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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
30-11-2008, 16.28.20 | #14 |
Ospite abituale
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Riferimento: Eutanasia
Sì, Arsenio, il tema eutanasia si presta a tante interpretazioni e a tanti interrogativi, con scandagli nel passato e nel futuro della nostra storia che pare difficile arrivare a una norma etica senza condizionamenti, tanto da giustificare chi alla fine si affida ai precetti di ima religione….Ma vorrei tentare ancora una volta, affrontando il problema alla radice, cioè domandandomi, fuori da ogni condizionamento religioso, che cos’è la vita, considerando questo un problema prioritario, sia per capire le nostre brute naturali esigenze, sia per soddisfare un filosofo in cerca di quella utopica norma morale. Il problema, cioè, di una definizione del valore della vita, e una risposta alla domanda se il “salvare la vita” può rappresentare il primo punto di un decalogo del XXI secolo.
Una volta si diceva che per la fede si può morire, per la patria si può morire, per amore si può morire…e c’è perfino la possibilità di vedere nella morte lo strumento dell’ascesa: in campo scientifico la condizione dell’evoluzione della natura, in campo religioso la via per salire a un giudizio che vale per l’eternità. Ma allora, salvare o non salvare la vita, aderire al giuramento di Ippocrate (che è quello ovviamente che più ci è gradito) o all'opinione di chi considera la vita un tragico dono, non solo quando presenta il suo volto di Gorgone? C’è chi ne fa una questione di tecnica medica, c’è chi avverte che eliminare la morte vorrebbe dire andare incontro a problemi insolubili, fino a una auto-distruzione della stessa umanità. Altri diranno che la morte è la condizione della moralità, visto che essa ci porta ad aprirci agli altri – quelli che esisteranno dopo la nostra morte: ma sono giustificazioni di ripiego, cioè un fare di necessità virtù (poiché dobbiamo per forza morire, vediamo di trovare una giustificazione che ce la faccia affrontare come cosa utile, ragionevole, magari necessaria). No. Io preferisco pormi nel ruolo di chi cerca la verità e, consapevole come sono che la verità non la conosciamo ma possiamo cercarla, anzi questo è il compito di ogni filosofo e forse di ogni essere umano, arrivo a pensare che proprio il rapporto vita-morte dà alla vita il valore di una tensione ininterrotta verso la verità, cioè che soltanto quel rapporto ci apre a quell’infinito che rende in qualche modo vittorioso lo sforzo di una ricerca dell’assoluto, che siamo sicuri che esiste anche se non lo conosciamo: lo rende per così dire raggiungibile nella sua irraggiungibilità. |
30-11-2008, 16.35.00 | #15 |
Ospite abituale
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Speranze ed elezionie.
Caro Emme Ci,
osservi: "Certo, Anakreon, se fossimo in altra epoca, quando si radunavano parenti e amici intorno al morente per facilitargli il sorpasso della soglia fatale, questa forzatura meccanica della vita sarebbe stata giudicata un sopruso, se non un’offesa alla divinità." Non mi pare che la diversità stia in ciò, che un tempo il morente sia stato meno solo, che sia oggi; al più la diversità potrebb'essere nella speme razionale che colui, il quale oggi, senza l'ausilio delle macchine, sia irrimediabilmente destinato anzi tempo a morte, tra pochi anni possa, in grazia di nuove conoscenze della medicina, rivivere la vita sua normale, essendo sufficiente a sé stesso. Ma ciò non toglie che, se oggi alcuno si nutra e respiri in virtù d'una macchina, quegli non viva una vita normale: starà a lui ovvero al suo tutore stabilire se sia opportuno confidare nei profitti futuri della medicina. Quindi egli o, s'egli non sia capace d'intendere e di volere, altri per lui stimo abbia diritto d'elezione e non mi pare sia lecito né per la legge civile né per quella morale, affermare che il ripudio d'una macchina ostinatamente vivificante, dimessa la speme di novità future e forse remote, sia omicidio ovvero "eutanasia". In somma, la legge civile o morale non può costringermi a confidare in una vita futura degna che sia vissuta: se non può offrirmi ora una vita degna, mi pare equo che taccia e rimetta a me stimare quanto mi convenga sperare nell'arte della medicina futura, soffrendo intanto l'inerzia di quella presente. Anakreon. |
01-12-2008, 09.23.13 | #16 |
Ospite abituale
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Riferimento: Eutanasia
Sì Anakreon, agli effetti pratici posso essere d’accordo, anche se, in questi limiti, si possono trovare argomenti pro e contro….Perciò io volevo andare in cerca di un argomento forte, sul quale l’uomo possa far leva per un suo giudizio e un comportamento quando non abbia né tempo né fede per rimandare il caso a un invisibile Dio, e la vita può davvero sembrare insopportabile o indegna dell’uomo, mentre la decisione dipende dal suo giudizio, cioè dal valore che dà alla vita al di là di ogni norma religiosa o civile.
