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11-10-2014, 12.03.37 | #32 | |||
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Riferimento: Che cose significano le parole?
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11-10-2014, 15.29.45 | #33 | |
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Riferimento: Che cose significano le parole?
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Spero di non risultare noiosa, sto cercando di capire ed anche chiarire a me stessa. Riassumendo: 1) esiste una realtà 2) esiste una percezione di essa che è, prima di tutto individuale, cioè la realtà che e come io la percepisco, che diventa la realtà per me - da qui eliminiamo le posizioni estreme a) c'è chi sostiene che esiste una realtà che è tale oltre il percepito ed indipendente dal percepito b) c'è chi sostiene che l'unica realtà è il percepito e non ne esiste realmente alcuna altra esterna a questo e ancora in a c'è a1) chi sostiene che si possa percepire la realtà esattamente come essa è a2) chi sostiene che ciò non sia mai possibile e che lo scarto esisterà sempre a3) chi sostiene che il percipiente addirittura modifica la sostanza del percepito Noi prendiamo la via di mezzo esiste una realtà un percepito e una certa percentuale di reciproca influenza in cui sia la natura della realtà modifica il percipiente sia il percipiente modifica la natura della realtà... che se non facciamo così non ce la caviamo più Scegliamo ciò è diciamo che questo è un già un primo piano di verità. Per chi la pensa diversamente il suo primo piano di verità sarà costituito da altra posizione e cioè, ad esempio, - che esiste una realtà indipendente dal percepito, ed un percepito che è verità solo per il percipiente, se ritiene che vi sia uno scarto incolmabile. Oppure: - che esiste una realtà e un percepito che possono giungere ad una perfetta coincidenza, se ritiene che esista questa possibilità. In questo caso la comunicazione è verità - sia quando affermo che: sto comunicando il mio percepito e il mio percepito è questo - sia quando affermo "in questo momento fino all'orizzonte a me visibile il cielo è perfettamente completamente libero da addensamenti nuvolosi" e il mio percepito è perfettamente aderente alla realtà. E questo, ahimè, è un esempio di percezione che può essere perfettamente aderente alla realtà, può essere perfettamente comunicata in modo inequivocabile, può essere perfettamente percepita, e qualora il mio vicino la opinasse dovrei ipotizzare - che i suoi sensi siano difettosi - che lo siano le sue capacità di intendere il linguaggio e le parole che uso benché facciano parte della medesima dotazione di cui siamo o ci siamo stati forniti - che sia un folle - che abbia insondabili motivi per negare l'evidenza. Però ci dice che una verità comunicata che sia perfettamente aderente alla realtà esiste, nonostante esistano anche evenienze per cui qualcuno possa non riuscire a condividerla o non intendere condividerla. In pratica potrei anche dire che accanto alla verità del fatto che "fino all'orizzonte a me visibile in questo momento non siano presenti addensamenti nuvolosi" esiste un'altra verità che contemporanemanete si pone in essere, ed è quella del mio vicino che non è in grado -per i motivi x, y, o z- di confermare l'aderenza alla realtà del mio percepito e correttamente comunicato (di una delle due o di entrambe le cose). In sostanza convivono altri piani di "verità". 