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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 22-11-2006, 17.23.30   #1
maxim
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Il migliore dei mondi possibili con la peggior idea della morte

Leggendo la recente discussione su Heidegger; sentendo, in altri posts, richiamato più volte in causa Severino, la cui filosofia dell’essere trae spunto da quella del filosofo tedesco e stimolato dalla concezione di sofferenza e morte che alcuni di noi hanno e per la quale tenebrosa visione si arriva addirittura a variare la propria dieta alimentare, mi sono sorte alcune riflessioni che vorrei approfondire e precisare con il vostro prezioso aiuto.
Allora…
E’ indubbio che la vita dell’uomo, i suoi valori, le sue scelte e le sue finalità siano in funzione del rapporto…e quindi dell’idea…che egli ha della “morte” e della “sofferenza”.

Fin dalla sua nascita l’uomo ha preso una brutta piega di pensiero in riferimento al termine centrale della sua esistenza (quindi della morte) e questo ha fatto fiorire il pensiero (quindi la vita) dell’uomo che noi tutti conosciamo.
In fin dei conti, per un’idea più “positiva”, meno nichilista della morte, mica ci sarebbe voluto molto…l’amico Yam parla di fragili nuvolette di pensiero al vento che nulla hanno a che fare con il reale quindi, nuvoletta più, nuvoletta meno, nulla comunque poteva essere dimostrato…...
...ah…che poco furbi siamo!
Prendiamo ad esempio il pensiero di Severino, che se valutato nella sua globalità sembra oltretutto molto più “realista” di qualsiasi fantasma religioso.
Secondo Severino l’abbandono dell’essere parmenideo e la scelta del divenire provocano nell’umanità occidentale un sentimento di angoscia di fronte al niente, di nostalgia e di bisogno dell’essere, pertanto, con la logica del rimedio al terrore del divenire, l’uomo innalza gli “immutabili” costruendosi le entità (dio) e i valori trascendenti e permanenti (etici, naturali, etc).

L’uomo crede nel nulla e nel nulla crede di ritornare.
Sulla base di tale concezione tanto indimostrabile quanto improbabile anche solo osservando ciò che ci circonda, l’uomo ha creato se stesso, il suo pensiero, i suoi valori, le sue azioni e le sue visioni di ciò che è bene e di ciò che è male.
Ma siamo proprio sicuri che questo nostro migliore dei mondi possibili sia adatto alla peggior idea che l’uomo si è fatto della morte e del nulla che ne deriverebbe?

Mi chiedevo quindi come potrebbe essere l’uomo con i suoi valori, azioni, regole, fantasmi e paure se l’idea dell’essere fosse saldamente ancorata al pensiero parmenideo.

La discussione è ovviamente aperta anche agli spirituali cristiani e di altre religioni che fanno da testimoni a questo puro nichilismo occidentale.

Ciaociao
maxim is offline  
Vecchio 26-11-2006, 04.49.12   #2
Weyl
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A' rebours...!

Di ritorno, questa sera, dall'amato suolo tedesco, osservavo le nubi disposte a strati, appena tenui a volte, e più spesso spumose e gonfie di luce.
Nei tratti in cui il suolo appariva, un pullulare di minuscole case, di tracce ovunque dell'opera dell'Uomo, piccole facelle remote, ordinate composizioni di snodi e luminescenze che ridisegnano monti e pianure, foreste e fiumi.
E pensavo..., seppur pervaso della consueta tristezza che accompagna i ritorni, pensavo proprio a questo fatto: come il nichilismo tardo-ottocentesco abbia fatto della "morte" e del "nulla" un binomio inscindibile, centrato, in realtà, sul fallimento di un'attesa abnorme.
La morte è il nulla, solo se priva di senso.
Ma anche la vita è nulla, quando al suo dispiegarsi nell'esistenza non si prospettano colori e sentieri.

