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24-03-2008, 08.32.58 | #2 |
Ospite abituale
Data registrazione: 08-01-2007
Messaggi: 50
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Riferimento: Riflessione sull'amore cosiddetto "platonico"
Argomento spinoso e faticoso quello che proponi.
Avrei preferito dedicare il poco tempo che ho per scrivere del rapporto tra amore e cibo. Allego qui un episodio di cronaca, dove proprio un educatore conosciuto e stimato DAGLI ADULTI, viene messo sotto accusa sottovoce dagli adolescenti. Un genitore sensibile ha raccolto le confidenze della figlia per altro non coinvolta e sono scattate le indagini. Forse da un episodio vero di cronaca la tua discussione può ricevere nuovi contributi. Un cordiale saluto. Maura Tratto da www.telereggio.it in data 22/3/08 Non riusciamo a crederci" Sconcerto, incredulità. L'arresto di Giuseppe La Monica, l'educatore originario di Vico Equense residente a Codemondo, ha scosso Reggio. L'attore e regista teatrale di 33 anni in carcere con l'accusa di violenza sessuale su alcune minorenni è molto conosciuto in provincia. Da anni lavorava a contatto con bambini e adolescenti, tantissime le sue collaborazioni con scuole ed enti pubblici. Il mondo dei giovani è sempre stato il suo mondo. La Monica era l'animatore del Consiglio dei ragazzi della quarta circoscrizione. In via gandhi ora si fatica a credere a quanto accaduto. Le accuse però sono pesantissime. Innanzi tutto i racconti, definiti attendibili dagli inquirenti, di 5 studentesse di Correggio di età compresa tra gli 11 e i 13 anni. Le bambine hanno descritto strani giochi fatti al buio, sotto la cattedra dove l'insegnante con una scusa si sarebbe fatto toccare le parti intime. Le violenze si sarebbero consumate tra il novembre 2007 e il marzo 2008. Alle denunce è seguita una perquisizione domiciliare. Nel pc di La Monica sono state rinvenute una novantina di foto compromettenti ritraenti minori. A quel punto sono scattate le manette. Lui non parla, durante il primo interrogatorio si è avvalso della facoltà di non rispondere, e presto il suo avvocato chiederà quantomeno la detenzioni agli arresti domiciliari. |
26-03-2008, 19.46.22 | #5 |
Ospite abituale
Data registrazione: 27-06-2007
Messaggi: 297
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I diritti dell'amor Greco.
Caro Figlio di Sofronisco,
in primo luogo, sarebbe opportuno evitare il giudizio che un intero popolo ovvero un intero secolo sia corrotto, se non per altro, perché altri secoli od altri popoli, ciascuno applicando norme sue proprie, potrebbero giudicare corrotto il popolo ovvero il secolo nostro: è ben vero che riti, consuetudini, istituti altrui, passati o presenti, possono far orrore; ma dannazioni troppo facili sono temerarie, tanto più quando non siano sicuramente fondate sulla conoscenza esatta dei fatti e degli atti, ma sono ciecamente accumulate su opinioni d’origine varia, malamente ripetute. E veramente, se filosofo mai condannò la congiunzione di due corpi, senza efficacia di generare prole, per mero godimento delle voluttà dei sensi, quegli fu Platone: non per nulla amor Platonico non significa, come pare Tu intenda, amore della beltà di giovani maschi, ma bensì amore senza congiunzione di membra, amore che muove solo l’anima dell’amante verso l’amato, quale egli immaginò fosse quello che, movendo dall’ammirazione delle forme deliziose d’un corpo mortale, inalzasse per gradi seguenti l’anima amante verso la contemplazione dell’idea stessa del bello, immagine incorruttibile, incorrotta, eterna e divina del bene supremo. Per altro, Tu stesso affermi che non T’è chiara una cosa, che pure dovrebb’esserTi chiarissima, se Tu volessi argomentare, senza timore di confutazione, la Tua condanna, perché scrivi nel Tuo commento: “Analizzando gli scritti dei filosofi Greci (Platone in primis col suo Simposio ) si può evincere (al di là degli eufemismi presenti nel dialogo...) che la cultura greca accettasse e spesso addirittura elogiasse la relazione affettiva ed anche sessuale tra uomo adulto e ragazzino (non è chiaro di quale età precisa...)”