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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
09-07-2009, 16.34.43 | #12 |
Ospite abituale
Data registrazione: 30-09-2004
Messaggi: 2,009
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Riferimento: il male minore
La politica può essere intesa come scienza che si occupa dei modi di ordinare le relazioni sociali ed economiche delle comunità umane, dei rapporti fra di esse e delle forme in cui si attua il governo delle comunità umane: questa è la scienza politica o politologia.
Di questa scienza si possono dare molte definizioni con accentuazioni diverse. Per politica si può intendere anche l’esercizio della politica come arte di governare e come partecipazione dei cittadini, in svariati modi, al governo della cosa pubblica. L’anarchia stessa è una concezione politica che però preclude ogni forma di istituzione e di governo ma ha che come fine il bene comune, nelle intenzioni. Della politica in quanto tale non si può dare che un giudizio positivo... quando il suo fine sia il bene comune. Però non tutti convengono su quale sia concretamente il bene comune, né su quale sia la migliore forma di governo, quali siano i diritti e i doveri dei cittadini, né su quanto debba riservarsi all’individuo e quanto alla collettività e neppure sulla concezione di libertà. Per questo sono pragmatista in politica … e quando voto sono convinto di votare sempre per il male minore. |
09-07-2009, 22.54.39 | #13 | ||
Ospite abituale
Data registrazione: 06-01-2009
Messaggi: 111
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Citazione:
Che il fondamento di ogni morale sia la fede non può essere, se vuol esser tale, a sua volta un'affermazione di fede, dunque è tesi che va guadagnata, perchè detta così è nient'altro che un'ipotesi aperta ad essere negata, come molte altre. Ho molti dubbi che, per esempio, la chiesa romana ritenga che il fondamento della morale sia la fede. Certo, esiste la fede in Gesù, ma che Dio se ne stia eterno presso di sé è argomento che può essere colto (secondo i cattolici) dalla ragione naturale, ed è Dio il fondamento della moralità dell'agire di un credente. Si tratta poi di comprendere che senso possa avere quella fattualità di cui parli, perchè certamente le scelte dell'individuo possono essere segnate dall'arbitrio e dalla contingenza, dall'ignoranza e dall'inconsapevolezza, ma l'individuo intende conformarsi ateorie (il marxismo, il liberalismo etc.) che intendono delineare uno schema immutabile del mondo nel quale illuminare il senso della prassi umana, chiamandola virtuosa o viziosa a seconda che siconforme all'ordinamento imposto. L'individuo può non comprendere la complessità di ciò che gli sta attorno, ma altro è dire che tale complessità non esista. Non voglio qui dire che poi la teoria marxista, quella liberale, quella idealista e chi più ne ha più ne metta non risultino a loro volta discutibili, opinabili, rettificabili, intendo dire che non è certo questa la loro intenzione. Citazione:
Mi sembra (mi sbaglio?) che la tua concezione della morale sia puramente formale, kantiana, si potrebbe anche discutere su quanto paradossale possa risultare un etica strettamente deontologica, non contenutistica. Se l'intelletto non può dare alcun senso all'agire morale allora, lungi dal fuggire l'opinione, è proprio in essa, mi pare, che esso si rifugia. E ogni opinione è violenza, volontà che il mondo abbia un senso e non un altro e dunque volontà di illuminare ciò che di per sé è oscuro. |
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10-07-2009, 10.22.50 | #14 |
Ospite abituale
Data registrazione: 10-06-2007
Messaggi: 1,272
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Riferimento: Miseria della politica
Gaffiere: mi sembra di capire, dalle tue ultime parole, che tu accusi la mia concezione della morale di essere puramente formale, in quanto se è priva di ogni precisazione intellettuale (tu dici di ogni contenuto), può dar luogo solo a opinioni e quindi anche a decisioni violente.
