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Vecchio 18-01-2007, 02.59.04   #1
DomenicoMaria
Ospite
 
Data registrazione: 08-03-2006
Messaggi: 10
Il perdono... questo sconosciuto!

Abbiamo tutti visto o udito qualcosa sul recente fatto criminoso accaduto ad Erba oltre a tutti quegli altri che costellano le edizioni dei Telegiornali e le pagine dei quotidiani, dal sapore inumano e oltremodo contro natura.

Si parla quindi, a maggior ragione, del "perdono" come posizione etica dal significato sia morale che civile.
Allora mi domando se siamo sicuri di sapere cosa sia il "perdono" e che significhi perdonare, senza cadere nel sentimentalismo sterile.

Credo che una posizione matura davanti agli eventi debba comprendere questa opzione che, se esiste umanamente mostrando la sua importante gratifica anche spiritualmente, si rivela come ottima panacea per la nostra psiche e per la gratificazione del nostro io, ancor più che la vendetta.

Solo che son convinto che questo "perdono" debba porre le sue radici in una importante consapevolezza del significato della sua consistenza per poter trarne beneficio noi e gli altri e perché si riveli un'esperienza importante e positiva nell'ambito della nostra spritualità.

Passo la penna e saluto caramente.
DomenicoMaria is offline  
Vecchio 18-01-2007, 10.12.16   #2
turaz
Ospite abituale
 
Data registrazione: 24-11-2005
Messaggi: 3,250
Riferimento: Il perdono... questo sconosciuto!

sottoscrivo pienamente.
il "perdono" come arma di evoluzione.
e più avanti... solo consapevolezza...
turaz is offline  
Vecchio 21-01-2007, 19.32.50   #3
Lucio Musto
Rudello
 
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Data registrazione: 08-01-2006
Messaggi: 943
Riferimento: Il perdono... questo sconosciuto!

Citazione:
Originalmente inviato da DomenicoMaria
Abbiamo tutti visto o udito qualcosa sul recente fatto criminoso accaduto ad Erba oltre a tutti quegli altri che costellano le edizioni dei Telegiornali e le pagine dei quotidiani, dal sapore inumano e oltremodo contro natura.

Si parla quindi, a maggior ragione, del "perdono" come posizione etica dal significato sia morale che civile.
Allora mi domando se siamo sicuri di sapere cosa sia il "perdono" e che significhi perdonare, senza cadere nel sentimentalismo sterile.

Credo che una posizione matura davanti agli eventi debba comprendere questa opzione che, se esiste umanamente mostrando la sua importante gratifica anche spiritualmente, si rivela come ottima panacea per la nostra psiche e per la gratificazione del nostro io, ancor più che la vendetta.

Solo che son convinto che questo "perdono" debba porre le sue radici in una importante consapevolezza del significato della sua consistenza per poter trarne beneficio noi e gli altri e perché si riveli un'esperienza importante e positiva nell'ambito della nostra spritualità.

Passo la penna e saluto caramente.


Scusa DoM, ma per me non è semplice.

- Perdono come superamento interiore dell'onta subita (o presunta) con atto di volontà?

- Perdono come adesione spirituale ad un "precetto" proposto dall'alto ed intimamente accettato?

- Perdono come "atto sociale"?

- Perdono come presa di coscienza (e perciò frutto di acculturamento) della imperfezione dell'uomo, e quindi l'offesa null'altro che prodotto occasionale, ma inevitabile del vivere?

- Perdono come "do ut des"?

o altro?

Grazie!
Lucio Musto is offline  
Vecchio 21-01-2007, 23.54.21   #4
Mary
Ospite abituale
 
Data registrazione: 02-04-2002
Messaggi: 2,624
Riferimento: Il perdono... questo sconosciuto!

Non so cosa voglia dire perdono.

A coloro che mi hanno fatto del male io non ho perdonato, non avevo nulla da perdonare. (questo dopo lunghissimo lavoro su di me). Le loro azioni negative su di me avevano portato frutto, avevano dato un contributo alla mia crescita.

Quando ritorniamo in corpi materiali dimentichiamo quel che abbiamo stabilito di vivere, o di subire, è una necessità perchè altrimenti torneremmo subito indietro, incapaci di accettare le sofferenze a noi destinate.

Non so come fanno tanti a dire subito "ti perdono". In base a quali considerazioni? quali sentimenti? non li comprendo. Forse riescono subito a distaccarsi dall'evento doloroso. Non so.

Se uno ti pianta un coltello nella schiena non puoi dire subito: ti perdono.

NOn è umano! Forse mi sbaglio. Forse dovrei capire quel che provano queste persone. Forse si sentono speciali? Forse riescono a vedere da subito il povero diavolo che è il carnefice?

