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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori. >>> Sezione attiva sul forum LOGOS: Percorsi ed Esperienze |
15-12-2005, 20.31.11 | #6 |
iscrizione annullata
Data registrazione: 16-07-2005
Messaggi: 752
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Re: Re: adattamento e personalità
Messaggio originale inviato da Melany
Bisogna vedere che cosa intendiamo per "sapersi adattare". Se sapersi adattare vuol dire diventare vittima di una situazione,ossia sopportare qualunque situazione passivamente,allora può essere anche una cosa negativa.Se poi questo è perdere la personalità è da vedere,sta di fatto che fare le vittime di ogni situazione è una cosa negativa.Se per sapersi adattare intendiamo il saper affrontare ogni situazione,nel senso che si cerca una soluzione magari a nuovi problemi,allora questo vuol dire avere invece una forte personalità. Melany, ha scritto quello che penso anchio... Buona serata Vaniglia |
15-12-2005, 20.40.45 | #7 |
Utente bannato
Data registrazione: 02-11-2004
Messaggi: 1,288
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Secondo voi, sapersi adattare ad ogni situazione significa perdere la propria personalità?
No! vuole solo dire che si deve andare in soffitta e rispolverare qualche maschera di "carnevale" le classiche!! oppure inventarsene di nuove!!! Non credo che ci sia nulla che ci faccia modificare la nostra personalità! ne nel bene ne nel male! e se mai ci fosse....cercheremmo in ogni modo, attraverso l'istinto di conservazioni di mutarci camaleonticamente....adeguando ci ad un ruolo, ma sempre tenendo saldo cio' che siamo! Io credo che adattarsi ad ogni situazioni vuole solo dire avere fiducia in quello che la nuova esperienza può portarci e contare sul fatto (sempre come atto di fiducia) che prima o poi si possa contribuire attraverso l'espansione della nostra personalità alla situazione stessa, diminuire forse un pochino se stessi o solo sospendersi per un attimo in attesa di... |
15-12-2005, 21.01.19 | #8 |
Ospite abituale
Data registrazione: 16-10-2005
Messaggi: 749
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Vedo molte risposte "no".
Pensate a questo: Voi non siete stati e lo siete tuttora adattati continuamente alla società in cui vivete? Non vi adattate al gruppo sociale a cui appartenete, ai vestiti, cultura, territorio, religione, politica del paese di cui fate parte? Voi stessi siete un prodotto della società, adattati dalla società stessa per servirla. Dunque che c'è di strano nel continuare a fare ciò che l'uomo ha sempre fatto: adattarsi. Non pensate che con questo io intenda dire che, se per esempio vogliamo entrare in un gruppo, una persona perda completamente la propria personalità, ma ne perde una piccola parte, che unita a tutte le altre piccole parti inevitabilmente fondono una sorta di INSEGNAMENTO, al nostri IO. Dunque un Adattamento. |
15-12-2005, 21.58.31 | #9 |
Utente bannato
Data registrazione: 28-07-2005
Messaggi: 448
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eheheh! proprio in questi giorni ho dovuto partecipare ad un pranzo di lavoro, di quei pranzi ufficiali dove erano presenti alte cariche del mondo economico-finanziario e politico, oltre che supermegadirigenti del mio mondo di lavoro. Non posso entrare nei particolari, anche se mi piacerebbe molto, per ovvie questioni.