Ed effettivamente quello della vita sembra essere una valore assoluto, poiché da essa tutto dipende: ogni scelta, progetto, ogni modo di porsi di fronte agli altri, ogni bene o male che si è capaci di compiere, ogni senso che diamo al nostro essere nell’universo: tanto che la vita sembra perfino non dipendere dalla volontà o dal parere dell’uomo, ma dal suo intrinseco vigore che punta a imporsi al di là di ogni ostacolo e approfittare di ogni nicchia per germogliare. E forse non si appella solo alla forza della natura, ma a ciò che che diciamo pietà, anzi sembra nascere dalla pietà e dalla pietà invocare quel gesto che risolva il problema, quel “salvare la vita” che può perfino apparire come un atto maligno. Forse questo affidare ogni decisione a quello che chiamo pietà è un arduo ideale, qualcosa di quasi impossibile da realizzare, anche se forse proprio per questo è un impegno di valore assoluto. Significa questo che si deve interrompere il trattamento e staccare la spina? Giudichino coloro che sono coinvolti in questo tremendo e accecante problema: nessuno può porsi al loro posto, cioè al posto di chi può interrogare la propria pietà. |
01-12-2008, 14.17.28 | #17 |
Ospite abituale
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Vie e misericordie.
Caro Emme Ci,
osservi: "Ed effettivamente quello della vita sembra essere una valore assoluto, poiché da essa tutto dipende". Ma non tutti mi pare concordino; anzi, a ben considerare, reputo che i più dei mortali, quando debbano eleggere una di due vie, preferiscano quella dell'estinzione della vita, se stimino ch'essa sia divenuta indegna, che sia vissuta, rifuggendo da quella dell'ostinata conservazione d'un ombra di respiro, a dispetto della natura, del tempo, del secolo e perfino di sé stessi. Affermi: "Forse questo affidare ogni decisione a quello che chiamo pietà è un arduo ideale, qualcosa di quasi impossibile da realizzare, anche se forse proprio per questo è un impegno di valore assoluto." Se, come penso, usi della voce di "pietà" nel significato di "misericordia", dissento profondamente: non dobbiamo esercitare alcuna misericordia, ma dobbiamo semplicemente concedere alla natura i suoi diritti. Non nasciamo legati ad una macchina, non viviamo legati ad una macchina; perché mai dovremmo sopravvivere legati ad una macchina ?: commiserando sarebbe piuttosto colui, il quale fosse costretto ad una tale artificiosa e turpe vita, che colui, al quale fosse negata. Anakreon. |
01-12-2008, 15.56.41 | #18 |
Ospite abituale
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Riferimento: Eutanasia
Non so - Anakreon - se hai letto bene il mio messaggio. Ho detto (2°paragrafo): : “effettivamente il valore della vita “sembra” essere un valore assoluto….allora (cioè “se” viene ritenuta nei termini descritti) la vita sembra dover essere sempre e in ogni caso sostenuta …..ed è proprio per questo (se leggi il finale) che se si arriva a un momento in cui la vita non sembra più sostenibile e degna dell’uomo, non si può che appellarsi a ciò che supera il valore della vita, cioè alla pietà, e questa deve decidere: cioè la decisione (se la persona colpita non ha espresso la sua volontà) e rimandata a quelli che le stanno intorno: perché non possono certo decidere anakreon o emmeci, cioè chi è lontano. Il valore della pietà dunque è allora superiore a quello della vita, e la pietà può essere quella di chi, come hanno raccontato i giornali, passa decine d’anni a custodire un essere che sembra vivo o quella di chi spegne la vita in un atto d’amore. Il resto è e deve rimanere silenzio.
