ATTENZIONE Forum in modalità solo lettura Nuovo forum di Riflessioni.it >>> LOGOS |
|
Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
11-06-2011, 22.52.07 | #13 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 30-01-2011
Messaggi: 747
|
Riferimento: Definizione: semantica dizionariale e enciclopedica, U. Eco
Citazione:
Ma i significati si evolvono C'è una cosa che già da un pò mi è parsa di notare ma, per mia ingoranza suppongo, non riesco a trovare un termine preciso per definire il concetto. Già da un pò dicevo, mi capita di notare che alcuni termini vengono comunemente usati nel linguaggio corrente come equivalenti dei valori che da sempre sono considerati dall'umanità come i più elevati ma che, una volta che si esamina il nuovo modo di definirli nel linguaggio corrente, ci si accorge che molto si allontanano dai significati originariamente intesi per quelli. Mi accorgo di non essere molto lineare nel ragionamento quindi proverò a spiegarmi meglio con un esempio. Uno dei valori più alti da sempre riconosciuti dall'umanità è quello del coraggio. Ora, nel linguaggio corrente, specialmente presso i giovani, ci si riferisce al coraggio con termini tipo "avere gli attributi", "mostrare gli attributi", ecc. Poi si va a vedere che mostrare gli attributi in molti dei casi significa andare in qualche reality show televisivo infangando chi capita a tiro svalutando gli altri per innalzare se stessi. Secondo i filosofi dell'antichità sono 7 le componenti del coraggio: magnanimità, fiducia, sicurezza, magnificenza, costanza, fermezza e perseveranza. Nel "mostrare gli attributi" mi pare non ci sia traccia di ciò Ricercare i significati delle parole per raffinare la concezione di un termine è relativamente semplice, cambiare i significati nell'erronea concezione che ne ha il senso comune invece, è ben altra impresa |
|
12-06-2011, 09.37.18 | #14 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
|
Riferimento: Definizione: semantica dizionariale e enciclopedica, U. Eco
Citazione:
Io ho dato una spiegazione diversa e per farlo mi sono avvalso di concetti fisici. Dicevo nel post precedente: ciò che chiamiamo la cultura globale in realtà rappresenta l'aumento di entropia (maggior caos). Anche "evoluzione" è un concetto poco chiaro. Mentre il concetto di entropia potrebbe fare al caso nostro. Per esempio prendiamo il tuo concetto astratto: il "coraggio". Noi comprendiamo il senso del termine ma vogliamo chiarirlo meglio con una definizione. Per esempio possiamo dire che ha coraggio colui il quale mostra gli attributi. Ma tutta questa definizione è compresa nel concetto di coraggio. Ma se uno mostrasse in pratica i suoi attributi, senza comprendere il significato del concetto "coraggio"? Quel gesto non sarebbe etichettato come un gesto "volgare"? Più si tenta quindi di dare definizioni di concetti astratti più è difficile riordinare il concetto puro. Quindi nell'evoluzione i concetti perdono via via ordine, diventando caotici. Quando poi i filosofi o il filologi vogliono fare ordine si ritrovano un mondo completamente disordinato. Siccome fare ordine è molto più difficile che ordinare, l'entropia nel tempo l'avrà vinta. Il filosofo attuale crede di essere in un mondo troppo disordinato e rinuncia a ritrovare l'ordine. Chiunque può constatare oggi la frammentazione dei concetti in tanti rami di applicazione e teorizzazione. Ieri esisteva il filosofo che era anche lo scienziato, oggi esiste lo scienziato che a sua volta si diversifica nei tanti diversi tipi di scienza e poi il filosofo delle diverse branche di conoscenza. Anzi oggi il metodo scientifico (che era rimasto unico per tutte le scienze) può essere applicato così com'è ad una disciplina, e modificato leggermente o enormemente ad un'altra. Questo significa un aumento di entropia culturale cioè più disordine ovvero più caos. L'assoluto è diventato obsoleto come concetto. E certo, chi si prende la briga di riordinare ciò che il tempo ha inesorabilmente disordinato? In qualche modo il concetto di assoluto è