Riferimento: il modo in cui viviamo la nostra vita
Porgo i miei saluti a tutti visto che compaio oggi per la prima volta in questo forum.
La controversia " natura - cultura " ha da sempre affascinato gli studiosi. Possiamo partire dalla concezione naturalistica aristotelica vs quella idealizzante platonica per comprendere meglio cosa significa essere essere umano nella sua collocazione nel reale. Da qui ne consegue la necessaria alterazione e distorsione con il mondo: la patologia.
Tutto è gia fissato nei geni o è l' ambiente a determinare ciò che sarà?
Da quando Binet cominciò a sviluppare i test per la misurazione del Q.I ci si è dato un gran da fare per cercare di avvalorare l' idea che nella mente umana alberghino facoltà innate. Gia Hume sosteneva ciò. Indubbiamente la scolarizzazione facilitò questo necessario sviluppo, ma il problema principale fu quello di attribuire al Q. I il merito di riflettere tutte le capacità mentali di un individuo. Partendo dal falso presupposto che le abilità logico-formali costituiscano l' intero bagaglio delle facoltà mentali.
Negli Stati Uniti forti dibattiti si accesero intorno a queste valutazioni quando emersero dati a favore della superiorità intellettuale dei bianchi a sfavore dei neri. Perchè non si teneva conto delle condizioni socio-ambientali in cui molte popolazioni negrine vivevano.
Ci fu uno studio, ma non ne ricordo l' autore, che prese in esame 36 coppie di gemelli MZ che avevano nel loro albero genealogico qualcuno affetto da schizofrenia. Il risultato portò a comprendere che la schizofrenia ha una componente genetica. Ma l' ambiente può determinare se un soggetto, con dei geni potenzialmente attivi riguardo alla schizofrenia, può diventarne titolare o manifestare tratti schizofrenici; che è un' altra cosa.
Ad oggi si parla di Quoziente di deviazione, che non è perfetto ed è sempre limitato ad alcuni aspetti. Esiste anche il Quoziente empatico.
I geni fissano i limiti entro i quali l' ambiente può esercitare la sua potenza adattatrice. Questo in linea di massima. Poi le patologie mostrano meglio questi confini. Che non sono mai universali, ma variano da individuo a individuo. Ad esempio una persona affetta da " disturbo bipolare dell' umore " ha sì una carenza di litio, e per questa necessita del trattamento farmacologico, ma l' ambiente circostante può far star meglio psicologicamente la persona stessa se favorisce l' accettazione della patologia.Altrimenti si corre il rischio di distorcere la realtà e far sì che si pensi che la colpa della patologia risieda nei farmaci; eliminando questi si dovrebbe star meglio.
Poi ci sono patologie ove il carattere genetico è fortemente determinante ( sindrome di Prater Willi; sindrome di Down;...), ma ciò non toglie che chi ne è affetto conservi una parte sana che recepisce la realtà mutevole nelle diverse fasi della vita.
Alla domanda iniziale rispondo si. Siamo noi che detrminiamo la nostra vita adulta, risolvendo i vari conflitti che la società ci pone. A seconda di come li risolviamo avremo esiti diversi. Aggiungo però che se fossimo stati allevati in un contesto diverso da quello originario riponderemmo in modo diverso al mondo circostante. Per contesto intendo a partire dalla fase prenatale.
Insomma la vita va vissuta a pieno, nella tensione che si produce ogni qual volta un bivio ci si pone di fronte. Pensare che tutto sia inutile, perchè predefinito, svuota la vita dal suo reale contenuto.
Le neuro scienze stanno dando il loro contributo e aggiungeranno sempre qualcosa al tessuto collettivo del sapere.
E' vero che quando restiamo ammaliati da un bambino che gioca nel nostro organismo si verificano delle reazioni chimicho - elettriche, e nel bambino anche, ma ciò non toglie alla purezza delle sensazioni vissute anche traducendole in dati sensoriali.
|