Porre la sfera morale al di sopra di quella conoscitiva non significa privarla di contenuto, ma appellarsi a qualcosa - in fondo a un giudizio più o meno esplicito - che trascende anzi supera ogni contenuto. Del resto è ciò che avviene ogni momento non solo tra filosofi ma tra uomini sic et simpliciter, quando una loro asserzione o risposta all’asserzione di altri – anche se campata in aria – ha in sé una carica etica potenziale, il tono di chi vorrebbe “mettere le cose a posto”: non senti questo in tutto quello che stai dicendo a me o che dice qualunque altro partecipante al forum? Naturalmente possiamo trovarci ancora a livello di chiacchiera. Ma possiamo estendere questa presunzione o sfumatura moraleggiante a tutte le grandi asserzioni della religione, della scienza e della filosofia: c’è sempre nell’impulso che le determina, così come nel loro esprimersi, nel loro atteggiarsi a verità, un alone etico che chi parla vorrebbe fosse afferrato e riconosciuto. E’ questa, Gaffiere, l’aria da cui non possiamo prescindere: salvo poi correggere toni e parole quando ci accorgiamo di essere fuori dalle regole del gioco….. |
10-07-2009, 12.21.43 | #15 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 06-01-2009
Messaggi: 111
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Riferimento: Miseria della politica
Citazione:
Ci tengo a precisare un aspetto delle mie considerazioni, per evitare equivoci: per violenza non intendo solo la decisione che provoca il disastro nucleare, una rissa di quartiere, l'oltraggio verbale, l'urto della sensibilità altrui nelle forme più disparate..violenta è anche la grazia divina e la carità cristiana, il bacio della madre e la protesta pacifica e non armata dell'India, prima della decolonizzazione. Il problema è proprio il de-cidere, nella sua dimensione più ampia e generica, perchè alla radice sta la fede che il significato del mondo, l'ordinamento di senso in cui è inscritto sia questo piuttosto che quello, in base a questa o quella fede ci si comporta in questo o quel modo. La de-cisione è sempre violenza, perchè è fede, e in quanto fede intende trattare le cose diversamente da come sono, oltrepassare la loro oscurità e trattarle come se fossero chiare e luminose: Gesù è violento, dicendo di aver fede nel padre, perchè avendo fede de-cide che l'instabile sia stabile, che ciò che non è fermo se ne stia fermo. La guerra è solo la manifestazione superficiale della violenza, se per violenza intendiamo l'oltrepassamento del limite che non va oltrepassato, e finché l'uomo sarà avvolto dalla volontà, dalla fede, dell'interpretare allora pretendere di stabilire un'etica per sanare i problemi è illusorio, perchè l'etica non si costituisce nemmeno a prescindere da essi, ne è l'estremo riconoscimento. Dunque si, anche io qui nel forum mi atteggio e mi esprimo in modo tale da non urtare le coscienze altrui, o magari ci provo, ma che ne è della legittimità di ciò? che ne è della legittimità di quel voler mettere le cose a posto? Se questi atteggiamenti prescindono dall'intelletto allora sono opinioni, più o meno impulsive e ragionate, ma comunque opinioni, cioè fedi che il comportamento espresso sia conforme a ciò che è giusto, ma proprio in quanto è solo fede che le cose stiano così è l'esatto opposto. Certamente possiamo estendere questa situazione alle grandi forme culturali così come alle situazioni del quotidiano più banali, ma questo significa solo che l'individuo in quanto tale (cioè in quanto individuo, come individuo, come soggetto agente) è violento in ogni cosa che fa e che è, proprio in quanto de-cidente. Lo è in particolar modo oggi, in un momento in cui il senso forte della verità va a farsi benedire in ogni campo del sapere e dunque ogni agire è a maggior ragione consapevole di collocarsi in un orizzonte interpretativo non trascendibile. |
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10-07-2009, 12.36.57 | #16 |
stella danzante
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Riferimento: Miseria della politica
Ma siamo veramente certi che la democrazia sia la migliore forma di governo?