2) esiste una comunicazione tramite parola e linguaggio 3) tale comunicazione - tu dici - non può comunicare la natura e l'essenza della realtà e può riguardare "sempre e solo" il percepito, in tal caso la comunicazione ne diventa una "rappresentazione" Qui esistono ancora una volta molteplici differenti piani di verità. a) sto realmente comunicando il mio percepito (non sto mentendo in proposito a ciò che percepisco) b) lo sto comunicando correttamente tale valutazione dipende dai tanti fattori della comunicazione che vogliamo tenere in considerazione ad esempio: - sto usando un linguaggio comprensibile al mio interlocutore e condiviso da esso c) tale corretta comunicazione c1) giunge a buon fine c2) non giunge a buon fine presso questo o quell'interlocutore. Nel caso c2) vi sarà un elenco di circostanze e criteri che possono definire le qualità di tale buon fine (ci siamo/non-siamo capiti o fraintesi o malintesi, siamo/non-siamo d'accordo, abbiamo/non-abbiamo dato luogo a un processo di conoscenza reciproca, la comunicazione è-stata/non-stata funzionale rispetto a uno scopo prefisso, gli scopi prefissi erano-diversi/coincidenti, etc.) In tal caso i piani di verità sarebbero molteplici, e non uno solo, et persino simultaneamente, a seconda degli elementi che inserisco nel contesto di cui una certa verità diventerà proprietà e dal punto di vista in cui li guardo. E in tal caso ancora, una comunicazione produrrebbe sempre e comunque una qualche verità che verrebbe ad emergere dalla sua analisi e valutazione. Verità che cambierà ancora a seconda di chi svolge l'analisi, dei suoi contesti e dei suoi criteri di valutazione. Una solo di questi elementi dunque è verità?! Oppure -a questo punto- "qualunque di queste cose" lo è contemporaneamente? In questo secondo caso non potrebbe essere del tutto superfluo attribuire la qualità di "verità" alle proprietà di un contesto. Mi resta sempre il dubbio dell'interscambiabilità fra chiamarli "diversi piani di realtà" o "diversi piani di verità". Cioè, dove e come "verità" è qualcosa di più di "realtà", in questa disamina che ho schematizzato? Se si assume il postulato che esiste una realtà esterna a noi e da noi indipendente la percezione della quale può essere pefetta e coincidente ad essa ("fino all'orrizzonte che mi è possibile vedere il cielo in questo momento è totalmente libero da qualunque forma di addensamento nuvoloso") allora l'unica verità è in una comunicazione che si attenga esclusicamente a descrivere la realtà delle cose così come sono e chi non percepisce correttamente tale comunicazione è semplicemente impossibilitato ad entrare in contatto diretto, pieno e completo con la realtà. Se si assume il postulato che una realtà esterna non esista o non sia mai percepibile allora qualsiasi comunicazione descrive qualcosa che riguarda solo dei percepiti, che possono essere del tutto arbitrari così come la comunicazione può addirittura mentire in merito al proprio percepito. Se una realtà non esiste o non è percepibile correttamente, a che mi serve comunicare in merito "al perceptito individuale"? Dato che anche la mia comunicazione diventaerà per altro niente più che il suo percepito di essa? |
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11-10-2014, 23.46.04 | #34 | |
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Riferimento: Che cose significano le parole?
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E parto da un presupposto: la realtà è tutto ciò che c'è e dunque non ha piani, è semplicemente il puro e neutro esserci in ogni istante e in ogni luogo ove qualcosa c'è e quindi nemmeno ha contesti (ovvero è il contesto totale di ogni rappresentazione e di ogni dire, dato da una unica fenomenologia totale e completa). La realtà comprende ogni sua manifestazione che pertanto sono (ciascuna di esse presa singolarmente) reali e possono apparire vere o no. Fin qui la verità è pura espressione del reale che per esprimersi ha bisogno di una molteplicità differenziata di verità ossia per la quale questo è questo e questo non è quello, questo cielo sereno è questo cielo sereno e non questo cielo nuvoloso che è questo cielo nuvoloso; Patrizia è Patrizia e Patrizia non è Maral, A è A e A non è né B, né C, né D e così via, ma B è B, C è C e così via. Tutto questo è immediatamente vero sia fenomenologicamente che logicamente, è immediata