Albert Camus, l'"uberNietzsche"
"Devo a Nietzsche una parte di quello che sono" (Albert Camus).
Scrive M.Onfray: "il luogo comune di una storiografia un pò dubbia assimila piattamente l'essere nietzschiano
con l'essere Nietzsche. Bisogna dunque rifare la stessa strada di Nietzsche, e ricalcare tutti i sentieri che
lui ha tracciato?" Eppure, dice Onfray, è lo stesso Niezsche ad affermare che: "si ripaga male un maestro se
si rimane sempre scolari". Ed è in questo senso che, secondo Onfray, Nietzsche è stato per Camus un buon maestro.
Essere nietzschiano non consiste quindi nel pensare come Nietzsche, ma nel pensare a partire da Nietzsche.
Pensare a partire da Nietzsche, continua Onfray, consiste nel ragionare tenendo presenti le sue scoperte
fondamentali, contando sulle sue analisi e sulle sue osservazioni, sulla sua rigorosa e fondata diagnosi del
nichilismo europeo.
Se ci preoccupiamo di definire il nietzschiano come chi fa di Nietzsche non tanto un fine da copiare, quanto
un inizio da superare, allora Albert Camus fu uno dei grandi filosofi nietzschiani del Novecento, forse
addirittura il più grande. Lontano da tanti oscuri interpreti, continua Onfray, che non si preoccupano della
vita filosofica, Camus ha preso Nietzsche sul serio, "vivendolo" (ma anche superandolo).
Io credo che queste parole di Onfray colgano davvero nel segno.
La mia impressione è che, oggi, Nietzsche sia ridotto a, come dire, "icona per giovani ribelli". Null'altro,
quindi, che un feticcio immaginifico nel quale generazioni di liceali e di universitari si rispecchiano (ma
nel quale si rispecchiano ad un livello puramente estetico, senza cioè avvertire nessuna necessità di procedere
"oltre" quella che è solo una mera ri-produzione - e forse, cosa ancor più grave, senza avvertire minimamente
la necessità di una critica).
Quanto ai meno giovani (categoria cui ahimè appartengo), essi hanno come dimenticato Nietzsche (come hanno
dimenticato la lezione che viene dalla relatività), "allegramente" ricostituendo quei valori di cui egli
aveva decretato la "morte". E vivendo come se egli non fosse mai esistito.
In fin dei conti, un Nietzsche "icona per giovani ribelli" fa molto comodo a tutte le generazioni...
Ma, dicevo, Onfray ha ragione: per Camus, Nietzsche non è stato nulla di tutto questo. Perchè Camus ha davvero
"vissuto" Nietzsche, e veramente ha cercato, in uno sforzo immane, di superarlo.
L'"ubermensch" camusiano non prescinde mai dal tremendo vuoto valoriale che Niezsche ha così be descritto.
Eppure riesce a non assumere mai le pose insopportabili di quello nietzschiano. Egli non è l'aristocratico,
il forte che fa valere la sua volontà di potenza sul debole. Egli è debole fra i deboli, eppure riesce a vincere
la propria battaglia contro il "vuoto", vivendo intensamente quei momenti in cui il "vuoto" si fa meno
opprimente (Camus immagina un Sisifo felice nel momento della discesa, anche se sa che una nuova salita e una
nuova fatica lo attendono).
L'"ubermensch" camusiano trova nelle "piccole cose" (come per Pascoli...) un conforto persino al
pensiero della morte. "Morire qui - dice Camus riferendosi al sole, ai vigneti e agli oliveti della Toscana -
dopo aver bevuto Chianti ed ammirato le belle ragazze fiorentine, mi sembrerebbe meno insensato".
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