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La volontà di potenza.
Schopenhauer è il maestro e il precursore, ed è lui ad indicare a Nietzsche la via del rovesciamento della metafisica. Ma è solo prendendo le distanze nei confronti del maestro che Nietzsche realizza davvero il suo superamento. È vero che certe nozioni fondamentali della sua filosofia, come quella della volontà di potenza, derivino dal pensiero schopenhaureiano, ma è altrettanto vero che egli le sottopone a un radicale capovolgimento, operando una vera e propria decostruzione dei concetti. Così, dopo aver condotto una vera e propria critica della nozione di volontà e denunciato l’abuso di chi la promuove a sostrato metafisico, egli conserva il termine nella formula più rilevante della sua filosofia, ma ne restringe l’impiego all’ambito esclusivamente metaforico. Non siamo forse indotti a usare metafore qualora vogliamo definire l’Essere e pensare il mondo? Rinchiusi dentro il linguaggio e dentro il nostro sistema d’interpretazioni, o di rappresentazioni, siamo costretti ad antropomorfizzare il mondo, ossia a proiettare su di esso nozioni proprie della nostra vita ed esperienza. Lo stesso accade per la volontà. Ma nell’espressione “wille zur macht” il termine privilegiato è “macht” (potenza); a meno che non si debba assegnare la priorità a “zur”, che designa il movimento verso, in vista della potenza. Privilegiando lo sforzo verso un più di potenza, e non un qualche stato di potenza o un’esaltazione della volontà, Nietzsche ritrova il pensiero di Spinosa, condotto però alle sue conseguenze più rigorose e non limitato alla semplice idea dell’autoconservazione : “I filosofi dovrebbero riflettere prima di stabilire l’istinto di conservazione come istinto cardinale di un essere organico. Un’entità vivente vuole soprattutto scatenare la sua forza – la vita stessa è volontà di potenza : - l’autoconservazione è soltanto una delle indirette e più frequenti conseguenze di ciò. – Insomma, in questo, come in qualsiasi altro caso, guardiamoci dai principi teologici superflui! – quale è quello dell’autoconservazione (lo dobbiamo all’inconseguenza di Spoinoza).” Ancora una volta, sulla scorta di Spinosa, Nietzsche definisce la vita in base alla capacità di suscitare o subire affezioni, imporre le proprie prospettive e i propri giudizi di valore o sottomettersi a quelli degli altri, integrare una quantità di affetti in vista di un aumento di potenza o essere sopraffatti da ciò che proviene dall’esterno e diventa funzione. Se vivere però presuppone l’aumento di potenza, questo significa rimettere in causa ogni posizione dominante, anche se a spese del proprio stesso benessere. Mentre i deboli e i malati idolatrano la potenza, i forti, i “veri potenti”, sono infatti esseri desideranti la cui volontà affermativa vuole rilanciare sempre nuove possibilità di vita e d’ interpretazione. Ecco perché l’ideologia nazista e le politiche fasciste, sono esattamente il contrario del pensiero di Nietzsche, malgrado gli equivoci storici e i tentativi di annessione.Questa volontà che Nietzsche presenta, in funzione della propria strategia filosofica, come una metafora, una legge psico-fisiologica , o anche un motore della storia, è destinata ad incarnarsi in una figura del desiderio affermativo e traboccante, quella di Dionisio.
Apollo e Dionisio.
L’idea del dionisiaco è il fondamento dell’iniziale metafisica di Nietzsche, ispirata a Schopenhauer e anche a un certo hegelismo, ma contiene già, in germe, tutti gli elementi che ne faranno l’invenzione più personale della filosofia nietzschiana. In “La nascita della Tragedia”, Nietzsche pone l’esistenza di due principi metafisici, che sono anche due manifestazioni del desiderio, e sono raffigurati dalle due divinità antagoniste di Apollo e Dionisio. Il primo rappresenta la padronanza degli affetti mediante l’intelletto, un desiderio sottomesso al severo controllo del super-io, che difende la misura, il principio dell’individuazione e un ordine sociale rigoroso. Grazie al velo delle apparenze e alla seduzione delle belle forme, egli protegge dalla violenza degli affetti e dalla terribile verità su cui si fonda l’esistenza. Dionisio, al contrario, incarna l’incontinenza della pulsione e la potenza trasgressiva del desiderio. Infrangendo ogni regola e opponendosi, nel cuore stesso dell’individuo, all’integrità del suo essere, egli è il Dio dell’estasi e dell’ebrezza. Colui che esprime il primordiale desiderio metafisico del ritorno all’Uno fondamentale :” Sorge un’aspirazione che va oltre il mondo, verso la morte, al di là degli stessi dèi ; l’esistenza viene negata, insieme con il suo luminoso e splendente riflesso negli dèi o in un al di là immortale.” All’apparenza dunque, Dionisio rappresenta una saggezza pessimista e la dimensione schopenhaueriana di un desiderio che aspira all’annullamento del sé. Tuttavia, Nietzsche, afferma l’eternità dei due principi contrari del dionisiaco e dell’apollineo, e il piacere goduto dallo stesso Essere, e finisce per affermare che, malgrado l’attenzione del desiderio dionisiaco per il nulla, a prevalere sono la potenza e la volontà di vita : “Siamo veramente per brevi istanti l’essere originario in sé e ne sentiamo l’indomabile brama di esistere, la gioia di esistere; la lotta, il tormento, l’annientamento dei fenomeni ci sembrano ora quasi necessari, nell’enorme sovrabbondanza delle innumerevoli forme d’esistenza che incalzano, si spingono e urgono per aver vita, data l’esuberante fecondità della volontà universale; in noi sta confitto il furibondo pungiglione di questi tormenti, e ciò nello stesso istante in cui siamo fusi con quella sconfinata, originaria gioia di vivere e, in dionisiache estasi, abbiamo il presentimento dell’indistruttibilità e dell’eternità di questa gioia di vivere.”
Il desiderio dionisiaco.
Il senso profondo della figura di Dionisio, consiste nella felice integrazione della morte con e mediante la vita, l’affermazione della vita fin dentro la morte. La morte è voluta come condizione della vita e di una perpetua rinascita, e la crudeltà e il dolore sono condizioni dell’esistenza. Per cui, la morte di Dio o la distruzione dell’individualità, invece di essere l’espressione di una pulsione di morte, esaltano la necessità di morire più volte a se stessi per rinascere in una volontà affermativa dell’esistenza. L’idea del superuomo, esprime questa logica e questo stesso desiderio, con la distruzione del proprio sistema di valori, le proprie illusioni di potere, al fine di tendere, una volta di più, verso la potenza, ossia, cercare, per sé e gli altri, nuove interpretazioni e nuove prospettive. In questo, Nietzsche ha rovesciato l’etica schopenhaueriana e ha ritrovato la positività del desiderio dell’etica spinoziana.
Ciao, .
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