Affinchè questo sia il "migliore dei mondi possibili" occorre la buona volontà che sa fare di ciò che constata la "prescrizione" al suo agire.
Del resto Leibniz, che bollava di "ragion pigra" il fatalismo musulmano, non intendeva certo esprimersi nel compiaciuto e geniale, ma meschino, Candide di Voltaire.
Che questo sia "il migliore dei mondi possibili" non può essere un compito prestabilito, ma la naturale conseguenza dell'agire conscio di tale possibilità "constatata".

Esiste un modo laico, ma insieme profondamente religioso, di concepire la morte, che non è quello decadente e mistico del '900.
La mia morte deve avere lo stesso senso della mia vita e, per farlo, deve calarsi nel sentimento inconsapevole che impronta l'agire collettivo della comunità di cui io sono un'espressione: una, tra molte.
Deve calarvisi, sapendo che "non ci si bagna due volte nello stesso fiume" (Eraclito), al modo stesso per cui due volte non si nasce, due volte non si vive.

La filosofia di Severino è modesta e ripete le "massime generalizzazioni" proprie del primo e giovane Nietzsche.
Compiaciuto di questa presunta "intuizione", la quale oppone una lettura parmenidea ad un "circolo ermeneutico" di stampo "evolutivo" (adombrato della metafora eraclitea), vi si è adagiato da trent'anni e dorme sonni tranquilli e indisturbati.
Parmenide, ti ricordo, fu oggetto del più antico parricidio: l'Edipo-Platone lo commise.
E il padre che si uccide, come Phlebas il fenicio, è destinato a rendere fertile di messi la terra che ne accoglie il corpo.
Weyl is offline  
Vecchio 27-11-2006, 16.24.05   #3
maxim
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Messaggi: 1,638
Riferimento: Il migliore dei mondi possibili con la peggior idea della morte

Citazione:
Originalmente inviato da Weyl
Di ritorno, questa sera, dall'amato suolo tedesco, osservavo le nubi disposte a strati, appena tenui a volte, e più spesso spumose e gonfie di luce.
Nei tratti in cui il suolo appariva, un pullulare di minuscole case, di tracce ovunque dell'opera dell'Uomo, piccole facelle remote, ordinate composizioni di snodi e luminescenze che ridisegnano monti e pianure, foreste e fiumi.
E pensavo..., seppur pervaso della consueta tristezza che accompagna i ritorni, pensavo proprio a questo fatto: come il nichilismo tardo-ottocentesco abbia fatto della "morte" e del "nulla" un binomio inscindibile, centrato, in realtà, sul fallimento di un'attesa abnorme.
La morte è il nulla, solo se priva di senso.
Ma anche la vita è nulla, quando al suo dispiegarsi nell'esistenza non si prospettano colori e sentieri.

Affinchè questo sia il "migliore dei mondi possibili" occorre la buona volontà che sa fare di ciò che constata la "prescrizione" al suo agire.
Del resto Leibniz, che bollava di "ragion pigra" il fatalismo musulmano, non intendeva certo esprimersi nel compiaciuto e geniale, ma meschino, Candide di Voltaire.
Che questo sia "il migliore dei mondi possibili" non può essere un compito prestabilito, ma la naturale conseguenza dell'agire conscio di tale possibilità "constatata".

Esiste un modo laico, ma insieme profondamente religioso, di concepire la morte, che non è quello decadente e mistico del '900.
La mia morte deve avere lo stesso senso della mia vita e, per farlo, deve calarsi nel sentimento inconsapevole che impronta l'agire collettivo della comunità di cui io sono un'espressione: una, tra molte.
Deve calarvisi, sapendo che "non ci si bagna due volte nello stesso fiume" (Eraclito), al modo stesso per cui due volte non si nasce, due volte non si vive.

La filosofia di Severino è modesta e ripete le "massime generalizzazioni" proprie del primo e giovane Nietzsche.
Compiaciuto di questa presunta "intuizione", la quale oppone una lettura parmenidea ad un "circolo ermeneutico" di stampo "evolutivo" (adombrato della metafora eraclitea), vi si è adagiato da trent'anni e dorme sonni tranquilli e indisturbati.
Parmenide, ti ricordo, fu oggetto del più antico parricidio: l'Edipo-Platone lo commise.
E il padre che si uccide, come Phlebas il fenicio, è destinato a rendere fertile di messi la terra che ne accoglie il corpo.

