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Sutra del Loto

Riflessioni sul Sutra del Loto

di Rev. Nisshin   indice articoli

 

Ci vuole umiltà per il Sutra del Loto? 

Giugno 2011

 

Nan-in, un maestro giapponese dell'era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen. Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare.
Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi. «E' ricolma. Non ce n'entra più!».
«Come questa tazza,» disse Nan-in «tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?».

 

Da 101 storie zen a cura di Nyogen Senzaki e Paul Reps, Adelphi Edizioni, 1973

 

 

Ci vuole umiltà per il Sutra del Loto?Chi si avvicina al Sutra del Loto si trova proiettato all'interno di un mondo mistico, senza tempo, dove tutto sembra lontano oltre che dalle nostre vite, dalla nostra concezione di tempo e di spazio. Ma allora come può questo meraviglioso Insegnamento del Buddha realmente aiutare nel concreto le persone? Qual è la chiave di lettura che ci permette di penetrare la misticità del testo e proiettarci aldilà della narrazione? Chi ha esperienza di studio di libri sacri, sa che se i vari insegnamenti non sono trasferiti nella nostra vita, rimangono solo frasi, magari anche fantastiche, ma pur sempre frasi. Ma allora come si studia il Sutra del Loto?
Il Sutra del Loto è universalmente, come riferito varie volte nella narrazione stessa, riconosciuto come il manuale per i Bodhisattva. Ma chi sono i Bodhisattva? Nel Buddhismo i Bodhisattva sono persone che hanno rinunciato alla propria Illuminazione per amore delle persone. Uomini che, una volta appreso il percorso, decidono di condurre le altre persone alla salvezza. Il concetto di salvezza nel Buddhismo differisce non poco dal concetto di salvezza proprio del Cristianesimo, dove chi non si salva è destinato all’inferno, luogo in cui dimorano tutti coloro che non hanno seguito gli insegnamenti di Gesù e si sono persi. Nel Buddhismo, il concetto di salvezza è legato a quello di Samsara: il ciclo di vita e morte al quale l’essere umano è legato fino a quando non raggiunge la suprema Illuminazione. Nel Buddhismo fino a che l’uomo non ha incontrato e praticato gli insegnamenti e raggiunto attraverso questi la liberazione dalle proprie visioni errate, continua a nascere e morire: una sorta di giostra infinita che s’interrompe non appena si “imbocca” e si percorre diligentemente la strada giusta.
Nel Buddhismo non esiste il concetto di peccato, perché non esiste quello di creatore. Nessuno punisce nessuno, ma è piuttosto la legge di causa ed effetto che propone una specie di punizione naturale a seconda della causa messa: se io mangio un chilo di nutella l’effetto sarà come minimo una serie di brufoli sul viso. La nutella rappresenta la causa e i brufoli l’effetto. Ho sempre trovato il concetto di “causa ed effetto” come l’essenza della giustizia, il suo fulcro. Allo stesso modo se un individuo pratica il male, riceverà male come effetto della sua causa e ciò ovviamente vale anche nel caso del bene.
Nel concetto Buddhista, lo scopo della vita, ossia il perché viviamo è legato all’illuminazione: ogni praticante della strada del Buddha ha e deve avere come scopo non l’ottenimento dei benefici propri derivati dalla pratica, ma quello di raggiungere la suprema Illuminazione. Il Buddhista che pratica gli insegnamenti per raggiungere scopi diversi, sta abbracciando una sua filosofia o religione, non quella insegnata dal Buddha. Questo vale come “specchio” per giudicare una scuola buddhista: se questa insegna la strada per raggiungere l’illuminazione allora è una scuola che percorre la strada tracciata dal Buddha, diversamente new age. Lascio da parte l’unica scuola che si definisce Buddhista, salvo poi l’aver sostituito il Buddha, e che asserisce che tutti gli esseri umani sono già dei Buddha, ossia hanno già raggiunto l’illuminazione, ma non ne hanno memoria, come una sorta di trauma, o di peccato originale se vogliamo avvicinarlo al Cristianesimo. Va da sé che teorie strampalate come questa non solo sono da bollare come follie assolute, ma anche come pericolose se alla fine rendono le persone che sottostanno ad esse come semidei smemorati, che camminano nella vita aspettando il colpo di memoria finale prodotto da una grande quantità di benefici e che rammenti a costoro di essere aldilà delle parti, nel Nirvana assoluto. Sembra follia credere a tutto ciò, ma vi assicuro che, una delle scuole Buddhiste più frequentate almeno in Italia, perché dalle altre parti si sono rinsaviti prima, la Soka Gakkai, asserisce questo. Tralasciando la follia, per non confondere, come diceva Beppe Grillo, i fulards con gli stracci, ritorniamo al discorso che stavamo facendo.
