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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
25-10-2004, 12.40.36 | #3 |
Utente bannato
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filosofia del pensiero
... queste storielle ti buttano totalmente fuori dal pensiero.
A quale scopo? Allo scopo di uscire dalla mente comune, affinchè la Verità arrivi a te Io conosco un “modo” più efficace delle storielle... La qualità della mente è unica... è quello che frulla per le zucche-menti che fa la differenza e la differenza la faccio io ed i miei fratelli... |
25-10-2004, 15.56.18 | #4 |
Utente bannato
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X Odos.
Lo zen è assolutamente incompatibile con i nostri schemi mentali,
ma i maestri zen di oggi ti dicono che i nostri schemi mentali portano all'autodistruzione dell'umanità. Mentre lo zen è pace e creatività. Solo un esempio:tu hai un solo cervello,non due e allora come fai a realizzare:"devo essere buono,non devo essere violento,non devo essere avido ecc."? Chi è che deve essere buono, se chi pensa sei tu? Hai una sola possibilità:dividere la mente in due parti di cui una dice all'altra che deve essere così e così.Ma la cosa è impossibile,può solo essere immaginata,non realizzata. Vedi i pacifisti come si picchiano e sfasciano negozi? Il maestro zen dice che è assurdo che il violento dica a se stesso di non essere violento. Se immagini la mente come un cerchio con una piccola protuberanza,quest'appendice la chiami"Ego"e il resto della mente la chiami tu,voi,mondo ecc. Ma questo è frutto di fantasia,di immaginazione,non è reale. E perchè è tanto difficile capire questo?Perchè tutta la morale tradizionale si fonda su questo presupposto che sembra vero ma non lo è. Le più semplici frasi dello zen sono: "Io possiedo un corpo,ergo non sono un corpo" "Io possiedo una mente,ergo non sono una mente." "Io possiedo un'anima,ergo io non sono un'anima." Se non hai capito,allora i maestri zen te la buttano in ridere: "Hai una lavastoviglie? Sì? Allora d'ora in poi ti chiamerò:sign.Lavastoviglie. Sembra strano ma,se ci pensi bene..... Saluti. Kantaishi. |
25-10-2004, 16.12.34 | #5 |
Utente bannato
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La meditazione delle vette.
Il maestro zen ti dice:"Conosci qualche calciatore che ha studiato l'Enciclopedia del calcio,ha superato gli esami e poi è entrato in serie A?" Non si impara giocando?
Così è nello zenrima ti sbattono in faccia il difficile(la meditazione delle vette.)e poi,pian piano vai nel facile,cominci a capire meglio e poi ritorni sulle vette,poi cadi di nuovo,ti rialzi ecc,come nel gioco del calcio. Una classica meditazione delle vette è"Il canto di Hakuin.": Sin dal principio,tutti gli esseri sono Buddha. E' come l'acqua e il ghiaccio: senza acqua non c'è ghiaccio, al di fuori degli esseri viventi,non esistono Buddha. Non sapendo che è vicino,lo si cerca lontano. Che peccato ! E' come essere nell'acqua e lamentarsi per la sete; è come un bambino di una casa ricca che si è perso tra i poveri. La causa del nostro vagabondare nei sei mondi(1) è che viviamo nell'oscuro sentiero dell'ignoranza. Segue nella prossima mail. 1-i sei sensi,considerando la mente il sesto senso. Saluti. Kantaishi. |
25-10-2004, 17.34.39 | #6 | |
Perfettamente imperfetto
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Messaggi: 1,733
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Re: X Odos.
Citazione:
Caro kantaishi, mi piace il tuo modo di estrapolare, di sintetizzare...di porgere... capisco che quel che dici non è solo frutto di erudizione... ma anche di Comprensione....Zen. |
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26-10-2004, 19.20.58 | #7 |
Utente bannato
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Zen facile e d'attualità.
