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Vecchio 05-09-2004, 15.09.00   #1
Mirror
Perfettamente imperfetto
 
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Messaggi: 1,733
Il potere dell'intenzione

Ho letto la sua lettera riguardante il “Potere dell’intenzione”.
https://www.riflessioni.it/lettereonline/intenzione.htm

Mi é piaciuta molto e mi trova assolutamente d’accordo.
Inoltre, ho colto anche l’occasione per leggere il suo articolo
interessantissimo sulla “Sincronicità”, trovato sul suo sito.
Ho molto apprezzato la sua esposizione, anche perché
ho molta affinità affinità con questa Visione, per me,
frutto di una lunga ricerca interiore.
Mi permetto d'inserirla nel forum di discussione perché
forse, a qualcuno potrebbe interessare confrontarsi
su questo importante tema.

Con stima la saluto.

Mirror
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Vecchio 12-09-2004, 12.04.13   #2
ermes
Utente bannato
 
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l'intenzione presuppone anche il suo opposto,le cose nella vita accadono,lasciamole accadere

ciao



ermes
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Vecchio 28-09-2004, 19.03.11   #3
Fralux
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Post Il potere dell'intenzione

Salve sono l'autore dell'articolo Il potere dell'intenzione e di altri precedenti, sono contento quando trovo persone che la pensano come me.

Se riusciamo ad aprire un dibattito su tale argomento sarà importante per tutti i visitatori del forum.

Inizio io sottolineando la parte dell'articolo che parla della comprensione del sè come da me descritto anche in
l'autocomprensione
per dire che il lavoro che tutti dovremmo fare e che invece facciamo poco o niente è quello che ci deve portare, pian piano, ad una comprensione netta, completa di come la mente "organizza" il nostro modo di essere cioè tutta la nostra vita.

Riuscire ad essere attenti e sereni osservatori di ogni nostra reazione agli eventi esterni ed a quelli interni (le nostre emozioni) ci porterebbe a comprendere come tanti quasi automatismi regolano le risposte al nostro vivere attimo per attimo, portandoci alla disarmonia sempre più senza un consapevole nostro controllo.

Badate basta iniziare la ricerca interiore per capire quando l'autocomprendersi è fondamentale per la nostra crescita evolutiva e per il potere dell'intenzione stesso.

Quando, infatti, rallentando i nostri ritmi molto agitati e veloci, osserviamo le risposte a quanto ci "colpisce" (sensorialmente e psicoemozionalmente) ci rendiamo conto che l'equilibrio e l'armonia sono più a portata di mano perchè prendere coscienza implica trasformazione ed evoluzione.
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Vecchio 04-11-2004, 09.47.34   #4
neman1
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Ciao a tutti

Anch'io ho letto con interesse l'argomento proposto da te e condivido tale ottica. Non posso far altro che aggiungere questo testo:

Karlfriedied von Dürckheim: La meravigliosa arte del gatto

da: "I Quaderni di Avallon", n. 23, 1990, 105-111

In questo Articolo il noto orientalista tedesco K. von Dürckheim porge al pubblico occidentale un estratto da un antico libro sulla Via della Spada dell'antica Scuola Ittôryû, fondata nel XVII secolo da ltô Ittôsai Kagehisa (156-1653); benché lo scritto sia anonimo, denunzia un'evidente ispirazione taoista e Zen, e può essere ritenuto frutto dell'insegnamento di uno dei primi Maestri della Scuola.

Traduzione di Marcella Morganti. [illustrazione di Claudio Parentela]

C'era una volta un Maestro di kendô chiamato Shoken.

Un grosso topo si era installato in casa sua, mettendogli tutto sottosopra; lo si vedeva scorrazzare tranquillamente addirittura in pieno giorno.

