscenza di una continua re-identificazione della formazione dinamica della memoria con il variare dell’ambiente comunicativo.” (Paolo Manzelli: Le nuove teorie della mente e le Nuove Tecnologie).
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