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Riflessioni Sociologiche - Commenti sugli articoli della omonima rubrica presente su WWW.RIFLESSIONI.IT - Indice articoli rubrica |
04-06-2008, 14.07.07 | #1 | |
like nonsoche in rain...
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Un mio fantasioso contributo alle riflessioni sul rapporto scienza società
Dalla Rubrica di Riflessioni.it "Riflessioni Sociologiche" di Ercole Giap Parini, articolo#01 dal titolo Scienza, tecnica e democrazia. I dilemmi delle società conoscitivamente dense:
Citazione:
Giap Parini mette molto giustamente in luce la sostanzialità inutilità ed io direi nefandezza della divulgazione scientifica attuale. Passa, come ben spiegato, al grande pubblico l’idea di una assolutezza del corpus scientifico, come privo di discussioni, di fratture al suo interno, quando proprio queste riflessioni sono il motore del procedere scientifico. Il mito che viene divulgato non è solo edulcorato, come ben afferma il Parini, ma sostanzialmente errato. Nonostante ciò, i tecnoscienziati non tentano di dimettere la loro aura sacerdotale che hanno contribuito a creare nelle menti del «grande pubblico», ma continuano ad alimentare queste nefandezze, tant’è che pure i cosiddetti intellettuali, illustri epistemologi ed affini, prendono tante di quelle cantonate che ce ne sarebbe da ridere per anni. Eppure le scoperte e le applicazioni scientifiche, come anche evidenziato dal Parini, pongono importanti questioni sociali che io direi di “valore” e dunque riguardano l’etica, cioè la politica e non solo la libertà di ricerca. Come mediare tra queste posizioni è questione totalmente aperta e di stringente attualità. Il Parini, tuttavia, non porta sino in fondo le questioni che adeguatamente ha posto, ma lascia intravedere opportuno proprio il meccanismo che ha messo in evidenza, etichettandolo in negativo come «oscura ignoranza». Ora mi spiego. Si chiede Giap Parini: «La domanda guida dovrebbe essere: cosa serve sapere al cittadino perché responsabilmente assuma le sue scelte? E cosa all’amministratore? Al legislatore? Al politico? Si tratta, quindi, di partire dalla consapevolezza che la società della conoscenza è una realtà e che i fatti scientifici sono determinati non da scienziati isolati, nel chiuso dei loro laboratori, bensì all’interno di una rete di relazioni particolarmente articolata, i cui nodi sono rappresentati da attori di differente ruolo e competenza (oltre agli scienziati, appunto i cittadini, i politici, gli amministratori e così di seguito). Scopo di questo percorso dovrebbe essere quello di rendere governabile e agevolare la partecipazione consapevole a percorsi decisionali che solitamente avvengono nella sostanziale inconsapevolezza di gran parte dei soggetti/attori coinvolti.» Dunque differenti domande a seconda del soggetto, cittadino, amministratore, legislatore o politico, questo lascia intravedere opportuno Giap Parini in modo sottile, ma non è proprio tale differente accesso alle conoscenze, dettato da logiche burocratiche ed autoritarie, ad evitare ed ostacolare «la partecipazione consapevole a percorsi decisionali che solitamente avvengono nella sostanziale inconsapevolezza di gran parte dei soggetti/attori coinvolti»? Io non sono Freud, eppure a me pare chiaro che, nonostante le opportune analisi sociologiche evidenziate, la prospettiva sottile comunicata dall’articolo sia sempre quella di mantenere lo status quo, cambiando solo i nomi ai meccanismi del potere che di volta in volta negano alla gente di prendere coscienza di ciò che viene sviluppato e deciso, in modo talvolta criminale, a propria insaputa. Buone Riflessioni... Antonio |
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12-06-2008, 18.26.41 | #6 |
Ospite
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Riferimento: Un mio fantasioso contributo alle riflessioni sul rapporto scienza socie
Grazie di cuore per gli stimoli che mi dai e per le parole che condivido in grandissima parte. Per ora (purtroppo sono dentro ad una routine folle che lascia poco spazio alla riflessione) dico solo questo: con le ricerche nelle quali sono impegnato sto tentando di dare qualche motivo di riflessione - e forse di dubbio - a chi con troppa facilità parla di società della conoscenza e di democratizzazione dei processi decisionali, come se fossero dei traguardi a portata di mano - se non addirittura già conseguiti. Cerco infatti di identificare quei dilemmi che mettono in discussione proprio quella idea di individuo capace di assumere responsabilità di fronte alle grandi questioni.
Anche nella bellezza e nella suggestione delle ricerche scientifiche che tu porti ad esempio (io mi emoziono come un bambino di fronte alle grandi imprese scientifiche volte alla pura conoscenza), mi chiedo quale sia il costo, per esempio, in termini di segmentazione delle conoscenze e di conseguente rinuncia ad una visione complessiva delle questioni in gioco. Una visione senza la quale mi è difficile concepire qualsiasi capacità di assunzione di responsabilità. Mi ha colpito profondamente (e segnato il mio percorso di ricerca) quanto mi disse un fisico: <<a volte, tra di noi, non parliamo lo stesso linguaggio e facciamo fatica a seguire quello che fa l'altro>>. Se può succedere questo all'interno della cosiddetta comunità scientifica, qual è il destino di chi non è scienziato di professione di fronte alla complessificazione del sapere? Scusa per la stringatezza e Ciao , giap |
13-06-2008, 13.54.07 | #7 |
like nonsoche in rain...
