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Il tuffo nel non-so-che-non-so
di Isabella Di Soragna - Aprile 2018
La vera devozione non è solo un appagamento sentimentale, un sentirsi protetti o amati attraverso pratiche e rituali, ma è un tuffo nel profondo, ossia si tratta di sparire totalmente nell’Inconoscibile Assoluto. Questo che cosa significa in pratica? Saperlo soltanto o immaginarsi di farlo è come guardare un film che ci riguarda marginalmente e che presto dimentichiamo.
Posso ripetere fino alla nausea che il “mondo è irreale”, ma è ancora un “credo” non verificato. Bisogna “deprogrammare” la cosiddetta realtà e vederne in dettaglio l’illusione costante. Si tratta quindi di attraversare lo specchio del riflesso-duale, come Alice o Neo in Matrix per vivere la realtà NON riflessa sempre presente.
Vediamo: m’inchino e mi concentro su un’icona sacra, un saggio realizzato, una Madonna che allarga le braccia. Sento una vibrazione d’amore, di appagamento sincero e mi scordo ciò che mi circonda. Poi mi alzo e presto la vita con le mille preoccupazioni riprende i suoi diritti.
Oppure, mi siedo in silenzio, mi concentro su un punto di coscienza, medito e poco alla volta non distinguo più i contorni, né del mio fisico né dei pensieri, che diventano nubi passeggere, presto dileguate nel silenzio. A volte alcune perturbazioni, memorie dolorose affiorano con prepotenza, perché non hanno ancora esaurito il potenziale emotivo. Viaggio a ritroso in me stessa e il silenzio m’invade. Siamo sempre a livello dei corpi sottili: ne sono cosciente quindi sono ancora “oggetti” percepibili. Mi alzo serena, ma poi poco alla volta le nebbie intellettive si affacciano prepotenti eliminando la pace che vivevo poco prima.
È servito a calmare la mente, il flusso costante e confuso di memorie: anche la sola posizione del mento inclinato verso il petto produce un rallentamento del flusso mnemonico.
Se sono ancora anche minimamente identificata a un “corpo”, se credo di possedere un nome, dei beni materiali o affettivi, continuerò a preoccuparmi e ad avere paura di perderli, ma se mi convinco che sono solo apparizioni passeggere che vanno e vengono tra sonno, sogno notturno e “sonno ”di veglia, dove sono allora? E di che cosa potrò aver paura?
L’Unità vera, totale non può implicare un ”altro” e quindi non potrò mai conoscerla, oggettivarla, ma solo viverla. Questo crea un problema a tutti i ricercatori che si fermano sia al “vuoto di concetti” – che dà subito un senso di paura - sia al senso di estasi di coscienza infinita, che tuttavia è ancora una nozione, un oggetto e quindi non è la Realtà Assoluta Indicibile.
Per tornare alla meditazione: con quella ho ritrovato un po’ il mondo fetale della simbiosi materna, ma non dura. Tutto ciò è simile al momento in cui ci si addormenta, il mondo sparisce nell’ultimo respiro cosciente. Appaiono vicende a volte strane, a volte commoventi, cui partecipo e allo stesso tempo assisto. Sembrano durare a lungo, ma ecco un rumore forte, e tutto svanisce. Vi è un attimo di totale assenza, ma dopo un breve intervallo si risveglia tutto il programma abituale, il corpo, il mondo, le faccende da sbrigare, la fretta e la confusione. Mi sembra di decidere tutto, ma poi mi rendo conto che tutto si svolge davanti ad un testimone neutro cui “accadono” queste apparizioni, legate a quello che si suole chiamare tempo e spazio. A volte un evento si svolge in pochi minuti, mentre altre storie impiegano ore, giorni e anni (ma lo si calcola in seguito). Se si ricorda e osserva bene, sono ripetizioni di un programma interno con tutte le variazioni possibili. Se comprendo che il fattore tempo o durata è solo un’ipotesi dettata dal funzionamento della cosiddetta “placca olografica” situata nel cervello, tutto assume le sembianze di una costante, ma diversificata allucinazione. L’ipnosi è la convinzione assoluta che si tratta di eventi tangibili, reali. La funzione della memoria trattiene l’informazione e fa assumere solidità e limiti a… un concetto.
