Ospite abituale
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Sulla Religione...
SULLA RELIGIONE (qualche annotazione…)
Religione uguale a ignoranza? – la cosa mi piace entro certi limiti. In verità penso che religione sia anche evoluzione; e non solo… Penso che sia soprattutto speranza – questo il punto! Per cui il mio ternario della religione (chiamo la mia filosofia della ‘tridimensione’) sarebbe ignoranza|evoluzione|speranza. D’altra parte, nel caso mi venisse rimproverato questo accostamento concettuale, mi collocherei fuori da ogni furberia ideologizzante che assegni valori alle parole come si assegnano i gradi dentro una caserma: la speranza esiste universalmente come anelito e non ha niente da invidiare all’evoluzione come status e all’ignoranza come giudizio. Le parole che si usano categorialmente in qualsivoglia contesto sono tutte parimenti dignitose dal mio punto di vista.
Non sono d’accordo che una emozione che si comunica con parole abbia da esser motivata, perché altrimenti si peccherebbe di fede… (Magari cieca?) Temo che la mia cultura, in virtù di un bislacco quanto dilatato intendimento della comunicazione, abbia finito coll’abusare della motivazione – che si sollecita in genere paternalisticamente – e della dimostrazione – che si esige piuttosto autoritariamente.
Per me il concetto di sacralità è magico, differenziandosi da quello di santità che è religioso; ma entrambi – magia e religione – hanno teso ad impastarsi nella storia dell’uomo, imponendo per raggi di propaganda il più possibile estesi ritualità, gerarchie e credenze. Né in ciò esiste il peggio e il meglio; giacché la psicologia dell’uomo di fronte alla trascendenza non varia se egli è d’abito laico oppure ecclesiale, se crede negli spiriti o negli angeli, se nella sua dimensione del sottile è canonico e regolare oppure improvvisatore ed episodico. D’altra parte, formule esistenziali di vita – come ‘conosci te stesso’ e cento altre ugualmente pregnanti – vanno ascritte ad un pensiero filosofico/filosofeggiante (dunque poco religioso e tanto meno magico) che si pone a posteriori e non a priori, è sintesi e mai precetto, non un improbabile punto di partenza ma un obbiettivo di verità definitivamente raggiunta. Infine, se certe religioni si sono secolarizzate nelle rispettive chiese (sotterranee, militanti, trionfanti…) trascinando milioni/miliardi di anime di uomini, in ciò stesso ci leggo la nostra storia, che è un miscuglio di ignoranza (che tende a diradarsi), quindi di evoluzione (indiscutibile seppure discussa) e di speranza massimamente di fronte alla morte... (Che in ogni individuo cosciente di vita è sempre l’ultima dea che si rovina!)
Che l’idea della trascendenza – supponiamo – si costruisca nella testa dell’uomo perché egli non sa rispondere a certe domande che si pone (quali?) mi sembrerebbe, quando espressa, assai bizzarra. Io/chiedente non so una infinità di cose, ma non per questo vado a credere in una entità superiore che mi premia/punisce senza neppure rispondermi a quelle cose. E pur tuttavia ne so almeno una – di cosa – per certa e ineludibile: la mia morte! Per cui, qui invece, elaboro una mia idea del ‘divino’ che mi quieta in parte e mi sospende nell’attesa. D’altra parte, se un uomo si sentisse inferiore e soffrisse per la sua ignoranza, adducendosi a sostegno un ‘Dio’ che s’inventa (del cui immenso enigma resterebbe comunque ignorante) non farebbe per questo tanta più bella figura – mi pare.
(A parte ogni possibile atteggiamento guerresco nei confronti della religione…) In fatto di ateismo, ad esempio, una cosa di certo non la condivido: che dopo la mia morte non esista più niente di me, ma soltanto il resto che mi sopravvive. Io qui, addirittura, ribalterei semplicemente i termini affermando – abnorme e forse ugualmente improbabile: soltanto io esisterò dopo la mia morte, e niente e nessun altro al di fuori di me! Così che con tale credenza – mera credenza/folle credenza – potrei finalmente sperimentare concetti – ora mere astrazioni – quali Eternità, Assoluto, Infinito… (Non il ‘paradiso’ come quello dantesco, che mi è parso sempre un incubo.)