Un giorno il padrone di casa lo rinchiuse nella sua stanza e incitò il suo gatto ad acchiapparlo, ma il topo gli saltò addosso e lo morse alla gola così forte che riuscì a salvarsi a malapena, miagolando disperatamente. Allora Shoken radunò diversi gatti del quartiere famosi per il loro coraggio e li fece entrare nella stanza. Il topo rimaneva seduto, raggomitolato in un angolo, e appena uno dei gatti gli si avvicinava gli saltava addosso e lo mordeva, facendolo fuggire. Aveva un atteggiamento così feroce che nessun gatto osava riprovarci nuovamente. Allora il padrone di casa, in preda alla rabbia, iniziò a corrergli dietro lui stesso per ucciderlo, ma il topo evitava tutti i colpi del celebre Maestro di Kendô, che finivano per distruggere porte, pareti, specchi ed altri oggetti, mentre il roditore, rapido come il lampo, riusciva a schivare ogni suo movimento. Infine, saltandogli al viso, fini per morderlo.

Alla fine, grondante di sudore, Shoken chiamò il suo servitore, dicendogli: "Sembra che a sei o sette cho da qui [Cho = unità di misura corrispondente circa a 109 m. -ndt.] viva il gatto più coraggioso del mondo. Va' e portamelo!"

Il servitore gli portò il gatto. Era invero una gatta, che non sembrava aver nulla di diverso dagli altri gatti, e dall'aspetto né particolarmente intelligente, né pericoloso. Anche il Maestro di spada non le concesse una particolare fiducia; le apri comunque la porta e la fece entrare.

Calma e silenziosa, come se non dovesse accadere nulla di particolare, la gatta avanzò nella stanza. Il topo sussultò e rimase immobile. Con la più grande naturalezza la gatta gli si avvicinò lentamente, lo prese in bocca e lo portò fuori.

Alla sera, tutti i gatti sconfitti si riunirono nella casa di Shoken. Rispettosamente, offrirono alla vecchia gatta il posto d'onore, le si inginocchiarono davanti e dissero umilmente: "Abbiamo tutti la reputazione di gatti coraggiosi. Ci siamo sempre allenati affilandoci le unghie e vincendo qualsiasi topo, lontra o donnola. Mai avremmo potuto credere all'esistenza di un topo così forte. Con quale arte avete potuto vincerlo così facilmente? Svelateci il vostro segreto!"

Allora la vecchia gatta rise e disse: "Voi, giovani gatti, siete senz'altro coraggiosi, ma ignorate la vera Via. È per questo che non conquistate il successo quando vi confrontate con qualcosa che non conoscete. Ma innanzitutto ditemi: come vi siete allenati?"

Un gatto nero s'avvicinò e disse: "Sono il discendente di una famiglia celebre per quanto riguarda la cattura dei topi, e anch'io decisi di proseguire nella stessa Via. Posso saltare sopra paraventi alti due metri, so introdurmi in aperture minuscole dove solo un topo può entrare; da piccolo mi sono allenato in tutte le arti acrobatiche. Anche quando sono sveglio da poco, quando non sono completamente presente, nel momento in cui riprendo le forze, se vedo un topo correre su una trave lo acchiappo con un balzo. Ma questo è il topo più forte che abbia mai incontrato. È la sconfitta più terribile che abbia mai subito, e me ne vergogno."

La vecchia gatta rispose: "Ciò in cui ti sei allenato non è null'altro che tecnica [Shosa arte solamente fisica]. Quando gli antichi insegnavano una tecnica, questa era in realtà una delle forme della Via (Michisuji). La loro tecnica era semplice ma racchiudeva la più grande saggezza. Nel mondo d'oggi ci si occupa solo della tecnica; certamente, molte cose sono state inventate usando le ricetta 'A condizione di fare questo o quello si ottiene questo o quello...'. Ma cosa si ottiene? Nient'altro che dell'abilità. Abbandonando la Via tradizionale, usando l'intelligenza ed abusandone, si instaura la competizione nella tecnica, e non si avanza più. Succede sempre così: non si pensa a null'altro che alla tecnica, e ci si serve solo dell'intelligenza: questa senza dubbio è una funzione dello Spirito (Ki), ma se non è radicata nella Via, puntando solamente all'abilità diventa il germe della falsità, ed il risultato sarà nefasto. Riprenditi, dunque, ed allenati nel senso giusto!".