. Se non T’è chiaro quale sia stata l’età dell’amato, come puoi, poco più innanzi, affermare: “Forse in quell'antica epoca non era chiaro il concetto secondo cui il fanciullo non è un "adulto in miniatura" e, di conseguenza, non ha quella responsabilità e quella consapevolezza che è necessaria per vivere in modo maturo la propria sessualità.” ?. Se vuoi convenientemente indignarTi, secondo i principii che Tu stesso hai enunciati, piuttosto che quelle consuetudini amorose dei Greci antichi, che T’appaiono incerte, dovresti vituperare la legge certa dei nostri antenati, i quali per innumeri secoli, fino a pochi decenni or sono, posero l’età minima per un matrimonio valido, a dodici anni per le femmine ed a quattordici per i maschi, norma ancora vigente nel codice di diritto canonico della Chiesa Cattolica, quand'io studiavo giurisprudenza, trenta'nni innanzi, e che non mi pare sia stata oggi abrogata. Comunque sia, e per risposta alla Tua domanda: “Secondo voi, nell'Antica Grecia vi era effettivamente una diffusione di pratiche pedofiliache (magari mascherate ipocritamente)?” e per confutazione delle opinioni di molti, i quali, anche a causa di vocaboli antichi malamente intesi e perversamente ripetuti, confondono, forse per scusare il proprio secolo, vizii presenti, con virtù passate, trascrivo un commento che scrissi alcuni anni or sono per un foro, nel quale si disputava d’un argomento simile. Commento che scrissi nel mese di Settembre dell’anno 2005, per altro foro. <<Perché mi pare che alcuni facciano, come spesso accade, assai di confusione circa il significato dei vocaboli “pederasta” e “pedofilo”; è opportuno che ne sia chiara l’origine ed il senso, non solo nuovo, ma anche antico. Benché molti pensino altrimenti, la voce di “pedofilo” “, in lingua Greca “paidophíles” ovvero “paidóphilos”, non è composizione recente, ma antica; ancor più antica, anzi, che sia “pederasta”, Grecamente “paiderastés”: in vero, “paidophíles”, nella forma femminile comparativa “paidophilotéra”, già leggiamo in Saffo, sei e più secoli innanzi Cristo. Dopo la poetessa Lesbia, “paidophíles” fu usato da Teognide, nella forma maschile. Più tardi, nel secolo seguente, apparvero, in Platone, le forme “paiderastés” e “philópais”. Ancorché la composizione di “paîs” con “éros”, cioè amore, in luogo di “philía” cioè carità, amicizia, possa indurre il sospetto che la voce “paidophíles” abbia significato un affetto assai più intenso e veemente, che ““paiderastés”, l’esame dei luoghi, in cui essi voce furono usate, non concede che notiamo tali differenze di senso. Restaurate, in principio del secolo scorso, dall'arte medica, “pedofilo” e “pederasta” non mi pare proprio che abbiano ricevuto un senso, tra sé, molto diverso; ma, di contro, l’hanno diversissimo, anzi opposto a quello che ebbero in antico: sono usate per significare una delle varie inclinazioni della demenza. Qual fu, dunque questo senso, che ambedue le voci ebbero, in antico ?. Il nocciolo della questione è il vocabolo “paîs”, che in lingua Greca ebbe un uso molto ampio, simile a quello del Latino “pver” e dell’Italico “ragazzo”. Essa voce poté designare l’infante, il fanciullo, l’adolescente, il giovinetto, il giovane, ma anche il vecchio. Che è questo dirà qualcuno ?. Proprio come vale per il nostro “ragazzo”, un padre Greco poteva appellare “paîda” suo figlio, ancorché già decrepito d’anni, un padrone Greco convocare un vecchio servo, esclamando “paî ”, un maestro Greco insegnare ai suoi “paisín”, cioè ai suoi discepoli, benché or mai d’età maggiore, un adulto Greco accendersi d’amore “paidós” d’un giovane, ma non