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08-02-2006, 14.13.40 | #205 | |
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Ma, io penso che ci siano proprio cose che "sono nell'aria" e che alcuni captano. O meglio, che tutti captano, magari in modi diversi. Ma non tutti se ne rendono conto. A volte cose che riguardano l'intera umanità, a volte cose che riguardale le persone che abbiamo immediatamente accanto. Non so, a me capita di sognare i terremoti prima che accadano. In questo momento, io credo che siamo davvero sull'orlo di un'altra guerra mondiale, anche se spero con tutte le mie forze di sbagliarmi!! |
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08-02-2006, 16.09.02 | #207 | |
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Come promesso, ci provo. Come ho già detto, Jung, nei suoi scritti teorici, dell’immaginazione attiva parla, ma non tantissimo. Ne parla invece moltissimo nella sua autobiografia “sogni, ricordi, riflessioni”. Ne parla in alcuni seminari. E alcuni suoi allievi diretti hanno scritto testi specifici sull’argomento. Jung ne parla poco negli scritti teorici perché non vuole rinchiuderla in una definizione e in una tecnica. Non vuole che ci sia una cristallizzazione. L’immaginazione attiva è una sorta di “regalo di fine analisi” che Jung faceva ai suoi pazienti. Non a tutti. Premetto che il fine dell’analisi per Jung non coincide con il fine della vita. Jung parla di individuazione, di una sorta di “diventa te stesso- diventa ciò che veramente sei” “realizzati”. Ma non pensa certo che una persona debba compiere tutto il percorso mano nella mano con il suo analista! L’analisi è un fase. Poi bisogna andare avanti da soli. (E tra le altre cose Jung pensava anche che non tutti avevano la capacità, o anche solo la voglia, di individuarsi.) Come andare avanti da soli? L’immaginazione attiva, che molti analisti junghiani oggi usano solo come una tecnica terapeutica per approfondire l’interpretazione dei sogni, è in realtà molto più di questo: è lo strumento che Jung consiglia per andare avanti da soli. Per continuare da soli quel dialogo tra coscienza e inconscio che si è iniziato in analisi lavorando sui sogni. E quindi per scendere sempre più in profondità in se stessi. Si impara, quindi,.all’interno di un percorso analitico junghiano. Quando la si è imparata, poi la si pratica da soli. Come si fa a farla? Cos’è e cosa la differenzia dalle altre tecniche immaginative? Chi può farla e chi no? Come si fa a farla... beh, Jung, non ricordo dove, dice esplicitamente di non voler codificare una tecnica per “far sorgere” le immagini. Quella è una cosa che ognuno impara a fare “misurando” la tecnica su se stesso. Quello che sappiamo del “come si fa” è che si compone di tre fasi • Fare silenzio (silenzio interiore!) • Lasciar sorgere le immagini • Instaurare una relazione etica tra la coscienza e le immagini dell’inconscio. Sulle prime due Jung dice pochissimo. E sinceramente, parlando a persone che hanno esperienza di meditazione, non mi dilungherei nemmeno io. E’ la terza a rendere l’immaginazione attiva diversa da tutte le altre forme di lavoro immaginativo. Il rapporto etico tra coscienza e inconscio è il punto fondamentale ed è quello che stabilisce la differenza tra ciò che è e ciò che non è immaginazione attiva. Cosa vuol dire “rapporto etico”? Dunque, premesso che l’immaginazione attiva è una cosa che si fa per conoscere se stessi e non per raggiungere degli obbiettivi, già questo ci fa capire che non si tratta di una “visualizzazione autoguidata” per produrre degli effetti sulla personalità. Del tipo, per intendersi “mi visualizzo mentre pulisco la stanza per stimolare un senso di purezza...”. Questa è una cosa bellissima che si può fare, ma non è immaginazione attiva. Nell’immaginazione attiva non si costruiscono mentalmente delle immagini, ma ci si confronta con le immagini che sorgono spontaneamente. Oddio, per iniziare si ci si concentra su qualcosa, tipo, scendere una lunga scala... calarsi un una caverna... percorrere un sentiero che si inoltra in una foresta... ma poi, quando si incomincia ad incontrare le immagini, quelle non le si manipola con la volontà. Quello che si fa mano mano che le immagini sorgono, non è modificarle o pilotarle. E’ invece dialogare con loro assolutamente “etico” cioè alla pari! In questo senso è attiva, nel senso che non c’è né un abbandono alle immagini né il controllo di esse. Nessuno dei due controlla l’altro. L’inconscio non controlla, la coscienza non controlla. Cooperano. Entrano in relazione. Interagiscono. Se l’immagine è, ad esempio, una persona, con quella persona ci parlo e la ascolto. Ma non le cambio i vestiti con un atto di volontà perché è sporca. E non esco dall’immaginazione perché mi sta antipatica. Si tratta di sospendere il giudizio, di accettare quello che c’è qualsiasi cosa sia e di entrare in relazione con queste cose. Per intendersi, la relazione può anche essere una fuga, se incontro, ad esempio, una belva. Ma dentro all’immaginazione, non una fuga dall’immaginazione. Se fuggo dentro all’immaginazione interagisco con la belva. Se esco, dall’immaginazione, rifiuto di confrontarmi con l’immagine. In questo senso in una immaginazione attiva non “correggo la mia pigrizia”. Questo implicherebbe un giudizio, un intervento della volontà per modificare le immagini, un finalità utilitaristica che vanno anche bene, ma sono un’altra cosa. Uno, per ora mi fermo qui. Quando hai letto dimmi se c’è qualcosa su cui non sono stata chiara o qualcosa che ho dimenticato. |
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08-02-2006, 16.11.36 | #208 | |
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Di quelle con le bombe, i morti, i feriti, gli orrori, la fame, la povertà, le malattie, la morte, il dolore, la crudeltà degli uomini... |
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08-02-2006, 16.38.39 | #210 |
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Anche questo articolo è interessante. Da pagina 5 in poi parla di immaginazione attiva.
http://www.analisiqualitativa.com/ma...rticolo_06.htm |