Si avvicinò allora un grosso gatto tigrato, dicendo: "Penso che sia unicamente lo spirito (Ki) che conta nell'arte cavalleresca; mi sono sempre esercitato in questo potere (Ki voneru). Ora mi sembra che il mio spirito sia duro come l'acciaio e libero, pieno dello spirito che riempie il cielo e la terra. Appena avvistato il nemico, la potenza di questo spirito lo incanta immediatamente, dandomi una sicura vittoria. Solo allora mi avvicino, senza riflettere, e mi oriento secondo l'Io del mio avversario. È la mia volontà che incanta il topo: a destra, a sinistra, controllo ogni suo movimento. Quanto alla tecnica non me ne preoccupo: viene da sola. Un topo che corre su una trave: mi basta fissarlo che già cade, ed è mio. Ma questo è un topo giunto senzaforma, se ne è andato senza lasciar tracce. Che cos'è? Lo ignoro".

La vecchia gatta rispose: "Ciò per cui ti sei tanto sforzato non è altro che forza fisica. Non traspare quel bene che merita il nome di 'bene'. Il solo fatto di esser cosciente del potere di cui vuoi servirti per vincere è sufficente per vanificare la tua vittoria. Il tuo Io entra in gioco, ma se l'Io dell'avversario è più forte del tuo, cosa succederà? Se vuoi vincere il nemico grazie unicamente alla tua forza superiore, egli ti opporrà la sua. Credi di essere il solo ad esser forte, e tutti gli altri deboli? Ma come ti comporterai di fronte a qualcosa che non potrai vincere, neanche con la migliore volontà o con la tua forza, anche se superiore? Ecco il problema. La forza spirituale che serbi in te 'dura come l'acciaio, libera e che riempie il cielo e la terra' non è la grande Potenza (Ki-no-sho), ma solo un suo riflesso; il tuo spirito, solo un'ombra del grande Spirito. Sembra questa grande potenza, ma in realtà è tutt'altra cosa. Lo Spirito di cui parla Mencio è forte perché è illuminato da una permanente chiaroveggenza. Ma il tuo spirito può disporre della sua potenza solo a determinate condizioni. La tua forza e quella di cui parla Mencio hanno un'origine diversa e diverso è il loro effetto. Sono talmente opposte tra loro da poter paragonarle alla corrente eterna dello Yang-Tze-Kiang e ad una marea notturna improvvisa. Ma in presenza di ciò che non può essere vinto da alcuna forza spirituale contingente (Kisei) quale spirito manifestare? Dice il detto: 'Un topo intrappolato morde persino il gatto'. Il nemico, di fronte alla morte non è legato più a nulla: dimentica la sua vita, dimentica ogni bisogno, dimentica sé stesso, è libero di vincere o perdere; non mira più a preservare la propria esistenza. Ed è così che la sua volontà diventa acciaio. Come si può vincerlo, con una forza spirituale che ci si è attribuiti da soli?"

Giunse un gatto grigio più anziano, che s'inchinò e disse: "Sì, in verità è come dice lei. La potenza fisica, anche se enorme, ha in sé unaforma (Katachi), e tutto ciò che ha forma, anche se impalpabile, può essere percepito e compreso. Ecco perchè ho sempre esercitato il mio Cuore [Kokoro=la potenza del Cuore]. Non sono io che esercito questo potere capace di sconfiggere spiritualmente l'avversario (l' "Io" del secondo gatto); non combatto neanche (come il primo gatto). Mi "accordo" con colui che è di fronte a me, mi unisco a lui non opponendomi in alcun modo. Quando l'altro è più forte di me cedo, mi abbandono per così dire alla sua volontà; la mia arte consiste nell'afferrare una gettata di ghiaia con una rete flessibile; il topo che desidera attaccarmi, anche se forte, non troverà nulla su cui appoggiarsi, nulla da cui poter slanciarsi. Ma questo topo non è stato al gioco. È arrivato ed è partito, inafferrabile come una divinità. Non ho mai visto nulla di simile."