Si può dare l’esempio di un’illusionista ipnotizzatore che in un teatro chiede che si presenti un volontario, poi lo ipnotizza facendogli credere fermamente di essere chiuso in uno stanzino senza uscita. Dopo un po’ si vede il personaggio che comincia a gesticolare toccando un ipotetico muro, poi ad agitarsi colpendo... l’aria, ma essendo convinto di essere rinchiuso davvero. Il pubblico ride... divertito, perché NON è sotto ipnosi e vede la realtà. Dopo qualche tempo l’ipnotizzatore per non far durare troppo l’agonia, batte le mani, lo ‘’sveglia’’ e gli mostra che sta colpendo l’aria e non un muro: il malcapitato rimane perplesso per un po’, poi si convince che era un abbaglio.
Lo stesso accadde a uno zio di Robert Adams cui l’illusionista fece credere che un ragno velenoso l’avrebbe morsicato. Poi lo svegliò mentre questi si agitava per cacciare l’insetto, ma non ne vide tracia, tuttavia sul collo apparve una strana morsicatura, tipica di uno di quei ragni.
Riassumendo ciò che Ken Wilber (Spectrum of consciousness) descrive riguardo allo spazio-tempo e gli oggetti percepiti:
Lo spazio non è un nulla senza contorni o limiti, ma è invece ciò che sta attorno e racchiude un oggetto e che i fisici chiamano “curvatura dello spazio”. Lo spazio tra te e questa pagina. Tra me e la casa di fronte. Lo spazio non può sussistere senza oggetti, visto che li circonda e questi devono avere un limite se no…esplodono. Quindi spazio e oggetti sono un’unità. Per poter sussistere poi, gli oggetti devono avere una durata: senza oggetti non vi è durata. Quindi oggetti e tempo sono un’unità. Spazio, tempo e oggetti sono dipendenti e inseparabili. Se verifichiamo – come accennato qui sopra – che se cerchiamo (senza l’aiuto della memoria) sia il soggetto ultimo che il momento o quando è apparso all’origine, la nozione dello spazio-tempo svanisce: siamo quindi quello che osserviamo. Siamo la pagina che leggiamo!
Il passato è memoria e il futuro anticipazione… presente!
L’infinito è dunque presente in ogni punto dello spazio e l’eternità in ogni istante del tempo. È la memoria (attuale, non del passato) che mantiene e traduce l’illusione della linearità e della causalità. Le “cose” quindi sono prodotti di attenzione limitata o del pensiero-memoria e non entità che compongono l’universo.
Nessuno ha mai trovato l’inizio del tempo, anche se ogni tanto credono di farlo. La “realtà” è multidimensionale, spontanea, non sequenziale.
Tutto accade sempre ora… ma anche “ora” è un concetto temporale quindi nulla è mai accaduto. Ogni “sapere” perde quota.
Allora possiamo confermare che lo spazio-tempo è un’illusione, significa anche che gli oggetti da cui dipendono, come l’aria che respiriamo… sono anch’essi illusori. Il corpo, (fisico, astrale, mentale), il mondo, sono solo prodotti della nostra percezione limitante o errata. Possiamo parlare di paesi lontani, di galassie o di milioni di anni: costruzioni mentali e sensoriali, ossia memorie, conoscenze apprese. Con questo me ne servo per andare a prendere un treno o recarmi a un appuntamento in una data città, ma fa parte ancora del programma… dell’ipnosi. Se mi ferisco, è il mio sapere-corpo che subisce, come nel sogno. Ma sono… quello?
Per chiarire ancora: che cosa ho potuto ancora verificare?
Se creiamo un punto di riferimento, inizia la misura, la materia, la madre o matrix dell’universo che proiettiamo inconsapevolmente.
Sono stati che si alternano, cui si dànno nomi altisonanti o dispregiativi, ma sono la stessa sostanza contenuta già nell’embrione immerso nel liquido amniotico e in totale simbiosi e unione con l’ombelico materno: un ologramma che contiene già tutta l’informazione che sembra snodarsi in infiniti specchi e nello spazio-tempo lineare.
Questo continuo susseguirsi di situazioni simili fino a quando durerà? Fino alla comprensione definitiva d’inesistenza del teatro quotidiano.
Un ritorno all’inizio, prima del concepimento. Ora, domani, sempre.
Accennavo all’ombelico che riunisce feto e madre indissolubilmente fino al parto (e oltre). Questo ricorda le antiche e ora note pratiche del peyotl e dell’ayahuasca nelle foreste amazoniche fin da tempi (appunto) immemorabili.
Don Juan, maestro di Juan Carlos Castaneda insegna che il peyotl o Mescalito gli fa capire che il mondo è una rappresentazione, mantenuta dal dialogo interiore, il controllo della ragione. Quando questa non può più controllare le informazioni, si dilegua. L’ayahuasca (che non dà assuefazione) è interessante perché è estratta da una liana che non solo simboleggia, ma anche mostra particolarità “materne”. È un legame simbiotico, uno stato di fusione che rivela il vincolo soprattutto con le parti negative non manifeste (o ataviche) della madre, che viviamo come parte “ombra inconscia” e da cui è bene emanciparsi, non tanto per trovare la propria individualità, ma per trascendere la materia (matrix, misura) e riunirsi invece col il divino o coscienza universale.