(Il termine pietà, come avrai capito visto che ti sei assunto un nome classicheggiante, non rimanda a compassione, che è uno sfogo sentimentale, ma è piuttosto simile alla pietas classica, o meglio a qualcosa di mezzo fra pietas classica e religiosa: sottintendo un allargarsi, un aprirsi alla gioia e al dolore degli altri. E vorrai consentire che questo aprirsi non è semplicissimo, visto che persino in un piccolo forum è così difficile un’intesa fra due anime che cercano entrambe la verità). |
02-12-2008, 10.37.23 | #19 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Eutanasia
Citazione:
Molti interrogativi inducono alla ricerca della verità, per scoprire che di “verità” non ne esiste una sola, ma molte. E' questo il senso della filosofia. La vicenda del Siddharta di Hesse è la storia di una maturazione spirituale. Eremita, digiunatore, asceta meditante, non trova l'assoluto che pensa sia nel profondo io; nessun dogma lo appaga, né uno sfrenato edonismo. Pensa al suicidio, ma infine trova la serenità interiore del saggio che sorride avendo compreso. Ha risolto in sé ogni contradditorietà del reale raggiungendo la perfezione. Scoprendo due cose: che la saggezza non è insegnabile da nessun maestro: è un percorso sofferto e accidentato che ognuno percorre in solitudine. inoltre si rende conto che “Di ogni verità anche il contrario è vero”.Splendida parabola e romanzo di formazione di misticismo orientale. Il senso dell'esistenza è dolore, miseria, malattia,infelicità privata e sociale. Rimedio furono da sempre le pratiche religiose. Al confessionale si contrappose quale alternativa il divano dell'analista. Ma entrambi decadono nell'era della tecnica. Uno spiraglio lo apre proprio la “cura di sè” filosofica. Si tratta ancora di dominare il dolore sapendo guardarlo in faccia, anche riguardo la rimozione occidentale della morte. Terrei conto della tragicità greca di cui Nietzsche fu uno studioso, ricuperando alcuni pensatori-filosofi per liberarsi di tutte le maschere, rinnovando il linguaggio perchè la filosofia è un correttivo di idee stantie, abitudinarie, pigre, oltre che cura delle idee malate. Con un dialogo infinito sui possibili orizzonti. Filosofia non più come puro “sapere”, ma come ricerca e pratica di vita. Adatta per chi non crede al pathos in una “verità” unica, universale, nelle sue varianti e ambiguità idealistiche, cattoliche, transpersonali, che trasformano in certezza assoluta ciò per che la ragione filosofica è dubbio e problema, e non definitivo possesso di una verità metafisica o rivelata. In tal caso finirebbe la comunicazione. Gli uomini aspirano al potere, al successo,alla ricchezza e li ammirano negli altri,ma sottovalutano i veri valori della vita, estranei alla massa. Per tollerare la vita si sceglie un palliativo tra diversivi potenti, soddisfacimenti sostitutivi, come le sostanze inebrianti che alterano il chimismo del corpo. Diversivi sono anche l'attività scientifica ed esercitare la fantasia con l'arte. Ma solo la religione conosce e indica qual'è lo scopo della vita. Gli uomini tendono alla felicità eludendo il dolore con il Principio di piacere. La condizione umana non è mutata da quando nel '29 Freud scrisse il Disagio della civiltà da cui traggo qualche riflessione. La sofferenza deriva dal corpo deperibile, dal mondo distruttivo, dalle relazioni con gli altri uomini che è la sofferenza più dolorosa. Con il Principio di realtà sono felici per il solo poter evitare il dolore. Dall'azione personale autoosservata si scopre la propria indole e scopo della vita; saggezza è ricerca di quiete. Con l'aiuto della tecnica e scienza si assoggetta la natura anche per scopi solidali.; l'intossicazione è il mezzo più rozzo, a cui corrisponde un processo “tossico” dei processi psichici non ancora investigato. Con il vino possiamo ripararci in un mondo nostro, con lo yoga si mortificano le pulsioni,se non si sublimano,possedendo doti, con il lavoro psichico e intellettuale. Soddisfazioni sono anche le illusioni, ma ogni evasione non fa dimenticare la nostra miseria. L'eremita trasforma la realtà, chi ama riamato soffre quando ama e quando perde l'oggetto. Ognuno deve trovare da sé la maniera particolare di essere felice: l'erotico antepone le relazioni emotive,il narcisista si ritira nei suoi processi interni, l'uomo d'azione saggia la sua forza nel mondo esterno. Anche le malattie della psiche sono una via di fuga. La sottomissione alla religione impone la sua felicità sminuendo il valore della vita terrena. Si soffre per la forza soverchiante della natura, la fragilità del corpo, la sregolatezza nelle relazioni in famiglia, nello Stato, nella società. I progressi della scienza,della tecnica e loro applicazioni non recano soddisfazione alla vita. A che pro una lunga vita quando ci è gravosa e tormentosa al punto da salutare la morte come liberazione? Le insoddisfazioni