impubere, maschio. Quest’uso amplissimo del vocabolo “paîs”, permise che, alle voci “pedofilo” e “pederasta”, fosse, recentemente, assegnato un senso opposto a quello, per cui furono, anticamente, composte. In breve, il significato nuovo di “pederasta” e “pedofilo”, con i corrispondenti “pederastia” e “pedofilia”, indica la perversione dell’animo di colui che desidera possedere, compiendo atti venerei, sia maschi sia femmine impuberi, se non senz’altro infanti. Il significato antico, vice versa, indicava l’amore, suscitato, nel cuore d'un adulto, da un giovane maschio, che il fiorire della pubertà ornava di bellezza e di vigore, nella primavera dell’età, sì che l’amante desiderasse cogliere, insieme coll’amato, i dolci frutti di Afrodite e che l’amato, per parte sua, gradisse essere desiderato, ammirasse la virtù o la sapienza o la scienza ovvero altra eccellenza dell’amante e si compiacesse, per ciò, di fargli dono delle sue grazie. Una donna poteva sentire il medesimo affetto verso una giovinetta. Come s’intende, la conversione del senso è gravissima; i sensi sono, anzi, opposti: prima, in età antica, la pubertà, la coscienza di sé dell'amato, il medesimo sesso, l’amore che dona ed è donato, l’amato che risponde all’affetto dell’amante; poi, in questo nostro secolo, l’impubertà, l’incoscienza di sé del concupito, il sesso che può essere maschile o femminile, l’amore, se pur si possa usare tale nome, che è masturbazione con un corpo altrui, il fanciullo che è inerte ed inetto strumento della libidine voluttuosa dell’adulto. E’, quindi, opportuno considerare assai bene i vocaboli usati, affinché non s’incorra nel pericolo di scegliere nomi, che possano significare cose opposte a quelle che ci proponiamo, scoprendo il lato a coloro i quali, facendo d’ogni erba un fascio, rigettano il loglio insieme col grano. >> Questo è il commento che scrissi e che di nuovo trascrivo, rivendicando i diritti d’un amore, che ha perturbato profondamente l’animo mio, quale affezione innocente e virtuosa e degna che sia equiparata ad ogni altra affezione decorosa d’un uomo, benché per quasi due millenni sia stata vituperata dalla malizia dei mortali, proni ai comandamenti predicati dai ministri ciechi d’un dio crudele ed estraneo. Rivendico i diritti d’un amore che non viola né calpesta il germe dell’adolescenza, ma che arde mirando il fiorire dell’età giovanile, quando l’efebo, cosciente del desiderio che suscita nel cuore d’un adulto, può liberamente eleggere il far copia di sé all’amante. Rivendico i diritti d’un amore che non ottunde né oscura la coscienza ancor tenera ed incerta d’un fanciullo, ma che si nutre della coscienza chiara ed acuta d’un giovinetto. Rivendico i diritti d'un amore che s’accende non solo per la beltà del corpo, ma anche per la beltà dell’animo del giovinetto, il quale sia dunque “kalokagathós” per usare la formula felice dei Greci antichi, che fondevano in una voce sola, quella beltà che, se vuole suscitare amore sincero, non può essere solo proporzione formosa di membra esteriori, ma dev’essere anche misura virtuosa delle facoltà interiori. Rivendico un diritto pari a quello, che si concede ad un maschio, pur attempato, quando s’accenda per la gioventù femminile, se la giovinetta abbia l’età concessa dalla legge e sia capace d’intendere e di volere. Anzi, esigo confini più angusti, che siano quelli legali, perché dubito che un maschio od una femmina di quattordici anni o poco più, possano rettamente e liberamente deliberare. Ma non mi si venga a blaterare d’atti immondi od immani o corrotti, se un Socrate maturo ami e sappia farsi amare da un Alcibiade giovinetto di diciassette o diciott’anni e se, al contrario di quel che narra Platone nel Simposio, avvinto dalla grazia e dal vigore dell’età fiorente, non giaccia con lui come un padre col figlio, ma come un amante coll’amato. Anakreon. |