Ultimamente mi è capitato di interrogarmi sulle motivazioni che spingono in nome della democrazia, Bertrand Russel ad una difesa dell’invidia, che sarebbe il motore della democrazia, non permettendo a personalità di porsi al di sopra degli altri, anche Kant in “idee per una storia universale da un punto di vista cosmopolitico” fa l’esempio di un albero, che se posto in uno spazio libero crescerà storto, mentre con atri alberi intorno dovendo competere per acqua aria, spazio, crescerà diritto insieme agli altri, sono dunque gli altri che ci impongono di tenere una retta morale, e per contro siamo noi a imporla agli altri, ancora Fukuyama del quale ricopio da qui perché non so dire di meglio http://www.filosofico.net/fukuyama.htm la lotta per il riconoscimento. Di tale concetto, fondamentale nella filosofia hegeliana, Fukuyama accoglie, più che la visione originale di Hegel, la rivisitazione datane da Kojève e la "arricchisce" con una reinterpretazione della dottrina platonica: se infatti è la parte concupiscibile dell'anima umana che porta ad un costante sviluppo dei mezzi di produzione e della scienza, si deve invece alla parte timocratica (caratterizzata dal thymòs) la spinta verso il sistema democratico. Il riconoscimento reciproco ed eguale, che avviene tra due autocoscienze nell'ambito di un sistema democratico, è quindi, secondo Fukuyama, la migliore possibile soluzione di compromesso per tutti. Se infatti in democrazia la "isotimia" garantita dal diritto formale non consente lo sviluppo abnorme di singole "megalotimie", è anche vero che il reciproco ed eguale riconoscimento di ognuno consente, proprio per la sua universale diffusione, una soddisfazione ampia e per tutti La dottrina Platonica vedeva invece nella timocrazia, nella spinta dell’anima irascibile il modello di governo del tiranno, non qualcosa di auspicabile, e la spinta a fare l’altro pari a noi impedisce invece che sia l’eccellenza a porsi a guida del popolo. Il despota illuminato che gli illuministi auspicavano a guida della nazione è invece a mio avviso il migliore dei governi possibili, ovviamente deve trovare la strada per arrivare al vertice per vie simil-democratiche, elezioni all’interno di ristrette cerchie di intellettuali, per merito e non per carisma, come invece avviene nelle elezioni democratiche. Voglio anche pensare che sì, il seistema democratico pur con tutti i suoi difetti è il migliore, ma allora è il nostro senso dell’etica, del bene e del male a non essere a posto, perché l’invidia anche se tutti la consideriamo male è quella che permette la democrazia. |
10-07-2009, 22.30.12 | #17 | |
Moderatore
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Riferimento: Miseria della politica
Citazione:
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11-07-2009, 09.39.49 | #18 |
Ospite abituale
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Riferimento: Miseria della politica
Ho paura, cari amici, che stiamo andando fuori tema. Solo la viandante sembra, nonostante il nome che porta, restare sul cammino che avevamo iniziato a percorrere, quando cerca di arrivare a una valutazione del concetto di democrazia nei confronti di altre forme politiche, e osserva che forse anche la democrazia ha i suoi vizi d’origine, tra i quali l’invidia, cioè il non voler permettere a nessuno di porsi al di sopra degli altri (e sembra che questo sia il caso, per esempio, di Jean-Jacques Rousseau, notoriamente ossessionato dall’idea che tutti gli fossero personalmente ostili e per questo rifiutassero le sue idee….ma forse è anche il caso dell’Italia, dove si dice che l’individualismo è di casa). Però preferirei di vedere nella passione per la democrazia qualcosa di più dell’invidia, cioè una vaga, magari patetica voglia di giustizia se non di comunanza e di amore.
Quanto agli interventi di and1972rea e Gaffiere….molto stimolanti, ma il tema non era “miseria della fede” o “miseria della ragione”, vi pare? |
11-07-2009, 18.58.56 | #19 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Miseria della politica
Citazione:
La chiesa cattolica ritiene, come S.Tommaso, che la ragione naturale consenta di dimostrare, fondare l'esistenza di Dio (coincidenza di essenza e actus essendi). La ragione ha inoltre lo scopo, pur mantenendo le proprie competenze e prerogative, di chiarificare attorno ai contenuti di fede per evitare che possano essere negati, rifiutati. Mi sembra che già questo sia abbastanza per togliere molti dubbi, basterebbe per altro leggersi enclicliche come l'aeternis patris, la pascendi, fides et ratio per capire l'appoggio che vien dato al teologo e l'eredità acquisita circa il rapporto di armonia tra ragione e fede (fides et ratio in particolare). Il cristianesimo è lontano mille miglia dall'ebraismo, non solo (per quanto importa qui) sotto il profilo contenutistico, ma sopratutto perchè il secondo è una sapienza pre-filosofica e dunque pre-ontologica, non ha certo la teologia razionale medievale della Scolastica alle spalle. Quindi si, lo si voglia o meno il Dio della chiesa E' diventato il Dio dei filosofi, perchè è inevitabile che il linguaggio filosofico e le categorie concettuali assorbite grazie alla metafisica classica e alla sua rielaborazione lo abbiano ellenizzato. La discussione attorno al senso della trinità (e l'importanza acquisita) non