La vecchia gatta rispose: "Ciò che tu chiami conciliazione non procede dall'Essere, dalla grande Natura: è una conciliazione voluta, artificiale, un'astuzia. In maniera conscia, vuoi sfuggire all'aggressività del nemico. Ma se ci pensi, egli si rende conto furtivamente delle tue intenzioni, quindi, se manifesti un tale atteggiamento di conciliazione il tuo spirito che era pronto ad attaccare viene turbato, come la base della tua percezione ed i tuoi atti. Tutto ciò che intraprendi consciamente ostacola la Vibrazione originaria della grande Natura, disturba il suo sorgere dalla fonte segreta ed il corso del tuo movimento spontaneo.

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Vecchio 04-11-2004, 09.51.42   #5
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"Da dove viene allora l'efficacia miracolosa? Unicamente non pensando a nulla, non volendo nulla, non facendo nulla, abbandonandosi nel movimento della vibrazione dell'Essere; solo così la tua forma diverrà inafferrabile. Niente in questo mondo nasce privo di forma. Solo così nessun nemico potrà resistere. Non penso assolutamente che tutto quello che state cercando di raggiungere non abbia valore: tutto e qualsiasi cosa può divenire un modo di seguire la Via; tecnica e Via possono identificarsi. In questo caso il grande Spirito, l' "agente", è integrato in essa e si manifesta nell'azione del corpo. La forza del grande Spirito (Ki) serve la persona umana (Ishi). Colui che ha liberato il suo Ki può affrontare ogni cosa nel giusto modo, nella sua libertà infinita. Al momento di combattere, senza servirsi di una forza particolare, il suo spirito in attitudine di Conciliazione non cederà né all'oro né alla pietra. Una sola cosa è importante: che anche la più minuscola traccia di coscienza di sé non entri in gioco, altrimenti tutto è perduto. Se si pensa allo scopo, anche solo per un istante, tutto diventa artificiale, non procede più dall'Essere, dalla vibrazione originaria della "Via-Corpo" (do-Tai): allora il nemico vi resisterà. Quindi, quale arte è bene utilizzare, ed in che modo? Solo nel momento in cui sarete liberi da ogni coscienza dell'Io (Mu-shin), solamente agendo "senza agire", senza intenzione o astuzia, in armonia con la grande Natura, solo allora sarete sulla vera Via. Abbandonate ogni intenzione, esercitatevi nella non-intenzionalità, e lasciate agire l'Essere. Questa Via è inesauribile, senzafine".

La vecchia gatta aggiunse poi qualcosa di stupefacente: "Non crediate che quanto vi ho appena detto sia quanto di più elevato esista. Poco tempo fa, in un villaggio vicino al mio viveva un gatto che passava le sue giornate a dormire. Non c'era niente che lasciasse supporre la benchè minima forza spirituale in lui. Era sempre là, sdraiato come un pezzo di legno. Nessuno l'aveva mai visto prendere un topo. Là dove dormiva e viveva, così come nei dintorni, non c'erano topi. Un giorno andai da lui e gli chiesi come si doveva interpretare questo fatto: non vi fu alcuna risposta. Per tre volte ancora gli posi la stessa domanda: egli continuò a tacere, non perché non voleva rispondere, ma perché, con tutta evidenza, non sapeva cosa dire. Fu così che compresi che "Colui che sa qualcosa, non la conosce". Quel gatto aveva dimenticato sé stesso, ed allo stesso modo tutte le cose attorno a lui: era diventato "nulla", avendo raggiunto il più alto grado di non-intenzionalità. Egli aveva trovato, senza alcun dubbio, la divina Via del Guerriero: Vincere senza uccidere. Io sono ancora lontana da lui".

Shoken ascoltò tutto questo come in un sogno. Si avvicinò, salutò la vecchia gatta e disse: "Da molto tempo ormai mi esercito nella Via della Spada (Kendô), e non ne ho ancora raggiunto la fine. Ho ascoltato il suo discorso, e credo di aver compreso il vero senso del mio cammino. Ma ora, la prego, dica ancora qualcosa di più sul Suo segreto."