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Sciroppi e responsabilità...
Mi piacerebbe e penso sarebbe utile tu precisassi la frase del fisico che riporti, ovvero cos’hai inteso lui volesse comunicarti.
Una volta qualcuno mi disse che lo scienziato deve contemporaneamente avere una visione complessiva dell’intera foresta, anche se poi trascorrerà tutta la vita a studiare solo qualche singolo albero... e gli alberi sono microcosmi molto complessi, per ognuno dei quali si è sviluppato un linguaggio specialistico talvolta molto differente dagli altri. Ma la comunicazione richiede impegno e volontà e sento che non vi sia alcuna impossibilità di principio. Si fa fatica a seguire ciò che fa l’«altro», ciò può spiazzare i non addetti ai lavori che pensano che tutti gli scienziati sappiano «tutto», ma se l’«altro» ha la volontà di spiegartelo, di comunicare con te, vedrai che la frustrazione di quel fisico scomparirà. Sembra lontano dal senso comune, ma se un fisico che lavora per esempio sui semiconduttori vuole seguire da vicino, e non in modo divulgativo, il lavoro e le pubblicazioni specialistiche di un suo collega, non so, cosmologo, dovrà sciropparsi prima una mini formazione di base, terminologica e concettuale. Ecco, dunque, che anche i due astrofisici del mio esempio precedente se vogliono comunicare tra loro, e comprendersi!, dovranno impegnarsi a considerare l’«altro» come, sì, un collega vicino che non difficilmente potrà seguire quanto si sta dicendo, ma che avrà bisogno che molti concetti non siano compressi e cifrati in sigle e micro-contenitori, operazione utile e necessaria quando si parla con i colleghi del proprio campo, ma d’ostacolo quando si tenta di parlare con qualcun altro fosse anche un altro fisico. Una comunicazione del genere richiede una decompressione, una decrittazione concettuale ovvero in poche e più semplici parole bisogna aprire il vaso di Pandora e spiegare quello che c’è dentro, senza consegnare il vaso così com’è. Ed una spiegazione richiede almeno due persone che abbiano la volontà di comprendersi. Ciò lo dico poiché è impossibile per un ricercatore seguire non in modo banale, ma sul serio specialistico tutti i campi della «foresta», in quanto già fa fatica a seguire il suo, talvolta! E mi riferisco alle decine e decine di pubblicazioni che per tenersi aggiornati, riguardo al proprio settore, ci si deve sciroppare ogni mese... considerando l’intera «foresta», occorrerebbe un’intera vita solo per leggere tutta la letteratura specialistica! Ti domandi, dunque, come questa complessità e specializzazione estrema possano essere tradotte e presentate a chi non è scienziato di professione. Pare impossibile. Nel tuo articolo, tuttavia, già hai posto delle chiavi di lettura. Non si può pretendere che tutti diventino scienziati, tant’è che anche lo scienziato non è «scienziato» ovvero non sa «tutto». La domanda, perciò, diviene: quali conoscenze servono per compiere scelte consapevoli e responsabili in materie come l’ingegneria genetica o l’energia nucleare, ad esempio? Gli stessi addetti ai lavori sanno quali siano queste conoscenze, poiché non occorre essere specialisti per comprendere i pro ed i contro di una centrale nucleare, così come le enormi possibilità delle manipolazioni genetiche ovvero non occorre conoscere quali siano le velocità medie dei neutroni per causare la fissione dei nuclei di uranio, così come conoscere il procedimento della ionoforesi per comprendere le implicazioni delle biotecnologie. È singolare che molte persone sappiano maggiormente discutere, e con dovizia di particolari, dei poveri gatti di Schrodinger piuttosto che di una centrale nucleare. Singolare e significativo, Ercole. Il funzionamento di un impianto nucleare non è molto più complicato di una pentola d’acqua bollente, il cui combustibile non è il gas, ma la rottura di tanti nuclei pesanti che liberano energia; il vapore mantiene in moto delle turbine ed ecco che si accende la lampadina. Elettricità. Poi non difficilmente potranno spiegarsi i problemi delle scorie radioattive, d’approvvigionamento dell’acqua e del combustibile nucleare e poi la sicurezza raggiunta dagli impianti, l’impatto di un eventuale incidente, etc. il tutto comparato con le altre fonti di energia. Da noi in particolare, invece, questi fondamentali dibattiti vengono svolti quasi esclusivamente dal punto di vista ideologico, da un lato funesti scenari di fall-out nucleari, dall’altro rosee prospettive d’indipendenze energetiche dall’estero. A volte leggo i pareri di commentatori esteri che proprio non riescono a comprendere lo stato delle riflessioni qui in Italia. In conclusione, brevemente ribadisco che sta agli scienziati stessi sforzarsi da un lato d’essere più umili e responsabili e dall’altro di divulgare in modo efficace le proprie conoscenze in vista di assunzioni consapevoli di responsabilità da parte della gente. Efficace, impegnandosi direi con amore a donare la propria passione alle persone. Solo loro possono farlo, possono condensare in modo non fuorviante la scienza, nessun altro. Mi rendo conto che per far ciò occorrerebbero molti più personaggi nella scienza la cui statura morale si avvicini a quella di un Einstein, ma gli scienziati potrebbero anzi pure costituirsi da pacieri in molte situazioni, mediando tra le varie istanze presenti nelle nostre società e non lasciandosi sopraffare da questo o quell’interesse accademico od economico. Cari saluti, Antonio |