un po' rimasto soltanto nella fisica e matematica. Esso si racchiude nel concetto di Grande Unificazione di tutte le forze esistenti. La super-simmetria, la teoria delle stringhe ecc. sono un tentativo di comprendere le cose così come sono, o così come erano al tempo zero. In filosofia invece il fenomeno culturale diventa un fenomeno da investigare nelle sue singole parti, come se una parte non fosse compresa nel tutto ma si distinguesse da questa in modo inesorabile. Dire quindi che i concetti si "evolvono" fa intendere che essi si arricchiscano, mentre, secondo me, è vero il contrario, nell'evoluzione culturale i concetti si distribuiscono caoticamente. Perdono cioè il loro ordine. La Libertà diventa libertinaggio, l'Amore diventa sesso, l'Amicizia diventa interesse. Il Lavoro diventa utilità, la Politica diventa potere e così di seguito. L'aumento di entropia, in fisica, significa morte. E' risaputo che dove c'è disordine noi tentiamo di mettere ordine, ma quando la quantità di disordine (di entropia) diventa troppo alto, il lavoro che bisogna fare per ordinare è maggiore. Se però ci lasciamo andare alla deriva, nemmeno tenteremo più di fare ordine, e così la filosofia morirà...e con lei la nostra capacità di ordinare e quindi di astrarne i concetti. |
|
15-06-2011, 15.03.15 | #15 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 30-01-2011
Messaggi: 747
|
Riferimento: Definizione: semantica dizionariale e enciclopedica, U. Eco
Citazione:
In effetti in questo caso più che di evoluzione si dovrebbe parlare di involuzione. I concetti diventano caotici a causa della debolezza della coscienza. Quando nel linguaggio corrente si usano concetti di cui non si è consapevoli, si finisce con il prenderne per buona la definizione che gli si vorrebbe dare invece di quella che è riconosciuta dal senso comune. L'entropia cui ti riferisci è, a mio parere, un effetto di un anarchia a sua volta effetto dell'intemperanza. Io credo che l'intemperanza sia il male della nostra epoca. Quando si vuole dire qualcosa, il nostro cervello compie delle operazioni di scansione e riordinamento logico di ciò che da impulso comunicativo deve concretizzarsi in linguaggio intelleggibile. I neurotrasmettitori che agiscono nelle sinapsi possono essere eccitatori o inibitori. Deve quindi verificarsi una sorta di conflitto ogni qualvolta il nostro sistema nervoso genera un impulso, in tale conflitto a volte vince la ragione, altre volte l'istinto. Quindi ogni volta che sentiamo l'impulso di comunicare ha luogo questo conflitto per decidere se ciò che desideriamo esternare debba essere vagliato dalla ragione oppure pronunciato di getto. Viviamo nell'era dell'informatica, quindi nell'era dell'informazione. Il telefonino è il nostro satellite che raramente dista da noi più di 20/30 centimetri. Con google maps possiamo scandagliare il globo comodamente seduti sulla poltrona di casa. E data l'evoluzione dei mezzi di informazione, non solo le notizie viaggiano in tempo reale, ma sono indiscriminabilmente vere, avvalorate dal fatto che sono accompagnate da filmati video. C'è l'esigenza di comunicare sempre più celermente. Più aumenta la velocità cui viaggia l'informazione, meno tempo abbiamo per vagliarne logicamente il suo contenuto, più aumenta l'entropia. Quindi come hai detto: "i concetti si distribuiscono caoticamente. Perdono cioè il loro ordine. La Libertà diventa libertinaggio, l'Amore diventa sesso, l'Amicizia diventa interesse. Il Lavoro diventa utilità, la Politica diventa potere e così di seguito." Certo occorre fare ordine, che futuro possono avere i giovani se si parla loro di valori e poi i valori cui dovrebbero riferirsi sono svalutati già nella loro definizione? Questo percorso input/output dell'informazione che salta la fase della riflessione è preoccupante. La globalizzazione e l'era informatica sono concetti che trangugiamo senza neanche starci a pensare, sono bocconi che buttiamo giù frettolosamente, come pasti da consumare in una pausa pranzo troppo breve, perchè c'è tanto lavoro da sbrigare.... Io credo che siamo poco consapevoli dell'epoca in cui viviamo e che questo fenomeno sia in crescendo. Anche l'inconsapevolezza, come l'entropia, ha un proprio limite massimo di sopportazione, che è quello che può tollerare il sistema di cui facciamo parte. |