La vecchia gatta rispose: "In che modo? Io sono solo un animale, e il topo è il mio cibo. Che cosa conosco delle cose umane? Solamente questo: il senso dell'arte del Kendô non è vincere l'avversario. O meglio, grazie a quest'arte ad un certo momento si giunge con la massima chiarezza alla base luminosa della morte e della vita (Seishi wo akiraki ni suru). Un vero guerriero attraverso l'esercizio dovrebbe impegnarsi nell'aspetto spirituale dell'arte, nella direzione determinata da questa chiarezza. Per far ciò bisogna esplorare innanzi tutto la dottrina sui fondamenti dell'essere, della vita, della morte e dell'ordine della morte (Shi no ri). Ma solo colui che diviene libero da tutto ciò che può distrarlo dalla Via, e soprattutto libero dal pensiero che limita e trattiene, può giungere a questa grande chiarezza. Non turbato, abbandonato se stesso, libero dall'Io e da ogni cosa, l'Essere ed il suo movimento (Shinki) si manifesterà in tutta la sua libertà, nel luogo e nel tempo ove ciò sarà neccesario. Ma se il Cuore non è libero, anche in modo estremamente tenue, anche l'Essere sarà ostacolato ed immobile; ora, se diviene immobile, chiuso in se stesso, anche l'Io diverrà immobile fisso in se stesso e in qualcosa che gli si oppone: così due forze si oppongono e lottano per la propria esistenza e in questo caso le migliori funzioni dell'Essere, capaci di ogni trasformazione, saranno inibite. Se la morte appare in quel momento il senso di chiarezza proprio dell'Essere si perderà. Come si può in una simile condizione affrontare il nemico nel giusto modo, considerare vittoria e sconfitta con un animo equanime? Anche se si vincerà sarà una vittoria cieca, che non ha nulla a che vedere col vero senso della Via della spada.
neman1 is offline  
Vecchio 04-11-2004, 09.58.16   #6
neman1
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"Essere libero da ogni cosa non significa affatto il "Vuoto". In quanto tale, l'Essere non possiede una natura propria: resta al di là di ogni forma. Nulla si accumula più in esso, in maniera tale che se si trattiene anche la cosa più infima, la grande Forza viene ostacolata, e l'equilibrio originario delle forze è perduto. Per poco che l'Essere si trovi legato ad un oggetto, non è più libero di muoversi, non potrà più scaturire nella sua piena ed intera abbondanza. Se l'equilibrio che proviene dall'Essere viene turbato la sua forza, laddove le sarà possibile circolare, scaturirà malgrado tutto, ma ove non potrà scorrere, non ci sarà nulla da fare.

"Quindi, il concetto di libertà da tutte le cose non significa altro che questo: non accumulando nulla, non appoggiandosi a nulla e non fissandosi su nulla non vi è né il forte né il suo opposto, né l'Io né l'opposto dell'Io. Nel momento in cui accade qualcosa, si incontra questo evento come inconsciamente, ed esso non lascerà traccia. Si dice nel "Libro delle Trasmutazioni" (Eki): 'Senza pensare, senza agire, senza movimento, nel silenzio totale: solo così è possibile testimoniare l'esistenza dell'Essere e della Legge delle cose dall'interno, e divenire inconsciamente tutt'uno con il Cielo e la Terra'. Colui che pratica il Kendô e vive in questo modo, è prossimo alla verità della Via".

Shoken, udendo queste parole, chiese: "Cosa significa né Io né non-Io, né soggetto né oggetto? ".