In ogni confusione dualistica (oggettivo/soggettivo, razionale/emozionale, oriente/occidente, guida spirituale/educazione psicologica…) mi vien voglia di districarmi tridimensionalmente – è la mia filosofia. Dico che la dualità è monca se non la integro nel ternario: ad esempio concetto|oggetto|soggetto, percezione|ragione|emozione… Oriente ed occidente poi, contrapponendoli, beh sarebbe risibile: esistono innumerevoli orienti e innumerevoli occidenti. E in fatto di guida, una cosa voglio dirla da religioso/spiritualista che mi reputo: se davvero il senso della religione ufficiale fosse quello di guidare l’uomo nella sua sfera intima, il peggiore strizzacervelli che potessi trovare, sarebbe sempre meglio per me del più lucido prete (di qualsiasi religione) che mi dicesse cosa devo fare e come e quando fra i miei muri.
(Ma di fatto…) La mia cultura di appartenenza è bell’e andata a disporsi in due schieramenti: da una parte i più/meno ortodossi alle religioni più/meno ufficiali; dall’altra i più/meno agnostici, non credenti, atei, scettici, ecc. (Chiederei…) E gli eterodossi, gli eretici, gli spiritualisti a vario titolo, tutti i mistici della Terra??!…
Quando ‘mentalità scientifiche’ si confrontano questionando di religione, ho sviluppato il buon senso di tirarmi di lato: vuoi nel senso che una intenda che l’idea di dio nasca da un complesso d’inferiorità dell’uomo, vuoi che si pensi che gli nasca invece da un complesso di superiorità. Non credo che il pensiero metafisico (Yung parlava di funzione trascendente, ma si può dire semplicemente intuizione) ci sia e si ponga per recuperare l’uomo dalle sue frustrazioni o per dilatarlo nelle sue arroganze. L’uomo pensa alla trascendenza e al divino – credo/io sono così – semplicemente perché è nella sua natura di essere vivo|libero|cosciente e così pensare e desiderare e credere di continuare ad esserlo anche dopo la morte. Poi ognuno ne fa l’uso – di questa funzione yunghiana – che crede: come la sensorialità, la memoria, la fantasia, la logica, ecc. (Sia pure per non far troppo brutta figura di fronte ai suoi simili o troppo bella come qualcuno potrebbe pensare!) Certamente – anche un bambino intelligente lo capirebbe – un ordine sociale qualsivoglia è mantenuto meglio dalle sue classi dirigenti se è ancorato ai concetti di Verità, Assolutezza, Universalità… Voglio dire insomma che qualsiasi potere tende, per durare più a lungo possibile, a sacralizzarsi e santificarsi – è vero; ma è anche vero – per me – che chi esercita potere realmente/concretamente esprime una innata fatale idiosincrasia al divino.
(Infine…) Giocando a fare l’etimologo, mi vien fatto di pensare che religione significhi ri/lettura – cioè lettura fatta con più cura e riflessione. O anche recinzione, ma in senso archetipico e non esistenziale: io, qui, sarei piuttosto ‘islamico’: non separerei, ad esempio, il potere religioso da quello politico. Le pratiche rituali, poi, le vedo più nella politica e nell’economia, nel costume che è cultura e nella televisione che è divertimento che, piuttosto, nella gestione del divino – ognuno per suo conto, comprendendoci anche il comune cristiano/uomo della strada che è credente/ritualista libero/libertario più di quanto si creda… E certamente il ‘santo’ – il tutto differenziato – viene dopo il ‘sacro’ – il tutto impastato… (Eccetera, eccetera.)
TRIS
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