Mi sento ancora una volta in obbligo di ringraziare Weyl…questa volta per non aver fatto “morire” una discussione che ritenevo potesse trovare risvolti interessanti e che forse è stata da me espressa in maniera poco chiara.

Mi collego quindi ad un pensiero espresso da Epicurus nella discussione del tempo e dal quale si evince, in tutta la sua tristezza, il nichilismo occidentale nei confronti del concetto “morte”.

A proposito di una mia osservazione sul binomio morte/nulla, egli scrive:

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Forse non è certo gratificante, ma non per questo deve essere falso. D'altro canto, anche se adottassimo la tua teoria, non cambierebbe il fatto che le persone muoiono...

Dal concetto suesposto, che potrebbe essere visto un po’ come il riassunto del triste pensiero elaborato sulla morte, l'uomo ha provveduto ha costruirsi i miti, i valori, le aspettative, le illusioni, le fedi.
Per sopperire a questo presunto ed inesorabile procedere verso il “nulla” si è formato l’uomo...indiscutibile quindi l’importanza che egli ha dato al concetto del divenire.

…e dice bene Weyl quando afferma che affinchè questo sia il "migliore dei mondi possibili" occorre la buona volontà che sa fare di ciò che constata la "prescrizione" al suo agire.

…ma siamo sicuri che l’uomo abbia agito nel “migliore dei modi” per elaborare il suo concetto di morte e che proprio grazie a questo suo nichilismo sia degno di abitare tuttora il “migliore dei mondi”? Oppure lo sviluppo di un pensiero più arguto nei confronti della morte, abbandonata dall’idea del divenire, l’avrebbe reso più felice?

Epicurus, sempre in quella frase scrive…” Forse non è certo gratificante, ma non per questo deve essere falso”…
Quindi…io dico…”…ma non per questo deve essere vero”...

…e visto allora che la questione sulla morte è comunque indimostrabile se non attraverso una fede che si scontra però con la ragione, supponiamo avessimo seguito, sviluppato ed elaborato un concetto di morte che non contemplasse il divenire, questo uomo meno angosciato e terrorizzato nei confronti del nulla, come sarebbe stato? Quali valori avrebbe assunto la sua vita?

In questa discussione non voglio difendere nessuna filosofia particolare…volevo solo conoscere se secondo voi noi siamo quello che siamo e soprattutto, siamo ancora, grazie al miglior concetto di morte che l’uomo potesse elaborare.

maxim is offline  
Vecchio 28-11-2006, 10.28.38   #4
Catone
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Data registrazione: 10-01-2006
Messaggi: 193
Riferimento: Il migliore dei mondi possibili con la peggior idea della morte

Bella questa discussione. Sono stato a lungo assente quindi ho il piacere di infilarmici solo ora. Per inciso: non viviamo affatto "nel migliore dei mondi possibili" ma abbiamo solo l'arrogante presunzione di farlo; ma questo, ai fini della nostra discussione, assume scarsa rilevanza.
L'uomo ha avuto, fin dai primordi, nell'angoscia della morte la ragione della sua "ansia di fare". Tutto nasce dall'esigenza di fare qualcosa che superi i confini della propria vita e ne dia un senso. E poi le religioni, come favole condivise a cui si dà il valore di Verità Assolute: saranno anche false ma fanno tanto bene all'animo.
In maniera non casuale, l'affermarsi dell'idea della morte come fine, come nulla eterno individuale, ha aperto la fase di pieno dominio dell'uomo sulla natura. E' come se cadendo ogni idea di trascendente (e di giudizio trascendentale) l'uomo non abbia trovato più alcuno ostacolo alla propria ansia di fare...
Catone is offline  

 



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