Il Bodhisattva rappresenta la guida, colui che indica alle persone quale strada percorrere per uscire dal buio del Samsara e raggiungere la serenità propria dell’Illuminazione. Il Sutra del Loto rappresenta una sorta di manuale, di guida al raggiungimento della condizione di Bodhisattva. Questa figura però non deve essere confusa con il concetto di Santo proprio del Cristianesimo. Il Sutra del Loto asserisce a piene mani che tutti noi abbiamo la possibilità di raggiungere non solo la condizione di Bodhisattva, ma addirittura l’Illuminazione, concetto che negli Insegnamenti precedenti al Sutra del Loto era riservato solo a pochi asceti. Il Sutra del Loto è molto democratico, se vogliamo usare questa affermazione molto in voga ai giorni nostri: per riuscire a trasformare i vari Insegnamenti in azioni, bisogna comprendere ciò che realmente c’è dietro al linguaggio simbolico usato nella narrazione del Sutra del Loto. Quando due e tre anni fa ho intrapreso la strada della traduzione in lingua corrente del testo del Sutra del Loto, l’ho fatto proprio per questo motivo.
Come si fa ad amare e a mettere in pratica ciò che non si comprende? Molte scuole buddhiste che fanno riferimento al Sutra del Loto, nella loro “pratica” quotidiana insegnano a recitare due fra i più rappresentativi capitoli del Sutra, in una lingua detta Shindoku, che significa letteralmente lingua della fede. Questa antica lingua è usata solo per l’invocazione dei vari sutra nella tradizione del Buddhismo giapponese, ma si tratta di un linguaggio morto, non più in uso da vari secoli. Nella mia esperienza come missionario del Loto, mi imbatto spesso in persone che anche se da molti anni invocano il Sutra del Loto, nella realtà non sanno né quello che dicono, né, cosa molto più grave e demotivante, comprendono gli insegnamenti racchiusi in quei famosi capitoli. Quando ci si avvicina al Sutra del Loto, bisogna innanzi tutto fare chiarezza su ciò che nella realtà rappresenta questo meraviglioso testo e con l’aiuto di una persona preparata incominciare a studiare i vari capitoli, senza fretta, senza presunzione o arroganza, come spesso il Sutra è affrontato. Il ruolo della guida allo studio del Sutra del Loto è quello di fornire le chiavi di comprensione del testo. Molti praticanti invece pensano che basti pronunciare quelle frasi, emettere quei suoni, per essere sulla strada giusta per l’Illuminazione. Se così fosse cari miei, sarebbe magia non religione e il Buddhismo è religione. Molte persone, prevenute dal concetto cristiano di prete, pensano che il monaco Buddhista sia un tramite fra lui e il Buddha: questo è cristianesimo non Buddhismo. Chi si avvicina ad una scuola non può certo fare da sé, perché come in ogni altro ambito della vita, se si vuole imparare, si deve chiedere aiuto a chi conosce. Bisogna fare però attenzione che la persona scelta conosca seriamente l’argomento, altrimenti si rischia di fare la fine di coloro che, spesso in buona fede, si avvicinano ad organizzazioni come la Soka Gakkai che insegna una sua particolare versione di Buddhismo senza Buddha.
Come rappresentante della Kempon Hokke Shu, universalmente nota come la scuola che segue scrupolosamente gli insegnamenti del Sutra del Loto e di Nichiren Daishonin, mi trovo spesso a contatto con persone che si avvicinano a noi con il desiderio di incominciare a praticare il Buddhismo, ma poi, una volta ricevuto il libretto del Gongyo, spariscono convinti che si possa fare tutto da soli. Mai una domanda: per loro tutto è chiaro. Mi sono chiesto spesso il perché invece di voler aderire ad un Sangha, non facciano una scuola tutta loro, visto che sono così preparati e avanti nella pratica. La realtà è che grazie a falsi maestri ed interpretazioni fasulle, molti pensano che il Sutra del Loto sia un insegnamento semplice, molto vicino alla magia. Nulla di più sbagliato e di lontano da ciò che il Buddha ha predicato sia nel Sutra del Loto che negli altri insegnamenti preparatori. Per comprendere il Sutra del Loto, ci vuole umiltà e dedizione e senza queste importanti qualità è meglio andare al mare d'estate e in montagna d'inverno.
Le mie parole mi rendo conto che possono apparire dure, ma se non si comprende questo punto spesso si arriva a soffrire davvero e a far soffrire le persone. Non si è super uomini perché si è incontrato il Sutra del Loto. Abbiamo la possibilità di diventare davvero delle persone degne di essere chiamati discepoli del Buddha solo se si rinuncia alla nostra predisposizione naturale di fare sempre e costantemente dei minestroni. Il Buddhismo non lo si impara nei libri, ma accanto ad un maestro. Abbiate cura di voi e delle vostre vite.

 

   Rev. Nisshin

 

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