La gatta rispose: "Perché esiste l'Io, esiste anche il suo nemico. Se non ci si manifesta in quanto Io non si manifesterà nemmeno il proprio avversario. Questo è solo un altro nome per ciò che significa: opposizione. Fino a quando le cose conserveranno una forma propria, esisterà sempre una "contro-forma". Ogni volta che qualcosa assume determinazione, prende una forma particolare. Se il mio essere non viene concepito come una forma particolare, la sua "contro-forma" non avrà più ragione d'esistere. Dove non esiste opposizione, non c'è nulla che possa esservi contro. Questo è il significato di "né Io, né non-lo".

"Se si abbandona completamente il proprio essere, se si diventa liberi dall'attaccamento ad ogni oggetto, si è in armonia con l'universo, Uno con tutte le cose, nella grande Solitudine. Se la forma del proprio nemico svanisce, non ci se ne accorge, ovvero non ci si arresta: lo spirito si muove, continuamente libero da ogni legame, e risponde semplicemente, agendo con pari semplicità dal profondo dell'essere. Se lo Spirito è libero da ogni occupazione, il mondo corrisponderà tale e quale al nostro mondo, formando con noi un'unità. Lo si potrà cogliere aldilà del bene e del male, della simpatia o dell'antipatia: non si sarà più turbati o legati a nulla. Ogni opposizione: guadagno e perdita, bene e male, gioia e sofferenza, sorgono da noi stessi, ed è per questo che nell'immensità del Cielo e della Terra nulla merita d'esser compreso più che il proprio essere. Un poeta antico disse:



Un granello di polvere nell'occhio
e i tre mondi saranno troppo piccoli.
Se non ci si sofferma più su nulla
il letto più piccolo sarà ancora grande.

Questo significa: se un granello di polvere penetra nell'occhio, questo non potrà più aprirsi, poichè una visione chiara è possibile a condizione che l'occhio sia vuoto. Possa quest'immagine servirci da parabola riguardo all'essere, che è luce illuminante e libera in sé da ogni cosa. Un'altro poeta disse:

Circondato da contomila nemici, in quanto forma sarei schiacciato.
Ma l'Essere è e resterà mio per quanto il nemico sia forte.
Nessun nemico potrà mai penetrarlo.

Confucio disse: "Anche l'essere di un uomo semplice non può essere rubato". Ma se lo spirito è turbato, l'Essere si rivolterà contro di noi. È tutto ciò che posso dirle. Ora si raccolga e cerchi in lei stesso".

Un maestro può solo dare delle nozioni al suo discepolo, esporgli la sua opinione. Ma io solo sono capace di riconoscere la Verità, di integrarla. Questo si chiama "Integrazione di sé" (Jitoku). La trasmissione avviena da cuore a cuore (I shin den shin), ed è aldilà della dottrina e dell'erudizione (kjogai betsuden). Non significa "non contraddire il Maestro". Vuol dire semplicemente: anche un Maestro non saprebbe trasmettere la Verità. Questo non è valido unicamente per lo Zen.

A partire dagli esercizi spirituali degli antichi, passando per la cultura dell'anima fino alle arti, l'integrazione di sé rimane sempre il nucleo centrale, ed essa è trasmissibile unicamente da cuore a cuore. Ogni insegnamento si limita ad indicare, orientare verso ciò che già esiste in se stessi, senza saperlo. Non vi è dunque un segreto che il Maestro possa "trasmettere" al discepolo: è facile insegnare, è facile ascoltare; il difficile è prendere coscienza di ciò che esiste già in sé, trovarlo e prenderne realmente possesso. Questo si chiama "Guardare nel proprio essere, visione dell'Essere" (ken-sei, ken-sho).



Se ciò avviene vi sarà il Satori: il grande Risveglio dal sogno, dalle illusioni.



Risvegliarsi, guardare all'interno del proprio essere, comprendere la Verità del Sé: tutto questo è la stessa cosa.