Le storie dei maestri contemporanei:
1-Il rettore di una prestigiosa Università,convinto della bravura del Maestro(zen),voleva farlo preside della facoltà di filosofia. Si recò con questa proposta dal discepolo capo che disse: "Il Maestro sottolinea l'essere illuminati,non l'insegnamento dell'illuminazione." "E questo gli impedirebbe di fare il preside della facoltà di filosofia?"-disse il rettore. "Tanto quanto un elefante sarebbe impossibilitato a essere preside della facoltà di zoologia."rispose il discepolo. 2-Il maestro Xuang-fu compiva 120 anni e un goirnalista gli chiese:"Qual'è il segreto della sua longevità ?" Rispose Xuang :"Il mio segreto è nella serenità della mia vita in quanto io non dò mai torto a nessuno." "Ma no!-disse il giornalista-non può essere questo il suo segreto!" "Certo che no-rispose il maestro-non può essere questo il mio segreto." 3-Il maestro Achaan discuteva con un missionario cristiano: "Se ho ben capito,alla fine dei tempi,tu sarai punito per i peccati che commetti oggi?" "Certo!"-rispose il missionario. "Cioè,sarebbe come dire che,se io ti dò una martellata per le dita oggi,tu ti metterai a urlare fra 50 anni?" Saluti. Kantaishi. |
27-10-2004, 05.42.10 | #8 |
Ospite abituale
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Ludwig Wittgenstein e la filosofia giapponese Satori, kouan e gioco linguistico
di Cristiano Martorella
Wittgenstein e il pensiero orientale Chi si occupa della filosofia orientale, e in particolare del buddhismo zen, non può non sorprendersi nel trovare in un pensatore occidentale, così estraneo al contesto della cultura asiatica, una quantità notevole di affinità. Ciò è maggiormente interessante se si aggiunge che Wittgenstein ignorava completamente le opere e gli autori orientali. Egli aveva studiato al Politecnico di Berlino e alla Facoltà d'ingegneria di Manchester, infine si era dedicato allo studio della logica a Cambridge. Come si vede i suoi interessi erano lontani da qualsiasi testo di filosofia orientale. Eppure Wittgenstein si ritrovò ad affrontare gli stessi problemi che avevano impegnato i saggi d'India, Cina e Giappone. Per quale motivo? Semplicemente perché il campo di indagine era il medesimo: il linguaggio. Buddha aveva indicato agli orientali l'origine della sofferenza. Un cattivo o eccessivo utilizzo del pensiero procura all'uomo tensione, angoscia, paura e sofferenza. Wittgenstein era un uomo profondamente tormentato dagli stessi problemi. Egli era fortemente insoddisfatto dell'incapacità della filosofia occidentale nel rispondere alle sue domande. Nel Tractatus Logico-philosophicus egli affermava: "[...] il valore di quest'opera consiste allora, in secondo luogo, nel mostrare a quanto poco valga l'avere risolto questi problemi"(1). Filosofia del linguaggio Wittgenstein si accorse che i problemi della filosofia sono falsi problemi, dunque la sua indagine si sposta sull'analisi di questi pseudo-problemi. Lo scopo della filosofia di Wittgenstein è esclusivamente mostrare ed eliminare gli pseudo-problemi. Wittgenstein non fu il primo logico a individuare nell'ambiguità e fallacia del linguaggio l'origine dei problemi speculativi e dunque degli errori dell'intera filosofia. In India, con una abilità altrettanto pari, Nagarjuna riuscì a mostrare la vacuità di ogni concetto e di ogni parola. Le somiglianze fra l'insegnamento di Nagarjuna e Wittgenstein si spingono oltre. Secondo Nagarjuna, così come insegna il buddhismo, ogni cosa è in relazione con le altre, e nessuna ha senso senza le altre. Wittgeinstein parla del principio di contestualità, ed afferma un concetto molto simile. Il significato di una parola o di un concetto dipende dal suo contesto. Nagarjuna sosteneva la prammaticità del linguaggio e Wittgeinstein ribadisce la strumentalità della parola affermando che il senso è l'uso. Filosofia come terapia Secondo Wittgenstein lo scopo della filosofia non è erigere un edificio di concetti, il sistema filosofico, ma praticare un continuo e radicale controllo sul linguaggio. La filosofia deve fornire una "grammatica" perspicua del linguaggio(2). Essa non è una dottrina ma una attività. La forma più nobile del buddhismo, scevra di superstizioni e credenze metafisiche, ha il medesimo atteggiamento. Il buddhismo, in particolare lo zen, necessita di una pratica costante, non è una religione che richiede soltanto l'atto di fede(3). Credere e pregare è del tutto insufficiente. Piuttosto è la pratica con un impegno che implica la totale partecipazione dell'individuo a caratterizzare tale filosofia. Attraverso la meditazione zazen oppure con quesiti