Forse perdonare equivale ad una specie di sano egoismo? Se provo collera, rabbia, risentimento sto danneggiando me stesso. Perdonando evito di farmi del male. Potrebbe essere questa una ragione?
Mary is offline  
Vecchio 22-01-2007, 00.29.01   #5
DomenicoMaria
Ospite
 
Data registrazione: 08-03-2006
Messaggi: 10
Riferimento: Il perdono... questo sconosciuto!

Ho immaginato che l’accortezza di chi ha occhi aperti sul reale potesse aprire la sua riflessione ponendosi gli interrogativi fondamentali: cosa ho davanti? Qual è il suo significato?
Ecco perché ho parlato di perdono in modo generico, ma una riflessione sana deve partire da sé, senza trovare piste già segnate.
Bene, Rudello, perché il “perdono” lo viviamo come concetto talmente ormai scontato da non dargli più il significato reale (che vuol dire significato reale?) !

Ognuna delle opzioni da te formulate sono motivo di riflessione e su ognuna credo che ci sia tanto da dire ma la questione di fondo che ci interessa credo che debba essere cosa sia veramente il “perdono” per noi e quale sia il suo significato reale, ovvero, quello che ci tocca veramente, quello che ci riguarda fino in fondo e che nutre le aspettative del nostro essere.

Se una cosa non nutre noi, non ci riguarda; cioè, seppure perdonassimo, ad es., per il bene degli altri e per fare una società migliore, non ci servirebbe a nulla se ciò non accresce la nostra esperienza di vita, quella della nostra essenza ontologica . Al massimo, l’esecuzione dell’istanza del “perdono” dal punto di vista etico-sociale, potrà evitarmi una martellata su un piede ma a che serve salvare il piede quando non ho gratificato l’interesse dell’anima (chiamiamola così, la nostra entità ontologica di fondo)? Ricordiamoci sempre che il nostro essere tende all’Infinito e tutto della nostra vita deve gratificare questo presentimento, altrimenti siamo morti già da ora fin nello spirito.

Penso, quindi, che una buona riflessione debba prendere i passi da questo primo interesse, cioè dallo scoprire quale siano quelle “convenienze” per noi a raggiungere lo scopo, perché se non siamo egoisti nel soddisfare le nostre richieste di fondo non potremo mai essere in grado di dare nulla nemmeno agli altri, oltre che a noi stessi.

Personalmente, non sono in grado di perdonare se questo non conviene a me, cioè se non me ne viene nulla “in tasca”. Il mio obiettivo è quello di far sì che un atto come quello del mio “perdono” si integri con la reciprocità delle nostre vite e con il Tutto, perché questo conservi il suo valore. Ecco perché non posso pretendere da me un perdono su “comando” o perché sta scritto che si debba fare da qualche parte. San Paolo era avversato dai giudaizzanti perché raccomandava di seguire la Parola di Cristo nell’aver fede in Lui (Egli era la Parola di Dio – vedi inizio del Vangelo di Giovanni) e non la Legge, che era quella di Mosé; non perché si sminuissero le Scritture, ma perché fossero gratificate dalla Nuova Parola che dava a quell’obbedienza un sapore nuovo, una significato diverso da quello coercitivo dell’obbedienza cieca. Questo significato corrispondeva, infatti, a quanto gratificava la nostra ontologia di fondo!

Penso di averti fornito qualche argomento di riflessione, sulla base del mio pensiero che condivido con te e con tutti perché riflettendo insieme sulla nostra esistenza ci comportiamo come sostegno l’uno dell’altro nel percorso spesso irto della nostra vita.

Ti saluto caramente.

PS: Il mondo non ha bisogno di uomini saggi ma di uomini buoni. Però se sono saggi, oltre che buoni, non guasta, quando quella saggezza sia comprensione di quello che si vive e di cosa conviene vivere!
DomenicoMaria is offline  
Vecchio 22-01-2007, 06.52.14   #6
paperapersa
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Messaggi: 2,012
Riferimento: Il perdono... questo sconosciuto!

Citazione:
Originalmente inviato da Mary
Non so cosa voglia dire perdono.

A coloro che mi hanno fatto del male io non ho perdonato, non avevo nulla da perdonare. (questo dopo lunghissimo lavoro su di me). Le loro azioni negative su di me avevano portato frutto, avevano dato un contributo alla mia crescita.

Quando ritorniamo in corpi materiali dimentichiamo quel che abbiamo stabilito di vivere, o di subire, è una necessità perchè altrimenti torneremmo subito indietro, incapaci di accettare le sofferenze a noi destinate.

Non so come fanno tanti a dire subito "ti perdono". In base a quali considerazioni? quali sentimenti? non li comprendo. Forse riescono subito a distaccarsi dall'evento doloroso. Non so.