Karlfried von Diirckheim





Nota:

Come in ogni occasione in cui si deve tradurre da una lingua ideogrammatica, come il giapponese, in una lingua alfabetica come l'italiano, s'impone una precisazione di fondo. Tutte le parole cruciali, nel nostro caso, di quest'articolo (Kendô, Ki, Kokoro, Mu-shin, Satori, I shin den shin) posseggono una vastità di significati intrinseci alla struttura simbolica dell'ideogramma che le designa da rendere del tutto impossibile trovare un'unica parola o perifrasi in grado di renderle pienamente tutte. Per cui le scelte adottate (rispettivamente "Via della spada", "spirito", "cuore", "non coscienza dell'Io", "Illuminazione", "da cuore a cuore") pur formalmente corrette non rendono che la superficie del significato assai complesso loro proprio. Per tutti coloro che desiderassero impadronirsi maggiormente della articolata vastità di questi significati consigliamo due possibili approfondimenti: il saggio di Mario Polia, L'etica del Bushidô (Rimini, 1989) per quanto concerne i concetti fondamentali delle Arti Marziali tradizionali giapponesi, e il volume del Maestro Taisen Deshimaru Roshi, Zen e arti marziali (Rimini, 1990) come folgorante introduzione ai legami tra mondo del Budô ed esperienza religiosa Zen.

dal sito:http://www.ilbolerodiravel.org/filosofia/durkheim.htm

Ps. Lo so che vi rompo ultimamente con lo zen...e' perche ho un po' mal di giappone in questo periodo. Ciao
neman1 is offline  
Vecchio 15-11-2004, 18.06.19   #7
Fralux
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Ti ringrazio per il tuo intervento molto simpatico con la storia della gatta dove si evidenzia come la verità delle cose quando la scopriamo si rivela essere molto semplice, talmente semplice da essere perciò da noi inafferrabile!
Fralux is offline  
Vecchio 27-11-2004, 21.15.28   #8
Mistico
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C’è una storiella, tra quelle che mi raccontava mio nonno, molte ere fa, che ora mi viene in mente:

“Un contadino che viveva solo, si trovò nella necessità di partire senza avere la possibilità di portare con sé il proprio asino. Prese due grosse ceste, le riempì di biada e riempì l’abbeveratoio nella stalla con acqua fresca. Sistemate le due ceste di fronte all’asino, uscì dalla stalla, chiuse la porta e partì sicuro che il cibo e l’acqua sarebbero bastate all’animale fino al ritorno.
L’asino non aveva in vita propria mai visto tanto cibo a sua disposizione. Felice più che mai, anche se non sentiva appetito, decise di approfittare di tanto ben di Dio… Ma, aimè… quale delle due ceste scegliere per mangiare? Appena abbassava il muso sulla cesta di destra il suo occhio sinistro gli mostrava quella di sinistra… e viceversa…
Il tempo passò, ed il contadino fece ritorno a casa. Aprì la porta della stalla e trovò il suo asino morto di fame e le due ceste piene come quando furono riempite.”

La morale della storia è che il contadino fu uno sciocco: infatti un saggio mai si sognerebbe di mettere uno stupido nella condizione di dover fare una scelta.

Scegliere è lavoro per la mente e la bontà delle scelte è proporzionale alla saggezza di chi le fa. Se non si valuta con attenzione inevitabilmente si compie una scelta avventata ed il risultato sarà nelle mani della fortuna.
Quando non riusciamo a deciderci, semplicemente vuol dire che la nostra saggezza non è all’altezza del compito.
Non sono d’accordo sulla opportunità di agire di impulso; anche se in questo ci sarebbe senz’altro genuinità e spontaneità. Affidarsi sistematicamente alla propria intuizione è correre rischi gravi per sé e per gli altri e non ho notizia di neppure una sola persona tanto intuitiva da saper cavare un asso di cuori da un mazzo di carte cinque volte di seguito senza barare.
Perfezionare sé stessi ed il piccolo intorno del nostro mondo relativo è un dovere per noi, ma non dovremmo dimenticare che la via che percorriamo in questo processo di perfezionamento ci è percorribile innanzitutto perché qualcosa di specifico abbiamo che ci contraddistingue: un materialissimo cervello capace di astrazioni da record nel “guinnes” della natura. Non usarlo ed invece affidarsi ai nostri istinti animali è contro ogni logica. L’intuito è un dito puntato in una direzione, poi la mente comanda agli occhi di guardarvi, la ragione valuta quel che c’è, comanda un passo alle gambe e gli occhi vedono ora secondo una più precisa prospettiva, la mente ci ripensa la ragione decide prima o poi… Se ritiene sia il caso di decidere. A volte, poi, la migliore azione è l’astenersi.
L'indecisione e l'insicurezza che in maggiore o minore misura appaiono al momento di dover decidere sono un bene necessario. Avvertirne un peso eccessivo può essere sintomo di inadeguatezza al compito...

