Ospite abituale
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Il discorso vacuo
Il discorso vacuo
Il linguaggio è uno strumento di comunicazione che riflette e socializza il nostro pensiero. Per dire ciò che si ritiene giusto nel modo più adatto al contesto, sottolineando l'essenziale, non tralasciando il già noto e approvato da pareri autorevoli, eventualmente da esporre per ulteriori rielaborazioni ed ampliamenti. Anche se le nostre abilità comunicative saranno sempre limitate rispetto alla complessità della vita. La realtà di cui pur facciamo esperienza non può prescindere dalle nostre risorse linguistiche e da un pensiero interiore che fa uso di una terminologia sufficientemente articolata per un determinato argomento preso in considerazione. Si deve comprendere inoltre quando parlare, quando tacere, quando è opportuno chiarire un fraintendimento nostro o altrui, riuscire a comprendere il non detto, leggere tra le righe, dedurre l'implicito, ecc. Senza risorse linguistiche non si possono reinquadrare situazioni, sia accadute che in via ipotetica o progettuale. Lo scopo di un'interazione discorsiva, se non è semplice evasione, è acquisire altri angoli visuali, idee nuove, elaborare la realtà in modo attivo, non temere se emergono idee che svelano particolari a cui non avevamo pensato. Il discorso proficuo aiuta a riconoscere la possibilità di ripensare in modi alternativi,senza sovrainterpretazioni inadeguate, per sviare o per voler “vincere”. Spesso perchè il proprio retroterra conoscitivo è insufficiente e rimuove le ragioni altrui, non tollera dissonanze con propri clichè e limiti percettivo-ricettivi, con cui si ritiene di aver già esaurito ciò che occorre sapere. Il dialogo come confronto e condivisione viene sostituito da un dibattito difensivo dove si evita di esplorare con distacco il senso di ciò che viene detto, con l'unico scopo di percepire discordanze altrui.
C'è dialogo se questo nasce dal bisogno psicologico di entrambi, se si mettono il luce le ragoni dell'altro. Le nostre categorie mentali a volte creano falsi legami di causa-effetto eppur ritenuti oggettivi. Ad esempio frequenti sono le semplificazioni del tipo “se amasse ... capirebbe ... “ ma senza indurre ad indagare contesto, retroscena, ecc. L'etica comunicativa deve distinguere tra fatti, regole, giudizi, supposizione, generalizzazione, attraverso riletture. Si deve monitorare la corrispondenza di quanto si afferma e il problema in questione. Evitando domande senza senso e oziose quando non esistono operazioni che ne diano una risposta, falsi o mal posti problemi.
Nell'attuale società inquieta parlare impegnandosi pure a tollerare contraddizioni che ci riguardano, perciò ci si orienta su un parlare evasivo e astratto in quanto non agganciato o focalizzato su punti cruciali di una situazione. La ”verità” non conta più, ma i significati da senso comune,ciò che è ritenuto vero dalla collettività, dalle proprie sempre più ridotte fonti informative,senza nemmeno entrare in un'etica di cooperazione interpretativa.
Non c'è discorso proficuo se non si mettono in crisi convinzioni radicate su temi morali, sociali, ideologici. Se non ci si propone di capire cosa sta sotto le parole concettuali dell'altro, oltre a capire anche cosa intendiamo noi stessi, ad esempio, con “amore”, “moralità”, “libertà”, “felicità”, ecc. fuggendo il rischio di vedere le cose senza uscire da come noi stessi siamo, con ricostruzioni improprie, con ancoraggi arbitrari che sono effetti il meno possibile creativi. In ogni gruppo il potere è manifestato dai suoi prototipi anche tacitamente assimilati, perchè raffigurano una mentalità che è specchio della società del tempo. Improntano il pensiero collettivo, riconosciuto in modo acritico e chiuso, anche per suggestioni sotto soglia cosciente; si bara con effetti emotivi e irrazionali. E' la legge della gregarietà che esclude gli outsider perchè insinuano un pericoloso criticismo, e dove ognuno dev'essere ciò che si aspettano gli altri. Le discussioni possono esser aperte o chiuse, nel caso ci si affossi in percorsi non discutibili o si dirottino e sperdano in diramazioni che sono esterne al tema. Soprattutto si dovrebbe comprendere ciò che noi stessi diciamo ed escludere argomenti che non si è in grado di far propri. O si sarà costretti a dire di essere in disaccordo perchè non si sono capite le implicazioni, le inferenze, le premesse di base esplicite o implicite; le esperienze non solo personali di quel determinato argomento. Se alla base ci sono pregiudizi o preferenze personali le discussioni diventano vuote e trascendenti rispetto rispetto alla realtà effettuale. Non ci può essere una reciproco progresso mentale, non si comprende nemmeno cosa sta a noi stessi veramente a cuore.
L'uomo contemporaneo si preclude una discesa nel suo profondo, si ritiene autosufficiente, non ama nemmeno se stesso, non è variato nell'esprimersi, presenta falsi sé, non può affrontare un discorso concreto agganciato alla vita quotidiana, frastornato dal mondo mediatico dei reality,della banalità delle fiction. Non sa nemmeno spiegare su cosa si fondano le sue opinioni.
Si pensa a stereotipi convenzionali a cui corrispondono i generi “uomo o donna”, come gli hanno insegnato genitori o il branco. Sono prevedibili le sue idee sull'universo femminile. Vede la vita solo con i propri occhi, non può indicare alcuna via per progredire in un pensiero generativo. Oggi già nelle scuole della prima infanzia i nuovi docenti vengono istruiti su di un pensiero di tipo gestaltico che lo riorganizza, che scopre nuovi oggetti e relazioni, che considera una visone d'insieme e non elementi giustapposti, frammenti assemblati da fonti eterogenee con l'avvento dei “saperi internettiani.
Se un pensiero è produttivo modifica la struttura percettiva o cognitiva,riorganizza e ridefinisce concetti.
Si deve rifuggire dalla fissità cristallizzata del pensiero formulando nuove ipotesi divergenti.
Un discorso strutturato in reciproci autoracconti può avere anche la funzione di supporto sociale: si parla con qualcuno per sapere di più sulla propria situazione,senza essere sviati da affermazioni direttive, limitate e perciò sterili .Si deve facilitare nell'altro una personale visone della sua condizione esistenziale. Per contrapporre la realtà all'apparenza, rintracciare assieme l'errore e l'illusione,favorire la visione di una sempre plurivoca realtà.
E in tal caso è impossibile tralasciare le riflessione, attenendosi solo alla grevità di estrinsecazioni irriflessive e automatiche, senza riconoscere la leggerezza di un “noi” dove soprattutto si mettono il luce le ragioni dell'altro.
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