|
16-06-2011, 14.09.57 | #16 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
|
Riferimento: Definizione: semantica dizionariale e enciclopedica, U. Eco
Citazione:
Certo è giusto, ma non parlerei di "svalutazione" dei valori. Io ho usato il termine "frammentazione". Poi comunque, dandomi una botta sul piede, anch'io, in qualche modo, ho favorito tale frammentazione accostando il termine di entropia alla frammentazione del concetto. Magari il mio intendo è anche giusto, ma fatto come l'ho fatto io, forse, non aiuta la migliore comprensione possibile. Faccio un esempio banalissimo. Una delle definizioni che si danno di entropia è questa: l'entropia misura il disordine in un sistema fisico. Ma cosa significa "disordine". Prendiamo per esempio un artista qualsiasi che dispone un bicchiere rotto su di un tavolo e sostiene di aver creato un'opera d'arte (magari disegnata o scolpita, fa lo stesso). Uno che legge la definizione di entropia e vede l'opera d'arte dell'artista, fa un bel sussulto e, a ragione, sostiene che in quell'opera c'è un aumento di entropia. Ma se osserviamo bene, per costruire quell'opera d'arte, l'artista, ha riflettuto a lungo e ha disposto secondo proprie regole ogni pezzo. Per quell'artista quindi ciò che io riterrei disordine è in realtà ordine. Quindi anche il concetto di entropia (ma non il mio abuso del termine) deve essere adoperato con le pinze, altrimenti favoriremmo la frammentazione. Chiaramente siccome il concetto di entropia è riferibile a tutti i sistemi fisici va da se che se i concetti fossero da ritenersi dei sistema fisici, potremmo usare benissimo lo stesso concetto di entropia ai concetti. Per esempio, per aiutare alla riflessione, quando si parla di entropia si fa riferimento all'energia ed al lavoro. Un concetto, a parer mio, sembra proprio il frutto di un lavoro. Ma non possiamo trasformare tutto il lavoro in energia, e nemmeno tutta l'energia è trasformabile in lavoro. Qualcosa va perso. Se però avessimo poca energia e volessimo trasformarla in un lavoro "difficile" avremmo bisogno di molta più energia di quella a disposizione. Quindi un lavoro difficile (faticoso) ha bisogno di molta più energia. Qui il calcolo è molto approssimativo, ma è il risultato di questa domanda: quanta energia può spendere in media un cervello per fare un lavoro "difficile"? Questo dipenderà dal tipo di lavoro. Se un bicchiere si rompe è più difficile riordinarlo e riportarlo a "bicchiere sano". Se invece prendo pezzi di bicchiere e li ordino secondo miei canoni personali, questo lavoro è meno difficile in quanto io parto dall'ordine (ciò che ho pensato) e poi li dispongo facendoli apparire disordinati. Questa questione è importante perchè il lavoro più semplice non è quello inverso, cioè ordinare la dove c'è disordine, ma mettere disordine la dove sembra esserci ordine. Il cervello però parte avvantaggiato, in quanto la parte più difficile, cioè ordinare, nasce (almeno così io credo) come un concetto puro, comprensibile, che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni. Il caos vien dopo, quando il concetto puro si frammenta. Perde quasi la propria identità e diventa sempre meno comprensibile. In questo caso il lavoro diventa più impegnativo. Alcune volte ci arrivano "frammenti" di bicchiere rotto e dobbiamo risalire a quello intero. Siccome siamo diventati tutti scienziati, stiamo attenti ad ogni particolare del frammento, lo analizziamo, magari lo frammentiamo ancora di più... e alla fine, perdendo ogni speranza, lo buttiamo via. Invece è molto più semplice recuperare, nella nostra mente, il bicchiere intero. Del frammento singolo non ce ne facciamo nulla e sarà sempre più difficile riordinare se nel frattempo continuiamo imperterriti a frammentarlo. |
|