Ultima modifica di Mistico : 27-11-2004 alle ore 21.18.17.
Mistico is offline  
Vecchio 29-11-2004, 12.03.38   #9
Fralux
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Ancora una volta rimando al mio sito naturopatia quantistica ed al link dell'intuizione in esso presente per avere più chiare le idee sull'intuizione.

Qui posso, in spazi stretti, dire che intuire è il modo "principe" per osservare la vita, ma attenzione a non confondere la vera intuizione con quello che comunemente e superficialemente s'intende essa significhi (solo saper le cose come attraverso una sorte di 6° senso)

Inoltre è bene comprendere che la parte irrazionale dell'intuizione è solo una fase dell'osservazione della realtà che essa attua dopo la mente deve interpretare la simbologia percepita, associare quanto interpretato a quanto è presente nell'archivio della memoria (la conoscenza personale) e poi tirar fuori elementi concreti spesso d'importanza elevata per la propria crescita interiore oltre che per l'evoluzione pratica del decorso della propria vita.

Pochi sono coloro (ma ci sono) che fanno quanto sopra [percezione dei simboli, interpretazione, associazione di idee e controllo archivio mnemonico e concretizzazione del "dato di conoscenza" finale"] in milionesimi di secondo.

Altri si debbono accontentare di svolgere con pazienza i vari passaggi in vari momenti al fine comunque di avere ottimi risultati.

L'impulsività e quanto lamentato da mistico (che gentilmente, di questo lo ringrazio tantissimo, è intervenuto al forum) specie nel dire "affidarsi sistematicamente alla propria intuizione è correre rischi gravi per sé e per gli altri" vale a mio parere solo per quelle che crediamo siano intuizioni ma non sono altro che l' illusorio intervento della mente razionale che prelevando dati dalla memoria ci pone davanti una delle possibilità a cui è pervenuta, invece la vera intuizione è profonda, irrazionale ed è veritiera, cioè non sbaglia in alcun modo quanto ci propone di vedere attraverso di essa sempre che (qui è la maggior difficoltà ed io insegno proprio a superarla) riusciamo ad interpretare i simboli percepiti!
Fralux is offline  
Vecchio 19-01-2005, 14.28.20   #10
geist
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intenzione?

non riesco proprio a capire questa discussione.
il punto è che non concordo affatto con il "meccanismo" dell'intensione.
per me infatti indagando in noi stessi, non porteremo mai alla luce un "doppio desiderio" che sottende alle nostre azioni e ai nostri stili di vita, ma troveremo solo un confuso riflesso del nostro "momento storico".
i vari desideri, le intenzioni, le azioni, non trovano la loro radice in noi stessi (o almeno non solo in noi stessi) ma la trovano solo in riferimento al contesto storico che le ha rese esistenti.
gli stessi concetti che guidano i nostri desideri e le nostre azioni non sono forse il frutto della nostra società, del momento storico, della cultura in cui ci troviamo a vivere?
qualkuno potrebbe obiettare : ma il momento storico non è guidato dall'individuo?
a mio giudizio no.
le relazioni fra strutture, fra le strategie e il potere, le tradizioni,questo determina il momento storico.
ma le strutture sono composte da individui?
l'individuo crea le istituzioni e le strutture o le strutture creano l'individuo?
esiste un rapporto di interazione?
le strutture e l'individuo in che rapporto sono?
questo è forse l'interrogativo che dovremmo porci per capire cosa veicola i notri desideri e le notre azioni.
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