Se uno ti pianta un coltello nella schiena non puoi dire subito: ti perdono.

NOn è umano! Forse mi sbaglio. Forse dovrei capire quel che provano queste persone. Forse si sentono speciali? Forse riescono a vedere da subito il povero diavolo che è il carnefice?

Forse perdonare equivale ad una specie di sano egoismo? Se provo collera, rabbia, risentimento sto danneggiando me stesso. Perdonando evito di farmi del male. Potrebbe essere questa una ragione?

Come il rancore e l'odio corrodono chi li prova
così il perdono è prima di tutto un dono che si fa a sè stessi.
Ma giungere a perdonare il cosiddetto "nemico" vuol dire sciogliersi
talmente nell'altro da divenire lui, comprendere che è il tuo specchio.
Tuttavia a questo si arriva tramite sofferenza ed esperienze dolorose.....
Dentro di noi c'è il "selvaggio" che vuole "uccidere il proprio nemico"
e mangiare il suo cuore, c'è l'istinto di sopravvivenza, c'è la forza
che ci fa essere al mondo e non soccombere ogni volta che riceviamo dei
colpi......c'è il dolore sordo che abbiamo rimosso quando da "piccoli"
qualche "adulto" benpensante ci ha ferito con sguardi, parole o anche
disattenzione alle nostre richieste....di amore.
A volte dobbiamo fare solo queste esperienze e riviverle per perdonare
a volte la vita ci stimola attraverso altro, offese, incidenti, aggressioni
vere o percepite come tali. Tutto serve per superare queste emozioni
terribili e finchè non le superiamo continuiamo ad attirarle....proprio come un magnete. Perchè è assolutamente necessario trovare la nostra vera
natura per guarire e diventare "sani" e se non vogliamo farlo con consapevolezza e determinazione incontriamo ciò che occorre!
Non possiamo alla fine che diventare amore puro e i percorsi che la vita ci propone sono quelli che ci servono per questo.
paperapersa is offline  
Vecchio 22-01-2007, 08.23.43   #7
Lucio Musto
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Riferimento: Il perdono... questo sconosciuto!

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Originalmente inviato da DomenicoMaria
....

Penso di averti fornito qualche argomento di riflessione, sulla base del mio pensiero che condivido con te e con tutti perché riflettendo insieme sulla nostra esistenza ci comportiamo come sostegno l’uno dell’altro nel percorso spesso irto della nostra vita.

Ti saluto caramente.

PS: Il mondo non ha bisogno di uomini saggi ma di uomini buoni. Però se sono saggi, oltre che buoni, non guasta, quando quella saggezza sia comprensione di quello che si vive e di cosa conviene vivere!


Non fare il monello DoM!... sennò ti dò le botte!...
io ho detto che il mondo non ha "Tanto"bisogno di saggi... "Quanto" di buoni!!

Si naturalmente, è come dici tu, anche il perdono va visto in un'ottica più ampia che travalichi il contingente dello "sgarbo"!...
Proprio ieri ho avuto nella predica di un prete (che incidentalmente è anche una persona perbene e per di più saggia) l'invito a riflettere su "ma a che serve, per me, la mia vita?..."
Cioè a dire: ma ho una meta finale, un obiettivo globale verso cui far confluire tutti i rivi della mia esistenza e dare quindi un significato al mio affannarmi quotidiano?... o mi perdo dietro al contigente del lavoro di oggi, della spesa, il cucinare, il comprare il vestito... l'arrivare senza annoiarmi troppo all'ora di cena e del riposo per potermi svegliare domattina fresco abbastanza e con le forze per ricominciare da capo?... e così tutti i giorni della mia vita?...

Ecco, ho collegato i due ragionamenti, ed anche le osservazioni che l'amica Mary fa nel suo intervento. Se il perdono serve per queto vivere, o per opportunità, o perché mi scoccio di soffrire, è irrilevante. "perdonare" o meno nel contingente non cambia nulla.
Se invece il "perdonare" è utile esercizio per la mia crescita interiore, e mi spinge avanti sulla strada del mio "obiettivo finale" (qualunque esso sia), allora si che è occasione preziosa da non perdere!.

Spero di aver detto qualcosa di comprensibile. Sto abbastanza dormendo ed ho scarsa coordinazione fra cervello e cuore.
Lucio Musto is offline  
Vecchio 23-01-2007, 00.42.08   #8
DomenicoMaria
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Riferimento: Il perdono... questo sconosciuto!

Gratifico il tuo realismo, Mary, approvando la tua potenziale obiettività nel giudizio che esponi sul perdono.
Quanto dici è naturale, è vero, privo di quelle elucubrazioni ideologiche che fanno del perdono un fantoccio da “parrocchietta”.