kouan, il buddhismo persegue questa strategia che intende liberare l'individuo dagli errori che controllano la sua mente. Kouan di Wittgenstein Inconsapevole di tale tradizione, anche Wittgeinstein però ne applicò il metodo. Le sue lezioni erano molto simili a sedute in cui i discepoli vengono interrogati attraverso l'uso di un kouan. Che Wittgenstein praticasse tale tecnica ci è testimoniato dalle sue stesse opere che restano enigmatiche se non si interpreta correttamente il modo d'operare dell'autore. Ma vediamo da vicino questi esempi di kouan di Wittgenstein. Potrebbe una macchina pensare?" (Ricerche filosofiche, Par. 359) La sedia pensa tra sé e sé: dove? In una delle sue parti? O fuori dal corpo?" (Ricerche filosofiche, Par. 360) Ho intenzione di partire domani. Quando hai l'intenzione? Continuamente o a intermittenza?" (Zettel, Par. 46) Considera il comando: ridi sinceramente a questa battuta di spirito!" (Zettel, Par. 51) Che cosa vuol dire: la verità di una proposizione è certa?" (Della certezza, Par. 193) Dunque, se dubito, o non sono sicuro, che questa sia la mia mano, perché allora non devo anche dubitare del significato di queste parole?" (Della certezza, Par. 456) Nessuno di questi quesiti può avere una risposta precisa. Al contrario di ciò che accade per le domande della consueta tradizione filosofica occidentale. Come i kouan, la risposta è al di fuori dei concetti inquadrati dalla domanda. Wittgenstein ci mostra come l'imbarazzo o il paradosso dei suoi quesiti nascano dalla mancanza di chiarezza del linguaggio e gli inganni provengano da ciò. Per comprendere le sue domande dobbiamo distruggere l'apparato di preconcetti che controllano la nostra mente. segue... |
27-10-2004, 05.46.15 | #9 |
Ospite abituale
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La prospettiva dei filosofi giapponesi
Affermare l'esistenza di una affinità fra lo zen e la filosofia di Wittgenstein sarebbe una mera ipotesi senza possibilità di verifica se non tenessimo conto degli attuali studi filosofici in Giappone. In effetti una conoscenza approfondita della filosofia contemporanea giapponese, ci rivela che Wittgenstein è fra gli autori occidentali guardati con maggiore interesse. Alcuni studiosi giapponesi arrivano ad affermare che ci sarebbe una consonanza molto forte fra il suo metodo filosofico e la pratica dello zen.
La posizione più netta in tal senso è assunta dal sociologo Hashizume Daisaburou(4). Nel saggio Bukkyou no gensetsu senryaku (La strategia verbale del buddhismo), egli arriva ad affermare, secondo una sua interpretazione, che Wittgenstein avrebbe addirittura subito l'ostracismo della cultura occidentale permeata dallo spirito giudaico-cristiano. Secondo Hashizume, la filosofia del linguaggio di Wittgenstein sarebbe innanzitutto una critica alla logica vero-funzionale, e in secondo luogo, una alternativa al sistema concettuale occidentale fondato su una dialettica discorsiva e determinista, ma astratta. Non è del tutto infondato considerare come Wittgenstein abbia presto raggiunto, attraverso l'introduzione delle tavole di verità, i massimi sviluppi della logica vero-funzionale. E notare, soprattutto, quanto ne sia rimasto insoddisfatto, al punto di cambiare completamente l'approccio ai problemi filosofici e linguistici. Hashizume passa poi ad analizzare le strategie del buddhismo per il raggiungimento del satori. Egli paragona il gioco linguistico (Sprachspiel) di Wittgenstein alle tecniche del buddhismo per raggiungere lo stato di illuminazione. Il satori presenta gli stessi problemi del sistema filosofico basato sul gioco linguistico. Ad esempio, il paradosso della percezione del dolore(5). Wittgenstein aveva visto in frasi come "io provo dolore" ed "egli prova dolore", una diversità dovuta a una ricaduta fenomenologica. Provare dolore è un'esperienza singolare e la sua espressione verbale ("Io provo dolore") è differente dall'espressione verbale del dolore altrui che non conosciamo ("Egli prova dolore"). Resta quindi un elemento indiscernibile che la grammatica non rivela pienamente. Almeno la grammatica delle lingue occidentali, sappiamo che in giapponese le cose sono ben differenti, distinguendo le due frasi anche dal punto di vista grammaticale. Hashizume individua nello stato di satori una analogia. Noi non conosciamo cosa sia il satori. Per sapere che cos'è dobbiamo raggiungerlo. Ma nel momento in cui l'abbiamo raggiunto, come facciamo a sapere che è davvero il satori? Questo problema nasce da una trappola linguistica. Fondando la conoscenza esclusivamente su una base linguistica, perdiamo la