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Ma la novità, pur affermandosi
all'interno di un modo di ragionare consolidato, modifica in modo
irreversibile lo stato di cose precedente. Il nuovo contenuto, affermatosi
entro i limiti di una forma consolidata, produce il superamento di questi
limiti. Dopo le geometrie non-euclidee non è più possibile ragionare come
prima, perché cambia aspetto la percezione della "verità" in Geometria: tale
"verità" non può più essere posta nell'intuizione, nell'evidenza.
Gli assiomi non sono più evidenti di per sè e quindi veri; possono
divenire convenzionali (Poincarè [2], inizio XX secolo) e
quindi, in una certa misura, arbitrari: la loro scelta è una questione
di convenienza. Cambia la teoria della verità; lo spazio non è più
pensabile come assoluto, ma può essere visto in relazione alla distribuzione
della materia; nel ragionamento matematico si sviluppa l'aspetto formale, e
diminuisce il ruolo del significato; emerge prepotentemente il concetto di sintassi
e dell' autoconsistenza sintattica come vincolo principale, se non
unico, alla base della "validità" di una teoria matematica, dalla "verità" si
passa alla "coerenza" ecc. ecc.
[2] J. H. Poincaré (1854 - 1912),
insigne matematico francese, autore di fondamentali opere di matematica,
meccanica celeste ecc. Sostenne che le proprietà dello spazio fisico possono
essere descritte indif
fe
rentemente
mediante la geometria euclidea o le geometrie non-euclidee, per cui non avrebbe
alcun senso chiedersi quale geometria sia quella "vera". La scelta tra le
possibili alternative sarebbe dunque dettata esclusivamente da ragioni di
opportunità, p.es. di semplicità. Benchè questa tesi sia stata contraddetta
dalla relatività generale [per la quale lo spazio fisico tridimensionale non
può essere descritto da una geometria "piatta" come quella euclidea], il
concetto fondamentale - cioè il non avere senso assoluto considerare "vera" una
geometria a scapito delle altre, ma utilizzarle come strumenti adatti alla
descrizione dello spazio fisico - si è progressivamente affermato, sino a
diventare la posizione oggi corrente. La posizione di P. è stata spesso
designata come convenzionalismo.
Insomma: il primo momento non
incorpora la sua antitesi; quest'ultima è un effettivo
superamento dello stato precedente.
Questo carattere di superamento
inglobante i momenti precedenti è ben visibile nella struttura formativa
delle teorie fisiche a partire dal '600 in poi. In particolare, la relatività
generale include la teoria della gravitazione di Newton, la QED [3] integra la meccanica quantistica e l'elettromagnetismo classico, ecc...
[3] Quantum ElectroDynamics =
Elettrodinamica Quantistica. Una teoria molto potente, che permette di
interpretare con grande precisione tutti i
fe
nomeni
elettromagnetici noti, dovuta in gran parte all'opera del fisico americano Richard P. Feynman (1918 - 1988)
Quindi, la portata rivoluzionaria
della novità non si manifesta sempre al primo
impatto. Non sempre il primo urto scardina lo schema formale sottostante;
spesso si tenta di conciliare il nuovo col vecchio schema (l'operazione può
riuscire, in effetti) e solo dopo un qualche
tempo emerge, sulle prime confusamente, poi più chiaramente, che questo non
regge più, e si devono accettare nuovi schemi di ragionamento. Il
passaggio dalla fisica classica a quella quantistica è il caso più eclatante.
Obiezioni e controobiezioni
A questa interpretazione del modo
di pensare scientifico si può obiettare, a ragione, che la "novità" deve
corrispondere però a un mutato quadro concettuale che ne consente la
formulazione: una tesi che contraddica quanto ritenuto "vero" fino a un certo
momento non può nascere dal nulla, in generale; la causa del rivolgimento
dovrebbe essere cercata in mutate condizioni del modo di pensare, che sono già
avvenute, o stanno avvenendo, quando la "novità" si manifesta.
Insomma, il mutamento del paradigma deve in qualche modo precedere il manifestarsi
della discontinuità, e questa è la traccia di quello.
La prima cosa da considerare, a
questo riguardo, è che si deve porre attenzione al significato del termine mutamento
di paradigma. Noi possiamo parlarne solo nella misura in cui tale mutamento
o revisione del modo di pensare si manifesta,
e la manifestazione del mutamento può essere
solo in qualcosa che viene detto in un certo momento preciso e in riferimento
a qualcosa di preciso, i.e. una tesi nuova. Che la discontinuità avvenga
in conseguenza di mutate condizioni sullo sfondo, sia nel modo di pensare sia
nella realtà concreta, possiamo ammetterlo senza difficoltà. Ma non è affatto
certo nè dimostrabile che una tesi nuova debba necessariamente essere il
prodotto di rielaborazioni precedenti. Ciò presuppone un determinismo
sottostante la cui realtà non è, a mio avviso, verificabile in tutti i
casi. Che lo sviluppo di qualsiasi processo sia un continuum in cui ogni
momento sia determinato da uno o più momenti precedenti se non dalla
totalità di tali momenti, è pura supposizione: assolutamente legittima e
ragionevole, anzi necessaria se si vuol capire qualcosa di alcunchè (se il
capire consiste nell'operare collegamenti); ma nulla esclude che lo sfondo
sociale e culturale o qualsiasi motivazione sia solo condizionante o stimolante
o addirittura solo selettivo nei confronti di qualsiasi discontinuità manifestatasi. E non si può logicamente
escludere l'indipendenza di una discontinuità dalla totalità delle circostanze.
Non si può cioè escludere che una discontinuità sia tale in modo assoluto, e
non solo in relazione al suo essere contrapposta o comunque non integrabile
nello schema generalmente accettato fino al momento del suo manifestarsi.
Ora, tra le due posizioni estreme
- il nuovo è tale assolutamente; aut il nuovo non è veramente tale, lo è solo in senso parziale e relativo, in riferimento
a certi parametri - sono possibili e auspicabili posizioni intermedie, per cui
la "rivoluzione scientifica" - come quella politica - non nasce
istantaneamente, ma è preceduta da un processo di preparazione. Questo è vero,
ma attenzione, perché il processo di preparazione può con piena ragione
esser definito tale solo se la rivoluzione ha avuto luogo effettivamente.
E che una rivoluzione scientifica sia tale è determinabile solo attraverso le
sue conseguenze sul modo di pensare, [1]
il che implica che ogni descrizione per quanto accurata di un
processo di preparazione, date le conseguenze nella forma
mentis implicate dalla rivoluzione scientifica, è in una certa misura un prodotto
della stessa rivoluzione scientifica. In realtà, ogni punto di partenza nel
tempo è, sul piano logico-semantico, una ricostruzione operata in un
tempo successivo e in questa ricostruzione appare in una certa misura il
materiale costruito successivamente nel tempo; ma è come dire che il punto di
partenza della visione del formarsi del processo si trova verso la fine dello
svolgersi del processo stesso. [2] In realtà, il centro della
ricostruzione è proprio la novità: postulare che la modifica o caduta di un
paradigma è antecedente alla novità è a mio avviso corretto e talvolta
necessario, ma il carattere di discontinuità del "nuovo" deve essere
conservato. Altrimenti, si avrebbe la spiegazione della crisi, ma non si
avrebbe la crisi. Una situazione paradossale.
[1]
questo deve valere per qualsiasi rivoluzione, anche
religiosa.
[2]
a questo proposito, vedasi
Hegel.
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