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Riflettere oggi sulla reincarnazione
di Francesco Scoditti - Ottobre 2020
Mi sia concesso iniziare questa riflessione da una constatazione di ordine storico: nel Concilio di Costantinopoli tenutosi nell’869 la Chiesa cristiana decretava una forte limitazione all’esistenza del Mondo Spirituale come parte costitutiva e integrante dell’essere umano in grado di evolversi, proponendo il concetto di anima come unica qualità spirituale dell’uomo. In tal modo non solo fu negata la possibilità di evoluzione di tale parte spirituale dell’uomo, ma di fatto furono negate anche qualsiasi percorso evolutivo dello Spirito, quale ad esempio la legge del karma e della reincarnazione e conseguentemente la possibilità di autodeterminazione dell’essere umano nella dimensione metafisica.
Tale decreto era stato preparato già con il secondo Concilio di Costantinopoli del 552 d.C. e in seguito il tutto fu ribadito con il Concilio di Lione del 1274 e quello di Firenze dell'1439. In pratica si condannava l’interpretazione del concetto di reincarnazione come “una antica idea pagana”, basata su due punti essenziali:
1° - l’idea dell'eterno ritorno quale forma di espiazione e, per conseguenza, la negazione del concetto della vita eterna nella luce divina o nello spazio infernale dell’infinita punizione.
2° - l’idea della reincarnazione come possibile caduta in altri regni viventi, meglio nota come metempsicosi.
In realtà, ciò che in fondo si è negato per secoli alla coscienza occidentale è stata la possibilità di concepire l’Io individuale come in grado di compiere una evoluzione personale nella sfera ultraterrena, ammesso che tale dimensione esista; non si è accettato il graduale, lento perfezionamento della personalità nella sua dimensione spirituale costitutiva, vivendo alternativamente nel mondo terreno e in quello Spirituale, per raggiungere il supremo compito di conquistare una superiore Libertà morale e una condizione di Amore totale e purificato. Ugualmente ci si oppose a quella che naturalmente è una vocazione dello spirito umano, così evidente in tanti personaggi mistici e pensatori della Storia, cioè l’anelito al raggiungimento di gradi di perfezione e schemi di coscienza impossibili da ottenere in quel delimitato spazio di tempo che limita la vita individuale. Tale lungo cammino è regolato e caratterizzato, come è noto, dalle leggi del Karma e della Reincarnazione. Secondo tali leggi è possibile ammettere la possibilità di riparazione o compensazione di falli morali e azioni ingiuste commessi dall'uomo per mezzo di ripetute vite terrene, le quali si svolgono in modo evolutivo ed equilibrato secondo appunto la norma del karma. Il peccato, la violenza e il fallo morale però non concernono esclusivamente il singolo uomo che li commette ma vanno a squilibrare e addirittura a lacerare la stessa “trama spirituale del Cosmo”; pertanto la Reincarnazione, come ipotesi di evoluzione spirituale, pone l’essere umano in grado di attivare un processo di auto-redenzione. che non riguarda solo il ristretto, personale ambito di ciascun uomo, ma in fondo un atto di redenzione posto a servizio di qualunque essere umano.
