ATTENZIONE Forum in modalità solo lettura Nuovo forum di Riflessioni.it >>> LOGOS |
|
Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
04-12-2012, 08.59.22 | #3 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 01-04-2004
Messaggi: 1,006
|
Re: Riferimento: il "sapere": come lo definireste?
Citazione:
Se la butti in poesia … a me sta bene. La filosofia, come hanno fatto certi classici, si può esprimere anche in versi. Anzi una densa essenzialità oggi sarebbe augurabile. Candida viene la neve dal cielo impregna l'avida terra e la salva dal gelo così segna il sapere e protegge chi non lo fugge né teme arsenio |
|
05-12-2012, 10.06.54 | #4 |
Ospite abituale
Data registrazione: 17-12-2011
Messaggi: 899
|
Riferimento: il "sapere": come lo definireste?
Ciao Arsenio.
Condivido molto di quello che hai scritto, ma voglio essere un poco “provocatore” : per riflettere. Il sapere? E’ una palafitta costruita su sabbie mobili, dove comunque noi ci abitiamo, con tutta la sua precarietà. Perché quello che costruisce l’umanità con la libertà di pensiero e di azione diventa poi a sua volta condizione interpretativa di sé e del mondo e in quanto tale condizionante: l’uomo diventa prigioniero dei suoi artefici, proprio come l'uomo moderno è preda del consumismo. Significa che il sapere, come il mito e la tecnica, diventano creazione e condizione interpretativa. Che sia la metafisica di un Dio o il linguaggio formale, o l’epistemologia ,sono tentativi di costruzioni formali basate su un principio di astrazione. Dio su cosa è fondato, il numero 1 su cosa è fondato e la predittività su cosa è fondata? Funzionano su linguaggi basati dall’esperienza, ma l'esperienza funzionava anche nel mito, anche formalismi che l'umanità costruirà funzioneranno, perchè i lfenomeno se ricondotto ad un linguaggio deve comunque essere interpretato;perché comunque che sia una credenza come Dio che attraverso una prece “per affidarmi all’aleatorietà del destino” funziona psichicamente , che sia l’unità che comunque funziona nel calcolo applicativo, che sia una metodica che porta alla predittività che a volte funziona o meno, noi cerchiamo certezze in quelle sabbie mobili, l’apoditticità del nostro essere cioè del creatore, dell’artefice dei linguaggi. Il sapere è il tentativo di superare il mito. Nel mito la paura delle leggi della natura erano incarnati negli dei; nel sapere ,nel linguaggio organizzato, il mondo è racchiuso nelle argomentazioni e definizioni a loro volta costruite su regole interne. Perché l’uomo non controlla né se stesso né la sua natura, questo è il suo terrore. Il cercare di rendere logico il mondo è il tentativo di costruire un mondo tranquillo, pianificabile, predittivo, che quindi non fa più paura in quanto “ l’ho com-preso”. La paura è il denominatore comune del mito antico e del sapere. Così come ci affidammo al mito ora ci affidiamo alla tecnica. Ma mai nessuno è riuscito ad entrare nell’anima, nella coscienza, in quei luoghi dove dovrebbe esistere l’immutabile nel divenire, il motore primo che ci lega a Dio, alla costruzione delle induzioni e deduzioni, alla psiche. Sì, la neurobiologia e la psicologia cognitiva cercano di capire, ma è come pensare che il dna sia la vita, o il suo segreto, si confonde il principio motore con il mezzo. Cerchiamo di capire i fenomeni per arrivare ai principi primi, mai il dna non è ancora il segreto della vita, capire la funzionalità delle memorie del cervello non significa aver ancora capito come funziona l’intelligenza nella sue dinamiche ;così come l’analfabeta può vivere felicemente su un atollo nel Pacifico pensando che la terra sia piatta e la luna una dea e barattare noci di cocco senza sapere nulla di aritmetica. Il sapere non è la felicità, ma è il tentativo di tranquillizzarci , di credere di avere sotto controllo (questa è la parola chiave) il mondo e noi stessi. La dimostrazione è che il nostro sapere è arrivato a capire e carpire dalla natura molte cose, ma siamo deboli nella pragmaticità della vita “mondana”, questo è il vero punto debole umano. In fondo quello che distingue l’antico e il moderno è solo lo scenario in cui vive costruito con i suoi artefici funzionali: l’antico nel villaggio tribale e il moderno nelle megalopoli: ma l’essere umano è sempre quello nella sua sostanzialità, caducità, fallibilità. Il sapere non ha trasformato l’uomo, addirittura ha costruito logiche giustificative con il suo cinismo politico ed economico. L’uomo morale non esiste, purtroppo, perché è una scelta individuale. L’aumentare del sapere non è direttamente proporzionale all’eticità umana: questa è storia nelle curve cicliche, nella parabola delle civiltà che si sono susseguite . |
05-12-2012, 17.32.49 | #5 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
|
Riferimento: il "sapere": come lo definireste?