Di fronte a me avevo un senatore ed un onorevole dell'area paleocattolica che avevano particolarmente insistito, al momento della sistemazione a tavola, che io mi sedessi di fronte a loro (mai visti prima) e a fianco quel super dirigente che avevo sempre sentito nominare, ma mai incontrato personalmente. Mi guardavo attorno e mi chiedevo cosa potessi avere io in comune con quelle persone se non il naso, la bocca e altre parti anatomiche varie. Sostituivo il mio direttore e quindi mi dovevo adattare, oltre al fatto che eravamo tutti lì a causa di un nemmeno tanto cospicuo finanziamento per un progetto che ci riguardava, ma pur sempre un finanziamento che cadeva in un momento in cui denaro per i nostri progetti non ce n'è manco l'ombra. E quindi mi dicevo: zitta, mangia, sorridi e mosca. Sapevo che in cucina lavorava un ragazzo che conosco bene sempre per motivi di lavoro e desideravo scomparire. Pur essendo il finanziamento legato alla sua presenza lì e non in carcere e che avrebbe in futuro permesso altre opportunità similari, mi vergognavo per lui di essere a quella tavola. Sapevo che lui era particolarmente impegnato per quell'occasione, sotto pressione ed emozionato e non mi sentivo per niente a mio agio. Denaro che cadeva dall'alto della magnifica, cristiana e sconfinata bontà di persone compiaciute del proprio atto di beneficenza. Gente che la sera va a dormire contenta per avere fatto del bene. Testuali parole proferitemi dall'onorevole impomatato di fronte, mentre tentavo di non soffocare nella tartina alla mousse di tonno. Ho parlato all'onorevole, che sembrava più interessato del senatore, della realtà in Italia delle persone di quella nazionalità. Ho cercato di non soccombere a quella realtà stucchevole, ipocrita, colpevole e per molti aspetti spregevole. Ho cercato di mantenere una mia dignità esprimendo opinioni pur se diplomaticamente morbide. L'onorevole ha abbozzato e ha fatto il suo mestiere di politico. Ha capito che non facevo parte del suo mondo, ma si è molto complimentato del nostro lavoro. Sembrava quasi sincero, forse in parte lo era. Era pienamente nella sua parte di gran benefattore. Non ce l'ho fatta invece con il dirigente. Alla fine dell'antipasto stavamo già scambiandoci opinioni sempre più taglienti e contrastanti su un paio di cose per me fondamentali e sulle quali sentivo il dovere di non tacere. Non era colpa mia. Era stato lui a cominciare, a mettere l'argomento sul tappeto. Il tono era sorridente, conviviale, ironico, ma l'aria si tagliava con un coltello. Ad un certo punto per provocarmi ne ha detta una talmente grossa, che dovevo prendere una decisione. Rovesciargli in testa i tortellini, esprimere il mio parere che sarebbe stato peggio dei tortellini in testa, oppure tacere. Ho deciso per la terza ipotesi. Non tanto perchè lui fosse un dirigente, ma in quanto mi trovavo alla tavola dei finanziatori del progetto che mi stavano osservando e non essendo scemi, sapevano cosa stava succedendo. Ho fatto una battuta spiritosa e diplomaticissima (no so da dove mi sia scaturita) con la quale sott'intendevo la mia totale estraneità rispetto a quell'affermazione, tutti hanno riso ed ho cominciato a mangiare e bere senza soluzione di continuità senza più ascoltare la conversazione, nè tanto meno parlare. Ho invece ascoltato, sempre però masticando compulsivamente e bevendo vino, tutti i discorsi di prammatica che se qualcuno li definisse retorici, la retorica si offenderebbe, ed ho pure assistito ormai ubriaca alla sfilata degli operatori di cucina, tutti provenienti dall'area del disagio sociale, che sono dovuti entrare in sala e farsi applaudire e compatire dalla benefica tavolata. Alla fine ho dovuto stringere mani ed ascoltare l'ennesimo racconto del dirigente che, ridendo, riferiva di fatti assolutamente drammatici di cui percepiva solo la comicità del fatto che fossero avvenuti una notte di natale, richiamandolo al lavoro e disturbandolo. A quel punto non ce l'ho di nuovo fatta e gli ho detto con molta calma che una delle due persone che si era impiccata quella notte dell'anno scorso, io la conoscevo. Si è finalmente zittito. Insomma, per dire che ognuno di noi ha spesso la necessità per svariatissimi motivi di adattarsi alle condizioni dell'ambiente in cui si trova e deve saperla esercitare, ma ha comunque sempre il dovere etico di affermare se stesso in qualsiasi situazione sente che il proprio silenzio diventa complicità verso qualcosa di cui non vuole essere complice per nessuna ragione al mondo. Oibò |
15-12-2005, 23.32.43 | #10 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 21-09-2003
Messaggi: 611
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Re: adattamento e personalità
Citazione:
Anche secondo me no. Le reazioni a un nuovo ambiente, a una nuova situazione sono di fatto, totalmente personali, e quindi si risponderà a proprio modo. Certo è che alcune esperienze che possono mettere alla prova l'equilibrio mentale di una persona, sono potenzialmente destabilizzanti per chiunque, ma non credo che ti riferissi a casi estremi. |
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