espressione e vera del reale che trasforma l'indifferenziata e neutra unità originaria in molteplici verità che appaiono: la verità dell'essere A, quella dell'essere B, quella dell'essere C ecc. e dunque si rappresenta e si relaziona (A si relaziona con B, C ecc già semplicemente negando di essere B, C ecc. e scoprendo quanto pur tuttavia la accomuna a B, C ecc., ossia quanto di A richiami B,C ecc.). Fin qui c'è coscienza di A, B e C, ma non c'è ancora autocoscienza che appare in quanto per poter dire che A è vero, B è vero e così via c'è bisogno anche di almeno un soggetto/osservatore che lo dica (e qui nasce la prima problematica rappresentativa) e di una molteplicità di soggetti osservatori che lo confermino rafforzandolo (e qui alla problematica rappresentativa si aggiunge quella comunicativa). Tutti costoro osservatori e osservati sono veri in quanto manifestazione effettiva del reale e non c'è nessuno che possa guardare la realtà da fuori, non essendoci nulla al di fuori del reale, proprio per quello che abbiamo prima postulato, ossia che la realtà comprende tutto quello che c'è e dunque ogni cosa che c'è è vera poiché è vera manifestazione del reale. Tutti gli osservatori esprimono la verità, ma nell'ambito della loro visione parziale di verità, ossia quella visione che fa riferimento al loro particolare contesto di senso che determina e alterna sfondi e figure. Il fatto che sia la verità di una rappresentazione necessariamente parziale non toglie nulla al suo valore di verità a patto che sia riconosciuta come parziale ed è proprio tale riconoscimento di parzialità che spinge continuamente verso una totalità in cui vuole riconoscersi la realtà stessa (realtà in sé -ossia né vera né falsa- e dunque per sé . ossia realtà che si riconosce vera.). Gli osservatori sono dunque il mezzo per questo riconoscimento e per realizzarlo comunicano tra loro. ciò che sentono, ripeto, è vero, e quindi comunque correttamente percepito (anche se l'osservatore fosse folle) ed è vero proprio in quanto è verità parziale che vuole sempre essere totalità vera ma sa di non poterlo essere. Ma la comunicazione di queste verità può essere sincera o no e non è sincera quando si vuole comunicare la parzialità del proprio sentire la verità come totalità già raggiunta (e qui scatta la falsità della follia), non è vera quando l'osservatore avoca a sé stesso una posizione di supremazia (magari anche subendone la pretesa) che esige che l'altro osservatore taccia e non si dispone all'ascolto in quanto lo ritiene inutile. E' falsa per volontà di potenza che è essenzialmente volontà falsificante, ma pur tuttavia anche la volontà di potenza è vera e se l'osservatore riconosce la propria vera volontà di potenza il suo potere falsificante sarà neutralizzato. Dunque non esiste una realtà comunicata perfettamente aderente alla realtà come unica totalità, perché dovrebbe essere la verità della totalità, ma ne esiste il bisogno continuo che si esprime in un gioco di verità parziali che ne danno infinita rappresentazione e questo gioco può comprende una vera comunicazione e veri linguaggi e dunque discorsi veri che mirano a quella completezza che non possono raggiungere ma a cui non possono fare a meno di mirare. Il percepito individuale è vero, ma a patto che sappia del suo essere individuale a fronte di una molteplicità necessaria di diversi altri individuali modi di percepire e come tale si comunichi. Poi comunque si comunichi, anche se nella falsità delle sue pretese di potenza queste non avranno nel gioco globale alcuna rilevanza, il falso non c'è proprio in quanto falso e solo si illude e ci illude di esserci poiché il vero è necessità originaria e non possibilità. Sperando di non aver deragliato. |
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12-10-2014, 11.21.42 | #35 |
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Riferimento: Che cose significano le parole?