Citazione:
Nelle varie lingue esistono i sinonimi, perciò stavo riflettendo se "sapere" è sinonimo di conoscenza o se esista una pur minima differenza. Per quanto ne possa "sapere" io non dovrebbero esserci differenze, quindi la definizione dovrebbe essere uguale. La conoscenza però implica la consapevolezza. Non è possibile cioè conoscere (o sapere) senza essere consapevoli di conoscere. E questo serve per distinguere la mia conoscenza da quella del mio computer. Il computer non sa di sapere anche se compie ogni giorno molte "azioni" che io stesso non conosco. Quindi, sempre che non si voglia far distinzioni tra saperi inconsapevoli e consapevoli, nella definizione di sapere dovrebbe entrare di diritto la consapevolezza. La consapevolezza è quindi una caratteristica necessaria per ogni forma di sapere. Necessaria ma non sufficiente. Il sapere esprime non solo (a mio modesto parere) una forma passiva (sono consapevole di...) ma soprattutto attiva: so di non sapere quindi mi attivo per saperne di più, oppure so di sapere quindi mi attivo per rendere questo mio sapere a conoscenza di... Credo di aver delineato, a questo punto, una sottile linea di demarcazione tra il sapere di sapere e il sapere di non sapere. Le azioni conseguenziali dipenderanno da quanto uno crede di trovarsi lontano o vicino a questa linea immaginaria di divisione. In un certo senso (finisco qui il mio intervento sperando sia utile a qualcuno, compreso me stesso) il "saggio" è colui il quale sa, conosce, è consapevole di essere sempre esattamente al limite, sulla linea di confine. Quindi sa, conosce, è consapevole che prima di ogni azione ha sempre bisogno di guardare un po' li e un po' la, avendo ben presente che si trova nel mezzo e quindi rischia sempre di sbagliare. Coloro i quali sono troppo da una parte invece o non si accorgeranno di non sapere (coloro i quali sono dalla parte di "sapere di sapere") oppure vivranno sempre nella incapacità di decidere (sapere di non sapere). Nel mezzo c'è la sapienza... ma quella è di pochi, molto pochi. °definizione di sapere breve: conoscenza consapevole che produce un'azione attiva alla diffusione del sapere o alla scoperta di nuove conoscenze. °La saggezza (o sapienza) appartiene a colui il quale, prima di ogni azione, è sempre consapevole di non sapere ma anche di poter attingere, per la buona riuscita dell'azione, da una fonte di sapere. Per questo motivo il sapiente sa anche che quel sapere potrebbe non essere sufficiente per la buona riuscita della sua azione. |
|
05-12-2012, 23.04.31 | #6 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 30-01-2011
Messaggi: 747
|
Riferimento: il "sapere": come lo definireste?
Citazione:
|
|
06-12-2012, 17.14.23 | #7 |
Ospite abituale
Data registrazione: 01-04-2004
Messaggi: 1,006
|
Re: il "sapere": come lo definireste?
Per Paul 11 e altri:
Tema del mio discorso è il “sapere” ( vedi sopra) che reca casomai connotazioni di conoscenza, saggezza, consapevolezza, ragionevolezza. Eventualmente cultura e non sterile erudizione. Viceversa la ,“sapienza” anche presso gli antichi, specialmente il neoplatonismo e lo stesso pensiero cristiano, esaltano la “sapienza” come conoscenza del soprannaturale, anche come ente. Quindi , come si desume dal mio contesto, sono ben distante da spiritualismi, neo-spiritualismi, metafisiche, ispirazioni religiose, che in nome della loro concezione di “sapienza” hanno nel passato compiuto tanti misfatti. Il sapere filosofico ( non la “sapienza”!) oggi deve interessarsi del vasto repertorio delle cose umane, dei problemi fondamentali. E' l'interrogante su questioni terrene che deve prendere il sopravvento. I modi sono la verifica di come si rapportano idee, concetti, congetture, ipotesi del nostro mondo terreno. Non ignorando anche indagini sul passato. Sapere filosofico deve essere vita filosofica, azioni quotidiane,. più che parole arsenio |
06-12-2012, 19.33.22 | #8 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
|
Riferimento: Re: il "sapere": come lo definireste?
Citazione:
Solo per informazione: colui il quale usa il sapere (per interrogarsi su questioni terrene ecc.) come sarebbe giusto chiamarlo? Se "saggio" o "sapiente" non va bene, quale termine bisognerebbe usare? |
|
07-12-2012, 15.39.52 | #9 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 01-04-2004
Messaggi: 1,006
|
Re: Riferimento: Re: il "sapere": come lo definireste?
Citazione:
L'ambiguità dei termini La domanda è ottimistica: presume di trovare termini che per comune consenso hanno per gl' interlocutori lo stesso significato. Difficile anche chiarendo all'inizio di un dibattito. Denotazioni, connotazioni personali, condizionamenti, pregresse formazioni, ideologie, pregiudizi, livelli culturali, stesse termini che in diversi contesti,discipline, assumono sensi diversi. Si deve chiarire come premessa di un dialogo cooperativo, se esistono presupposti per accordarsi su una stessa assunzione. Già la parola “filosofo” assume vari sensi e si applica a persone che hanno diversi obiettivi, ideologie; teorici, pragmatici, idealisti, ecc. si dice che non ci siano al mondo due sole persone che attribuiscono lo stesso significato a un termine. E' vero che sarebbe un'aspirazione ambita e ambiziosa per i filosofi del linguaggio,ma finora non mi risulta siano stati fatti notevoli ricerche. arsenio |
|
08-12-2012, 14.14.19 | #10 | |
weird dreams
Data registrazione: 22-05-2005
Messaggi: 483
|
una soluzione
Citazione:
Idee, concetti, congetture, ipotesi, credenze.. sono approcci, “i ‘tentativi’ di adattamento dell’epoca mentale”. Il sapere o conoscere è la misura del nostro adattamento a un contesto più o meno ampio. Sappiamo o conosciamo una ‘cosa’ nella misura in cui siamo adattati (o coadattati) a quella ‘cosa’; nella misura in cui la nostra disposizione nei confronti di quella cosa è adatta (o coadatta). Il che significa nella misura in cui quella ‘cosa’ ha influenzato la nostra evoluzione (e viceversa). Essere adatto a.. vuol dire essere evoluto in funzione di.. |
|