La scienza profana e la credenza religiosa non sono mai andate d’accordo, ma è indubbio che le soluzioni religiose vicine alla credenza nella Reincarnazione sono state rifiutate con minor durezza dal pensiero scientifico, tanto più che gruppi di studiosi, medici e soprattutto psicologi sono giunti a considerare l’idea come un mistero che necessita di essere studiato o almeno indagato, comunque non priva di sufficienti elementi di logica razionale. Già Spinoza (1632-1677) aveva affermato che la mente è eterna e preesiste al corpo, Leibniz (1646-1716) era convinto che l’anima non nascesse con il corpo, ma lo precedesse in una sorta di corpo collettivo, dal quale ogni anima sarebbe uscita per entrare nell’individuo predestinato. Perfino Hume (1711-1776) dava per scontato che la trasmigrazione delle anime fosse l’unico principio metafisico accettabile dalla filosofia. Spostandoci nel tempo, si giunge al 1875, quando venne fondata la Società Teosofica, che portò avanti una teoria di carattere sostanzialmente razionale, al di là dei pur evidenti influssi e tendenze spiritiste. In sostanza, essa afferma il principio logico che l’universo è soggetto a eterne distruzioni e ricostruzioni; anche l’essere umano, in quanto microcosmo, subisce lo stesso processo, conservando nel tempo il principio originario, che passa di corpo in corpo attraverso infinite reincarnazioni, sino a giungere alla completa liberazione. La Reincarnazione, quindi, costituisce una legge universale e cosmica che razionalmente soddisfa il bisogno delle menti illuminate di progredire nel perfezionamento della propria coscienza spirituale.
Ancora accenneremo in questa sede alle numerosissime storie di esperienze di regressioni, ancora oggi praticate da medici e psicologi, che partono da diagnosi e letture su malattie per trasformarsi spesso in interpretazioni medianiche di ipotetiche vite anteriori. Quest’ultime attraversano molti secoli, andando ben oltre la fase fetale della vita dei pazienti, il tutto studiato con presunta validità scientifica. Ugualmente ricordo le altrettanto numerose e documentate regressioni spontanee, non mediate o provocate da fattori esterni, oggetto di analisi da parte di studiosi dei fenomeni di memoria extra-cerebrale; si tratta di regressioni con caratteristiche molto speciali, spesso vissute da bambini ma che comunque possono avvenire in tutte le fasi della vita. Credo sia inutile indagare sulla possibile verità scientifica di tutte queste migliaia di esperienze, di cui ormai esistono corposi archivi, anche perché sull’argomento sono stati scritti centinaia di testi e studi, una vera e propria corposissima letteratura. Mi permetto però di citare, per il rigore e la serietà scientifica del lavoro, il Dipartimento di Parapsicologia dell’Università indiana di Jaipur, che negli anni Sessanta raccolse circa ottanta casi provenienti da tutto il mondo, fra i quali alcune testimonianze su vicende quasi inconfutabili di reincarnazione (si ricordi, ad esempio, il famoso caso del bambino Ismail, in Turchia). Questo perché una investigazione su tale argomento in area indiana è stata sicuramente molto rigorosa e attenta, anche critica, in quanto realizzata in un ambiente culturale e religioso per tradizione disponibile all’accettazione del concetto di Reincarnazione, per cui il problema è stato affrontato in profondità quando si è trattato di stabilirne i limiti di credibilità. Come del resto accade per le nostre commissioni cattoliche istituite dal Vaticano quando devono attestare la veridicità di un presunto miracolo, e lo devono fare con il massimo rigore possibile proprio per rispondere a esigenze di carattere religioso. Certo l’idea di Reincarnazione rientra ampiamente in tutta la grande quantità di strutture trascendenti impenetrabili per la ragione, tutto ciò che è misterioso, ineffabile e incomprensibile nella nostra realtà sensibile, una sorta di immenso contenitore che si definisce “aldilà”, dove da sempre si indirizzano speranze liberatorie di sopravvivenza e fine di tutti i mali. Ma, a differenza di altre concezioni improbabili che ci parlano di eternità, la Reincarnazione è legata al nostro mondo e fa parte della storia e della realtà quotidiana, perché è nella nostra esistenza che si rinasce. Per tanto parte della scienza ha giudicato tale concetto degno di materia per indagini razionali, sforzandosi di penetrare gli angoli sconosciuti della mente, dove si potrebbe conservare la memoria del nostro passaggio nel tempo, attraverso vite successive di cui rimane traccia nelle personalità e nel comportamento.