@Maral
Hai esposto e spiegato molto bene il tuo darshana (visione globale), in modo molto chiaro e ordinato e lo trovo, in sé per sé, condivisibile (qualche curiosità mi sorge - ma la riservo per poi - qualora lo si vada ad applicare alle necessarie funzionalità del vivere pratico e quotidiano). Se lo ho ben compreso, in questo quadro, le uniche evenienze in cui ritieni di applicare l'imputazione di non-verità, cioè di falso sono queste: - una rappresentazione è necessariamente rappresentazione di una porzione di realtà e diventa falsa solo 1) quando non è riconosciuta come parziale 2) per volontà di potenza (anche se non ho chiaro cosa intendi esattamente per volontà di potenza) 3) quando l'osservatore avoca a sé stesso una posizione di supremazia Ed è a queste cose che ti riferisci quando affermi che "La realtà comprende ogni sua manifestazione che pertanto sono (ciascuna di esse presa singolarmente) reali e possono apparire vere o no." Sono dunque solo queste 2 o 3 (la seconda e la terza mi par che indichino la stessa cosa, ma non sono sicura). Non riesco invece a collocare questo: "per poter dire che A è vero, B è vero e così via c'è bisogno anche di almeno un soggetto/osservatore che lo dica (e qui nasce la prima problematica rappresentativa) e di una molteplicità di soggetti osservatori che lo confermino rafforzandolo (e qui alla problematica rappresentativa si aggiunge quella comunicativa)." Su questa necessità di conferme all'atto pratico ho qualche dubbio. Troverò interessante vedere poi, come, assumendo questa visione la facciamo funzionare sul piano pratico. Ultima modifica di jeangene : 13-10-2014 alle ore 12.46.49. |
13-10-2014, 19.44.50 | #36 | |
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Riferimento: Che cose significano le parole?
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Condivido pienamente la precedente osservazione e buona parte delle riflessioni successive che ritengo possano essere sintetizzate nella considerazione che la convenzione e' basata su di un codice (vocabolario) che ha molte limitazioni rispetto al pensiero è che per tale motivo da anche significati polivalenti a molte parole che quindi assumono un significato relativo alle modalità ed alle circostanze in cui vengono usate, oltre che alla cultura di chi le usa. Avevo scaricato solo questa considerazione,ma nel rileggere l'anteprima ho ricevuto un messaggio di errore da parte del sito: ...deve raggiungere almeno 15 caratteri. Ho scritto un'altra frase è di nuovo nel rileggere l'anteprima ho ricevuto la stessa segnalazione di errore. Sono andato a vedere il significato di "carattere" nell'enciclopedia Treccani: segno tracciato,... a cui si dia un significato; ..la forma delle lettere dell'alfabeto o dei segni di una scrittura... Penso di aver ricevuto una conferma dell'esattezza dell'essere azione di Patrizia Mura e forse anche della mia considerazione. Ultima modifica di albert : 14-10-2014 alle ore 08.44.14. |
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14-10-2014, 09.50.08 | #37 | |||
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Riferimento: Che cose significano le parole?
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14-10-2014, 20.55.30 | #38 |
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Riferimento: Che cose significano le parole?
Maral, posso chiederti che cosa intendi esattamente con l'espressione "volontà di potenza"?
Intendi la volontà di prevaricare gli altri? Insomma esattamente all'atto pratico e concreto, prima di tutto, e poi a livello di pensare e di sentire, potresti descrivermi cosa intendi con "volontà di potenza"? Ho necessità di riuscire a rappresentarmi questa cosa cui ti riferisci con altre parole o immagini. Ho la sensazione di non riuscire a fare centro nel tuo intendimento e nell'oggetto che indica il tuo linguaggio. Colpa mia, sono spesso assai amante di molti ambiti di indagine che riguardano anche la filosofia, ma non sono pratica del linguaggio specifico, quindi probabilmente io definisco la stessa cosa con altre parole, ma non riesco a fare fuoco, a dirmi una cosa del tipo "con il mio linguaggio sarebbe quello che io chiamo 'così'". |
14-10-2014, 22.47.56 | #39 | |
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Riferimento: Che cose significano le parole?
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Da un punto di vista più pratico la volontà di potenza si rappresenta originariamente nell'io: io voglio senza che ci siano limiti insuperabili al mio volere, qualsiasi cosa voglia. |
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15-10-2014, 09.05.34 | #40 | |
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Riferimento: Che cose significano le parole?
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"volontà di prevaricare l'identità ontologica di ogni cosa a se stessa" Questo non mi dice ancora nulla. "io voglio senza che ci siano limiti insuperabili al mio volere, qualsiasi cosa voglia." E' il c.d. "delirio di onnipotenza"? (comunemente conosciuto con questa denominazione in riferimento a Freud?). |
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