E’ vero, infatti, che non ha alcuna ragione di essere, il perdono, così come ce lo propone l’etica sociale odierna.

Tale etica, che si giudica “liberale” e si avalla da sé tramite il sussidio della “ragione”, di fatto si manifesta bigotta nella modalità dell’insegnamento di quelle dinamiche umane che richiedono ben altro per essere motivate. “Loro” ti dicono: si fa così, per il bene sociale; noi, di conseguenza, facciamo quello che ci dicono, perché non siamo capaci di usare quella virtù magnifica che è la ragione!

Il perdono è quella modalità secondo la quale rinunciamo a qualcosa di noi stessi per il bene dell’altro. Come dici tu, infatti, chi ce lo fa fare? Cosa guadagnamo dal perdono e cosa vale per noi quella medaglia che nemmeno ci appuntano in petto ad onor di virtù sociale?
Eppoi, qual’è il bene dell’altro? Evitare la galera? Mah! E socialmente, quel’è il vantaggio, forse quello di starsene in pace? Doppio Mah!, specialmente quando questa etica sociale ci propone la “pace” esattamente come se significasse lo “strasene in pace”! Eppoi, per perdonare l’altro, come tu dici, per evitare altre grane, ci renderebbe a sua volta “ignavi”, gravandoci quindi di tale colpa di irresponsabilità.

Per motivare un’istanza ci occorre un “gancio” esterno, quel qualcosa a cui aggrappare la nostra “ragione” per dare significato oggettivo al nostro agire, perché altrimenti non facciamo che aggrapparci a noi stessi continuando il nostro salto nel vuoto.

San Paolo, ad es. parla in modo mirabile della “Carità” (Prima Lettera ai Corinzi), e l’enunciazione che ne fa di tale virtù è assolutamente la più chiara, la più bella e significativa tra tutti i significati attribuiti ad essa in tutte le correnti di pensiero. Forse perché il significato che le attribuisce San Paolo è quello che è più vicino a noi, perché è quello divino!

Quando io perdono, infatti, non sono io che “abbuono” qualcosa, semplicemente perché la ragione non ci da una motivazione valida che giustifichi questo. Inoltre sarebbe un bell’azzardo farlo per un’ ideologia perché queste stesse non sono eterne e il momento che verrebbe meno in noi questa modalità di pensiero saremmo costretti a rivedere tutta la nostra esistenza. Ecco perché solo un “gancio” esterno ci assicura quell’obiettività e qell’oggettività di cui noi non siamo in grado. La realtà, insomma, non la definiamo noi; essa è esterna a noi e ci definisce; noi, per contro, sappiamo più ribellarci ad essa che assecondarla.

L’atto di Carità, invece, avviene sul movente prioritario che è la fede in quella Realtà esterna a noi e che ci definisce, qual’è, appunto, Dio. Senza Dio non può esistere il perdono e quando lo si fa esistere è come fosse tenuto in vita da un polmone di acciaio: è destinato a fallire.

Dietro al movente della fede, in una sana esperienza di vita secondo le indicazioni di Cristo, possiamo sperimentare la presenza di Dio nel mondo e la necessità della salvezza dalla nostra incapacità di vivere il reale. Il perdono che intendo dare non è abbuonare nulla gratuitamente, bensi sacrificarsi per chiedere a Dio la salvezza di quell’anima. Altroché cercare di far evitare la galera a qualcuno!!!

Perciò, quando io perdono, non faccio altro che donare a Dio il mio sacrificio (perché sia ben chiaro che continuerò a vivere la sofferenza e la disapprovazione dell’altrui malsano gesto: questo perché e ragionevole che sia così) solo perché questo valga come preghiera per la salvezza di quell’anima.
Questo è il perdono secondo la Carità, l’unica istanza capace a dar valore all’opzione!

Se l’individuo malandrino finisse comunque in punizione malgrado il nostro perdono, non significa affatto che esso sia virtuale, irrispettato, inutile. Il nostro perdono non ha a che fare col fatto della mancata punizione perché si esprime per valori diversi da quelli che il comune pensare ci propone.

L’importante è che noi vediamo Cristo nell’altro, considerando il bisogno di salvezza dall’incapacità di porsi giustamente con il reale contingente.

Rudello ci racconta della omelia ascoltata durante la Messa a cui lui ha partecipato. Quello che ha ascoltato dal sacerdote non è altro che l’incoraggiamento ad aggrapparci a quel gancio esterno che definisce il nostro “reale”.
Questo mi rende certo che egli già comprende quello che ho finora inteso dire e lo ringrazio per quanto ci ha raccontato.

Saluti cari a tutti.
DomenicoMaria is offline  

 



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