dovute alla frustrazione sessuale oggi andrebbero revisionate. Anche Schopenhauer si è interrogato sul senso del mondo: dipende dal concetto che ciascuno ne ha: potrà essere povero, scipito, piatto, oppure ricco, interessante,significativo. Come su di una scena dietro le apparenze si è tutti poveri commedianti. Nessuno può uscire dalla sua individualità che determina la misura di una possibile felicità, per innalzarsi sopra i volgari passatempi. I godimenti più alti,veri, duraturi sono quelli dello spirito. E' l'”essere” della personalità individuale da contrapporre all'avere ed al rappresentare. Un solitario scopre nel pensiero e nelle fantasie uno squisito divertimento, mentre il volgare insensibile deve variare di continuo pur annoiandosi. Le cose che ci rendono felici dipendono da come noi le concepiamo. L'ottusità dello spirito si unisce all'ottusità del sentimento e alla mancanza di sensibilità,da cui proviene il senso di vacuità che richiede continui stimoli. Dagli altri non bisogna aspettarsi molto, alla fine ognuno rimane solo. Ognuno deve essere per se stesso il meglio e il massimo. Anche come avanza l'età,conta ciò che si ha in se stessi. Quali sono i godimenti?mangiare, bere, dormire, passeggiare, danzare,contemplare, pensare, sentire, poetare,imparare, leggere,meditare, inventare,filosofare,ecc. Ma preminente è la sensibilità che rende chiara la verità. Jung pure antepone l'individuazione fuori da un troppo supino allineamento ai valori della collettività. Per Fromm l'essere è una modalità di esistenza,dovuto alla struttura del carattere,estraneo alle manipolazioni dei gusti, opinioni, mass media, e all'ammazzare il tempo. Essere è usare le proprie facoltà in maniera creativa, non è apparire. I consumatori sono ciò che hanno e consumano,leggono romanzi da quattro soldi,offrono una conversazione misera. Essere è conoscere più profondamente ma secondo l'avere è avere più conoscenze superficiali. E' ragione critica per rinnovarsi, crescere, espandersi, prestare attenzione,dare. Il senso della vita? L'autorealizzazione, ognuno a propria misura. |
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04-12-2008, 19.34.15 | #20 |
Ospite abituale
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Messaggi: 297
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Servitù e liberazioni.
Caro Emme Ci,
ciò, cui ripugno, non è l'opinione che sia esercizio piuttosto di misericordia, che di pietà, la conservazione ostinata d'un alito di respiro nel petto d'un uomo, il quale ignaro di sé e d’altrui sia legato e collegato ad una macchina, che, nelle veci di lui, ne trattenga colle unghie e coi denti lo spirito estremo; ciò, cui ripugno è il giudizio che appella vita quella che non è tale; che simula essere vita quella che è un’evanescente ombra di vita; che permuta i nomi, confidando permutare le cose. Se pur alcuno, com’è fama, per altro falsa, facciano i Cristiani, stimasse la vita, in sé stessa e per sé stessa, sempre ed universalmente primo bene per l’uomo, perché dono d’un dio; egli, non di meno, non potrebbe razionalmente appellare vita umana quella che è, propriamente, solo uno stato d’appendice d’una macchina che dispensa, all’appendice sua, cibo ed aria; e proprio perciò quegli non potrebbe appellarla vita , perché la vita ch’egli pur confida a noi donata dal dio, non è quella, non è mai stata quella e non potrà mai essere quella d’essere ignare appendici d’una macchina, se al meno egli stimi l’uomo creatura animata e pensante. A mio giudizio impropriamente, dunque, usiamo appellare atto di pietà o di misericordia l’atto di rescissione dell’uomo da una macchina, alla quale quegli sia, per vegetare, ineluttabilmente e perpetuamente incatenato, quasi fosse un atto ch’estinguesse, con violenza scusabile, una vita normale, vera e propria. Che se poi alcuno, perché venerasse qualche remoto dio oppure consentisse con qualche arcana sapienza, stimasse tuttavia che quella d’essere appendice ignara d’una macchina fosse non di meno vita normale, vera e propria, egli dovrebbe pur concedere che, secondo il suo dio o secondo la sua sapienza, atto di pietà o di misericordia non sarebbe rescindere l’appendice, ma applicarla. Né si dica che si tratta solo d’un giuoco inane di nomi o di parti, perché, non solo per la legge morale, pur che sia, ma anche per la legge civile, altro è uccidere un uomo vivente, altro costringere un uomo morente a vegetare; E proprio per tale insolente inversione di parti, in questi anni, un padre ha dovuto, non senza causa, ma senza ragione, ripetutamente appellarsi ai giudici, affinché possa recidere le catene della figlia, quasi egli volesse, recidendole, offendere l’ordine naturale delle cose: ma non dovrebb’essere imposta per moltitudine di sentenze, se pur fosse giusto imporla, piuttosto la servitù verso una macchina, che la liberazione da quella ?. Anakreon. |