Citazione:
Originalmente inviato da Ipercubo
Ciao mi presento, giusto due righe, essendo questo il mio primo messaggio. Mi chiamo Riccardo, ho 21 anni, interessato a varie tematiche, in particolare nell'ambito della psicologia e internet
E' interessante questo articolo proposto da arsenio, hai parlato di individuazione Junghiana... ma stranamente non della definizione di adattamento data da Piajet, nello sviluppo del fanciullo. Egli considera l'adattamento una invariante dello sviluppo umano, presente in ogni persona, e che funziona sempre attraverso modalità di assimilazione e accomodamento. La prima è la percezione di qualcosa in base ai propri schemi, la seconda è l'aggiustamento degli schemi in base alle proprie percezioni.
Personalmente mi colpisce però che consideri l'adattamento dinamico come un qualcosa di così ben delineato, fra chi ce l'ha e invece chi ne è sprovvisto. Essendo comunque questa una capacità propria dell'uomo magari posseduta a diversi gradi, ma non in modalità si/no; infatti come afferma Maslow dipende anche da una molteplicità di variabili temperamentali che possono dipendere dall'ambiente nel quale ci si trova, dalla storia personale, da un momento particolare dell'esistenza, e per ultimo anche dal corredo genetico fornito alla nascita.
saluti
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Caro ipercubo – Riccardo, benvenuto tra di noi, e grazie per l'attenzione,e per il primo messago dedicatomi. Ti rispondo, non da professonista della psiche!
Quando si propone un tema è bene circoscriverne i limiti con il solo aspetto considerato. Ad esempio un discorso totale sull'”adattamento” avrebbe richiesto alcuni volumi, e qui si tollerano al massimo 20, 30 righe. Ma non è questo il solo punto che voglio farti notare, se per l'economia dell'argomento ci si propone di essere pertinenti, essenziali e centrati sulla propria scelta. Lì”adattamento” come tu giustamente osservi, è inderogabile nella prima età della vita, non l'ho mai disconfermato. Conosco gli stadi della psicologia dell'età evolutiva, nella formulazione teorica di Piaget, sull'adattamento cognitivo alla realtà. Per imparare a orientarsi intenzionalmente nel mondo degli oggetti, fino all'evoluzione del pensiero intelligente. Ma si tratta di saper discernere ciò che è utile ai fini del nostro discorso.
E'l'”adattamento dinamico”, per il quale m'ispiro, come detto, piuttosto all'individuazione junghiana, che dovrebbe orientare il mio discorso. Comporta un gran rispetto per le caratteristiche acquisite e individuali della personalità, e soprattutto il riscatto da certi adeguamenti passivi . Figurati che qualcuno interpretò l'”adattamento” da me considerato come un allineamento conformistico che fa rinunciare ala “diventare se stessi” conseguente a una propria individualità caratteriale di base. E' proprio il contrario!
Casomai vedrei più opportuno un breve cenno ai modelli educativi dell'Attaccamento” di Bowlby, quali importanti fattori di condizionamento familiare. Ad esempio un'educazione impartita da una madre insicura, insensibile, scostante, lassista, iperpreoccupata, influenza gravemente ed in varie maniere il comportamento adattivo futuro. Una madre ansiogena può compromettere una stabilità emotiva necessaria a far fronte agli avventi avversi che non mancano nella vita. M ancor più significativo per il nostro discorso, anche alla luce della psicoanalisi postfreudiana (enfatizza i primi tre anni di vita) ispirata a Melanie Klein, è W.D. Winnicot. Ricercatore soprattutto nell'ambito della psicologia dell'età evolutiva e psicoterapia infantile. Specie per quanto riguarda il rapporto madre-bambino, che costituisce il nucleo da cui prende le mosse l'intero sviluppo psichico ed emozionale dell'individuo, la formazione del Sé ( evitare che il bambino ne assuma uno falso), la costruzione dell'Io e l'approccio con il mondo esterno.
Inoltre, se hai la cortesia di leggermi senza fretta, non ho detto che si può essere solo “adattati o “non adattati”,senza stati intermedi. Il concetto del “Tutto o nulla” appartiene alla neurofisiologia (o al “solo bianco” o “solo nero” delle mentalità rigide). Anche nel campo della psicopatologia oggi si propende più per un continuum che va da un quasi benessere psicofisico (richiederebbe più prevenzione che cure) fino alle forme di nevrosi e alle più gravi psicosi. Concetto questo importante pure per contrastare lo stigma della “diversità” di chi soffre di un disturbo psichico. Si tratterebbe infatti di un criterio quantitativo , e non di un salto di qualità tra “normalità” e follia”.
Né ho mai assecondato riduttivismi in termini di “solo ereditarietà” o “Solo patrimonio genetico, ideologia da lungo tempo superata. Ho letto recentemente vari testi, anche nel campo delle neuroscienze, sull'interazione genetico-ambientale. Converrai che dobbiamo sempre essere aggiornati. Ti consiglio, se non l'hai letto, di Matt Ridley, “Il gene agile”, Biblioteca Scientifica Adelphi, '06. La contrapposizione tra eredità (natura) immodificabile, degli innatisti, e l'ambiente (cultura) degli empiristi, non sarebbe oggettiva perchè l'ambiente ha presa sull'intero processo genico,aperto alle esperienze esterne. I geni influenzano il comportamento umano che a sua volta influenza i geni. La variabilità dei “Big five” (apertura mentale, coscienziosità, estroversione, amabilità, nevroticismo) è dovuta per il 40% a fattori genetici, per il 10% all'ambiente familiare, per il 25% all'ambiente come esperienze esclusive dell'individuo, il 25% corrisponde all'errore di misura.
Così pure certe specifiche patologie sono plurideterminate. Ad esempio il modello multifattoriale nella schizofrenia prevede una vulnerabilità biopsicologica (ti risparmio i dettagli); gli stressors ambientali (molto inciderebbe l'ambiente familiare, in tal caso); i deficit di abilità sociale. Tutti con effetti di reciproca interdipendenza. La plasticità dei circuiti neuronali, ecc. avviene anche dopo l'età evolutiva.
Sono a tua disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti, sempre nei miei limiti! e auguri. Quanto ti manca per ultimare i tuoi studi?
saluti