maggior parte delle facoltà che ci permettono di agire sulla realtà. Per risolvere questa difficoltà, riconoscendo l'imprescindibile concretezza del linguaggio immerso nella realtà, Wittgenstein introduce il concetto di "seguire una regola"(6). Hashizume riconosce nel "seguire una regola" una prassi simile alla tecnica del buddhismo. Gli orientalisti hanno ben presente la nozione di dou, seguire una via, e come venga realizzato. Il maestro indica, non spiega cosa fare. Egli mostra una procedura, l'allievo la ripete. L'elemento concettuale, la spiegazione e la teoria, è del tutto assente. Importante, in tal senso, è anche il saggio Wittgenstein ni okeru chinmoku (Il silenzio in Wittgenstein) del filosofo Nakamura Hajime(7). Nakamura traccia le linee di una filosofia non discorsiva ma orientata alla prassi. Ciò corrisponde agli insegnamenti dello zen, ma anche a ciò che Wittgenstein ha realizzato con la sua attività filosofica. I giapponesi usano l'espressione mushin per descrivere un vuoto di emozioni e pensieri che sarebbe alla base della meditazione e della successiva illuminazione. Nakamura individua in Wittgenstein un vuoto con il silenzio, l'interruzione dell'uso della logica vero-funzionale e della dialettica discorsiva. Tornando ad Hashizume, vediamo che il sociologo giapponese arriva a spiegare certi aspetti del buddhismo tramite la filosofia di Wittgenstein. Secondo Hashizume, si può trovare il principio di "seguire una regola" nella condizione della comunità buddhista (sangha) che include i monaci (bhikku), i novizi (samanera) e i laici (upasaka). In questo caso, nessuno conosce la "regola". Essa dovrebbe identificarsi con la figura del Buddha. Ma chi realmente conosce Buddha? Quindi tutti cercano di seguire il suo modello, per l'appunto "seguendo la regola". Per far ciò è sufficiente ricordare le parole di Wittgenstein che chiariva tali aspetti: "Non sono sufficienti le regole, ma abbiamo bisogno anche di esempi. Le nostre regole lasciano aperte certe scappatoie, e la prassi deve parlare per se stessa"(8). Per il buddhismo, l'esempio supremo è il Buddha. Quindi il pericolo che mostrava Wittgenstein era nel confondere "il seguire una regola" con "l'interpretare una regola". Una minaccia che colpiva alle radici ogni tipo di filosofia del linguaggio che si scontrava con un uso concettuale e astratto della parola. Il tipo di filosofia che Wittgenstein avversava con la sua nozione di "significato come uso". Una concezione del linguaggio, come ricorda Hashizume, che fu ripresa da John Austin(9), e permise di far tornare concreto il linguaggio. Conclusioni Si potrebbe dire che Wittgenstein ha portato alla luce una diversa concezione della filosofia, molto più vicina alla tradizione orientale. Secondo questo modo di vedere, il pensiero non sarebbe un'immagine mentale del mondo, qualcosa di speculare, altrimenti sarebbe anche abbastanza veritiero nei confronti della realtà. Invece la filosofia orientale ci dimostra il contrario. Piuttosto il pensiero è qualcosa prodotto dalla nostra mente che è in relazione con il mondo. L'errore umano è confondere il pensiero con il mondo. L'errore della filosofia occidentale è il tentativo di spiegare il mondo con il pensiero. Il pensiero può spiegare soltanto il pensiero, e la vita è altra cosa. Cristiano Martorella Note 1. Cfr. Wittgenstein, Ludwig. 1989. Tractatus Logico-philosophicus. Einaudi, Torino, p. 5. 2. "Metodo della filosofia: la rappresentazione perspicua dei fatti grammaticali". Cfr. Wittgenstein, Ludwig. 1996. Filosofia. Donzelli, Roma, p. 27. 3. "E solo come azione di tal genere l'esistenza buddhista diviene la vita completamente libera [...]". Cfr. Hisamatsu, Shin'ichi. 1996. Una religione senza dio. Il melangolo, Genova, p. 69. 4. Hashizume, Daisaburou. Bukkyou no gensetsu senryaku, in "Gendaishisou", numero speciale, voll. 13-14, 1985. Seidosha, Tokyo. 5. Wittgenstein, Ludwig. 1995. Ricerche filosofiche. Einaudi, Torino, pp. 119-138. 6. Ibidem, pp. 108-116. 7. Nakamura, Hajime. Wittgenstein ni okeru chinmoku, in "Gendaishisou", numero speciale, voll. 13-14, 1985. Seidosha, Tokyo. 8. Wittgenstein, Ludwig. 1978. Della certezza. Einaudi, Torino, p. 26. 9. Austin, John. 1987. Come fare cose con le parole. Marietti, Genova. Ciao |
27-10-2004, 09.13.50 | #10 | |
Perfettamente imperfetto
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Re: La prospettiva dei filosofi giapponesi
Citazione:
Grazie anche te per il prezioso ed interessante contributo. Ciao Ultima modifica di Mirror : 27-10-2004 alle ore 09.17.46. |
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