Al di là di percorsi scientifici più o meno validi, nel caso esistesse una realtà metafisica ultraterrena, non si può prescindere dalla constatazione che, anche a rigor di logica, il concetto di Reincarnazione è quello più accettabile e che comunque fornisce un principio di giustizia a una visione complessiva, umana e spirituale, dell’esistenza. La soluzione post mortem di una condizione eterna e beata è auspicabile nel caso di una vita dotata di evoluzione spirituale, come ad es. quella dei Santi, ma che dire di un fanciullo a cui sia concesso solo pochi mesi di vita? Oppure di un malato di mente immerso in un buio costante dell’anima? E come spiegare l'ingiustizia di chi conduce l’esistenza in estrema povertà, magari in un paese in guerra, mentre c’è chi nasce ricco e in condizioni agiate? Come si può sostenere che un uomo vissuto in epoca preistorica può arrivare allo stesso livello di consapevolezza culturale e dignità esistenziale dell'uomo moderno, se veramente esiste una singola esistenza terrena? Sono domande che ci sorgono, più o meno velatamente, anche in un contesto di fede, perché diventa difficile conciliare la giustizia perfetta e infinita di Dio con una singola vita, una singola possibilità che per logica pura e semplice dovrebbe essere identica per tutti. Sarebbe questa opera di una divinità onnipotente, infinitamente buona ma discriminante perché riserva un amore differente alle sue creature. In sostanza, potremmo quasi concludere che la singola esistenza in molti casi è la negazione della giustizia divina.
Allora è tutta questione di caso? Ma questo non si concilia con il concetto di un Dio onnipotente, creatore delle Leggi Universali, che però dovrebbe sottostare a un Fato superiore a qualsiasi Essere Supremo. Al contrario, il principio della pluralità delle esistenze risulterebbe perfettamente coerente con una logica superiore di giustizia divina, poiché a tutti sono concesse le stesse identiche possibilità per evolversi. In fondo, non c'è cosa più naturale di questa.
Però come si concilia tutto questo con l’essere cristiani, e soprattutto con la vicenda del figlio di Dio venuto sulla terra, figura divina e storica, per dare una diversa prospettiva morale di vita all’Umanità? A riguardo, mi sia concesso ricordare alcuni passi della letteratura cristiana che sembrano alludere ai principi della Reincarnazione. Si tratta chiaramente di un problema di interpretazione di testi ampiamente noti e commentati in tal senso, che comunque vale la pena di citare.
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Nel vangelo di Giovanni (III, 3), Gesù dice a Nicodemo: "In verità, in verità ti dico che se uno non nascerà di nuovo non può vedere il regno di Dio". L'avverbio greco “anothen” traduce sia "di nuovo" che “dall'alto” e probabilmente l’evangelista intende sottolineare questa ambivalenza. Nicodemo gli chiede: "Come può un uomo rinascere quand'è già vecchio? Può forse rientrare nel grembo della madre per essere rigenerato?" La frase "nascere di nuovo" va intesa come una rinascita cristianamente simbolica, oppure una rinascita fisica? Nicodemo era un uomo colto, un maestro di dottrina religiosa e sembra interpretare tali parole in senso strettamente materiale, cioè rinascere, dopo essere stati vecchi, dal grembo di una nuova madre. Gesù allora gli risponde: "Ciò che è generato dalla carne è carne; e quel che nasce dallo spirito è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: bisogna che voi siate generati di nuovo." (Giovanni III,6). Lo spirito non nasce insieme al corpo, cioè nella nascita fisica, ma ne è indipendente, pertanto esso preesiste alla vita terrena e le sopravvive. "Bisogna che voi siate generati di nuovo". Perché dunque il verbo "generare" non può riferirsi al nascere in senso fisico, carnale, da un grembo materno, ma solo ad un cambiamento, una evoluzione di tipo morale, o meglio, al passaggio del battesimo? Questo "nascere di nuovo", "essere generati di nuovo" è necessario, forse perché la rinascita in diverse vite garantisce la vera evoluzione spirituale dell’uomo verso la comprensione dello Spirito? Alla luce di queste riflessioni, mi chiedo: non si è forse operato per modificare il significato delle parole di Gesù, forzandole verso interpretazioni funzionali a diversi fini? I concetti di Gesù sembrano affermare la necessità della reincarnazione che, sappiamo da fonti certe, i primi cristiani conoscevano benissimo. Del resto, anche Giobbe nella Bibbia usa le stesse parole di Gesù, parlando di "essere generati di nuovo dalla carne", di "nascere di nuovo", "carne e spirito", "corpo e spirito", "ventre materno".