Il sole allo zenit illumina totalmente quello che appare senza differenza, mentre nelle altre ore del giorno è di lato e crea una divisione e quindi un’ombra.
Il decotto, che l’individuo disposto alla pratica deve bere, ha il potere - oltre a quello di farlo vomitare e star male - di farlo regredire nelle memorie antiche nascoste che, rievocate spesso in modo violento, illuminano tuttavia la parte “ombra”, lo purgano dal passato e lo fanno ’’rinascere’’.
Vi sono rimedi omeopatici di queste sostanze che “informano” l’individuo che ne ha bisogno, senza effetti fisici così pronunciati, ma solo se si può testarne l’effettiva necessità.
Da tempi immemorabili (ciò dimostra che tutto è sempre qui-ora) altri sciamani di antiche tribù – in varie parti del globo terrestre - non contaminate dal progresso globale, praticano iniziazioni simili. I misteri eleusini o dei celti e tanti altri metodi in tutte le civiltà antiche in tutto il mondo, avevano questo scopo. Perché mai tutto questo? Vi sono vari motivi. Come afferma anche Castaneda, lo sciamano vero insegna al suo discepolo che usare questo tipo di droghe è solo per farlo uscire dalla dipendenza sensoriale dei cosiddetti “stregoni neri” della società conformista che ci imprigiona (con alcool, indottrinamenti politico-religiosi e non solo con le sostanze proibite, che la malavita fa pagare ancor di più), ma non per creare un’altra dipendenza. Gli mostra in modo pratico che basta un’alterazione profonda della percezione a farci capire che il mondo è solo il nostro sogno ad occhi aperti, una rappresentazione da cui è bene uscire. Mentre il fatto di drogarsi per trovare fasi euforiche e che crea dipendenza, distrugge i neuroni e finisce per rendere ancora più schiavi della dittatura sociale e falsamente morale. Il fatto è che il bisogno di trovare paradisi artificiali è sempre stato necessario per chi si trova a disagio con il quotidiano, ha subito traumi dimenticati e fugge un mondo che egli stesso ha creato, ma “crede” di poter eliminare, mentre in realtà è solo una fuga che oltretutto lo distrugge. Lo stesso dicasi per la spiritualità, l’esoterismo, che invece di insegnare, produce spesso egocentrismo maggiore o dipendenza da sette e organizzazioni.
Castaneda racconta inoltre che il tonal è la bolla di percezioni ancora aperta alla nascita e in cui poi ci rinchiudiamo, tra memorie e abitudini, credendola vasta e potente: una falsa totalità. Il Nagual è l’Impronunciabile. "Tutti I possibili sentimenti, esseri e sé, fluttuano in esso come barche da trasporto, pacifiche, inalterate per sempre.”
"E che succederebbe se la nostra vita nello stato di veglia, come il nostro sonno, non fosse che un sogno in questa vita eterna, in cui noi non ci sveglieremo che al momento della morte?"..."E tutta questa scena di teatro della nostra vita sulla terra, ove noi sembriamo essere degli attori cosi' occupati, e i ruoli che interpretiamo non hanno piu' sostanza che l'ombra di un'ombra, e il fatto di sognare non è che un sogno all'interno di un sogno!" (Atto III) -
Da "La vita è un sogno" di Pedro Calderon de la Barca (1600-1681)
Il tuo stato naturale non ha alcuna relazione con stati religiosi di beatitudine o estasi: sono stati sperimentabili. I vari maestri o saggi dell’antichità li hanno provati e anche tu lo puoi. Coscienza di Cristo, di Krishna o altri nomi altisonanti. Sono tutttavia stati indotti dal pensiero e vanno e vengono come quelli. Sono “viaggi” che appartengono ancora al tempo. Il senza tempo non può mai essere sperimentato, afferrato, contenuto, né espresso da alcun uomo. In tal modo non arriverai mai da nessuna parte. Sei incollato in un miraggio.
Stanotte ho sognato che camminavo sull’acqua, era sorprendente, ma appena cominciavo a “pensare” i miei piedi sprofondavano, allora i pensieri sparivano e ricominciavo a toccare la superficie, quasi volando. Poi mi sono svegliata: quale sogno era più reale?
Isabella Di Soragna
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