sarebbe mai nata a prescindere dalla filosofia, né la chiesa avrebbe potuto parlare di creatio ex nihilo, o dire che Dio è creatore della totalità, che egli è eterno e immutabile, che la creazione sia potenza infinita (perchè infinita è la distanza che oppone l'essere e il niente). Il linguaggio dell'antico testamento non riesce a conferire potenza, tono e timbro paragonabili, proprio perchè antecedente alla riflessione filosofica. Così non può per esempio, escludere il politeismo, dal momento che concetti come "totalità dell'ente" assumeranno significato adeguato solo in seguito, e un Dio che non sia creatore della totalità (o che non crei ex nihilo) non può escludere di essere impotente rispetto ad ulteriori possibili entità. Decontestualizzate dalla metafisica le parole cristiane perdono totalmente senso, cosa che i teologi più lungimiranti sanno molto bene. Il deismo è casomai un atteggiamento di rifiuto nei confronti degli aspetti rivelativi e fideistici della religione, che è ben altra cosa: la chiesa si affida alla sapienza greca proprio per scongiurare attacchi alla fede (ma è altrettanto chiaro, allora, che se è alla ragione che spetta il compito di dar senso alla speranza cristiana e a confermare l'armonia con la fede, è la ragione e non la fede ad aver acquisito una posizione imprescindibile, come se si volesse edificare una casa (la fede) senza realizzare le fondamenta). Il Dio cristiano, cioè, è il vecchio Dio ebraico solo a parole, parole che non si avvedono affatto dell'abissale diversità, che poi giungano da papi o cardinali accentua la gravità del problema, di certo non la risolve. Che poi i principi dell'intelletto siano principi di fede è palesemente falso: altro è dire che i principi a statuto elenctico della logica classica siano indimostrabili e altro è dire che siano opinabili! Spero sia ben chiaro questo, e quando parlo del principio di non contraddizione, d'identità, terzo escluso non mi riferisco certo a ipotetici assiomi matematici o al carattere opinabile delle previsioni scientifiche. Dire che i principi dell'intelletto siano indimostrabili è palese, anche perchè altrimenti non sarebbero principi dell'intelletto, ma apparterebbero all'apodissi, alla dianoia, alla ragione discorsiva, ma questo non significa proprio definirli postulati e assiomi! I principi sono tali perchè ogni negazione dei medesimi dovrebbe essere costituita da essi, cioè non potrebbe realizzarsi. Mi scuso per l'OT ma è sempre meglio chiarire in questi casi, per evitare clamorosi fraintendimenti e confusioni. |
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14-07-2009, 10.18.41 | #20 |
Ospite abituale
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Riferimento: Miseria della politica
Volendo tornare dunque alla base di partenza del nostro argomento (cioè a una valutazione e quindi a un giudizio sull’attività politica quale si è configurata finora e quale la si esercita) potrei correggere in parte il giudizio negativo che alcuni di voi e io stesso abbiamo espresso su di essa in quanto l’abbiamo confrontata con esigenze morali (in sintesi: il politico dovrebbe pensare al bene di tutti e non al proprio). Certo, come ricorda chlobbygarl, la situazione è complessa, assai più complessa che all’epoca di greci e romani, e può apparire un’impresa disperata cercare di trovare un senso unitario in tutte le forme in cui si è evoluta la società del pianeta, e quindi a un indirizzo che possa convincere tutti – dal rappresentante di un regime teocratico allo statista eletto democraticamente.
Non vorrei però apparire disfattista o qualunquista, e sollecitato anche da ciò che suggerisce la viandante, mi pare di poter mettere in evidenza un aspetto della politica che potrebbe sembrare "minore" di fronte ai doveri imposti da un popolo o un dio: cioè quello che si può chiamare – sulla scorta di Platone – come il dovere della giustizia. Eppure guardiamo anche qui a quante diverse definizioni della giustizia si sono susseguite, imperniate su una serie di confronti dialettici: giustizia come conformità a una norma - stabilita dalla natura? da Dio? dagli interessi empirici? dalla ragione dell'uomo?....e via elencando i concetti e gli ordini di giustizia che hanno contrassegnato antichità, medio evo, epoca moderna e postmoderna, con tanti se e tanti ma. Perché c’è sempre stato il dubbio che uno schema o un ordine sia troppo poco, e che si deve cercare qualcosa di più, cioè di rispondente a un’autentica "scelta per la vita", capace di creare nuove configurazioni sociali e politiche, perfino attraverso una rivoluzione… : perché appare difficile un’armoniosa spartizione di fette di torta quando chi ha non vorrà essere privato di quello che ha, come forse suggerirebbe il Vangelo (ma quanto è difficile interpretare quel verdetto: a chi ha sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha!). Giustizia dunque come conformità alla natura? Forse è il caso di lasciar da parte ciò che si appella alla natura, e convincerci che la giustizia non è una proprietà naturale, e tanto meno lo è ciò che diciamo morale. Infatti la natura, in qualsiasi suo regno (animale vegetale minerale) è predazione, e tutto il resto è il sogno di qualche anima pia il cui seme è piovuto per chi sa quali forze del cosmo su questa minuscola zolla di un minuscolo sistema solare…. |