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In un altro passaggio del Vangelo c'è un'altra possibile prova che gli apostoli di Gesù conoscevano la reincarnazione: mi riferisco alla vicenda dell’uomo cieco fin dalla nascita (Giovanni, IX, 1-2). I discepoli interrogano Gesù, chiedendo: «Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia cieco dalla nascita?» Perché tale domanda? Verosimilmente si potrebbe interpretare che i discepoli avessero ben chiaro il concetto di reincarnazione, perché altrimenti non si sarebbero posto il problema. Ma essi si interrogano sul perché quell'uomo sia cieco dalla nascita: chi ha peccato? Lui o i suoi genitori? E come poteva peccare lui per essere poi punito ad essere cieco dalla nascita, se non in una precedente vita?
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Un altro riferimento l'abbiamo in Matteo XVII, 12-13, dove Gesù parla del profeta Elìa, che secondo le profezie sarebbe dovuto venire per preparare il terreno al Messìa. "Elìa è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, gli hanno fatto tutto quello che hanno voluto. Allora i discepoli capirono che egli aveva parlato loro di Giovanni Battista." (Matteo, XVII, 12-13). "Egli (Giovanni Battista) è l'Elia che doveva venire. Chi ha orecchie per udire oda." (Matteo XI, 14). Cosa significa? Giovanni il Battista incarna lo spirito e la forza che avevano contraddistinto Elia quand'era in vita? O forse c’è un riferimento alla reincarnazione? Si potrebbe interpretare, diversamente dalla visione cristiana, che Elìa fosse venuto prima di Gesù per preparargli il terreno, ma non fu compreso che era lui e fu ucciso? Ancora una volta ciò significherebbe che i discepoli conoscevano la reincarnazione e intesero che Elìa e Giovanni Battista fossero in realtà la stessa persona reincarnata.
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Nel Vangelo di Tommaso (18), il noto vangelo apocrifo scoperto nel 1945 che raccoglie alcuni detti di Gesù, è scritto: i discepoli dissero a Gesù, “Dicci, come verrà la nostra fine?” Gesù disse, “Avete dunque trovato il principio, che cercate la fine? Vedete, la fine sarà dove è il principio. Beato colui che si situa al principio: perché conoscerà la fine e si libera dalle morti". Disse proprio così, "dalle morti", e poi aggiunse (19) “Beato colui che nacque prima di nascere”. Gesù sembra riferirsi al ciclo delle reincarnazioni, quindi, sostanzialmente a quella evoluzione dell’uomo progressiva attraverso il succedersi delle rinascite e delle morti fino a raggiungere il livello di consapevolezza spirituale supremo, senza più necessità di reincarnarsi. Così, ad esempio, nel detto 51: I discepoli gli dissero: - Quando verrà il riposo per coloro che sono morti, e quando verrà il nuovo mondo? - Ed egli disse loro: - Ciò che voi attendete è già venuto, ma voi non lo riconoscete.
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Infine una frase straordinariamente emblematica è presente nel Vangelo di Maria Maddalena, vangelo gnostico scritto in lingua copta verso la metà del II secolo a partire da un proto-testo greco, un testo molto diffuso ed affermato tra le prime comunità cristiane. Queste sono le parole testuali di Gesù: È necessario morire di molte morti per conoscere la luce della nascita. (Vangelo di Maria Maddalena, v.235-236).
Francesco Scoditti
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