Fino a quando i rapporti umani saranno sublimati in funzioni e rapporti cosali non vedo quale felicità autentica possa ricercarsi.
In un tempo che accelera e produce, non si riesce a stare dietro alla velocità di creazione di cultura spicciola (scambiata per ultimo orizzonte con il quale ci si deve confrontare) e le patologie sono dietro l'angolo.
Stare bene con sè stessi significa fermarsi un attimo, riflettere su ciò che si è e su come si è diventati ciò che si è, riconoscendo i propri limiti e imparando ad evitare gli stereotipi mass-mediatici che hanno come unico obiettivo incrementare il consumo di prodotti superflui alla vita di ognuno, ma che vengono scambiati per necessari.
Meno consumismo, più contemplazione e comunicazione autentica con il proprio sè e con gli altri, imparando ad accettare il proprio limite costitutivo per aprirsi alle meraviglie di una ricerca disinteressata e slegata dalle categorie economico-tecniche in cui siamo inevitabilmente immersi.
Forse, allora, potremmo ritrovare quella che noi chiamiamo felicità, e che forse potrebbe anche chiamarsi consapevolezza.
Perchè solo se si è consapevoli si possono fare scelte autentiche, in un mondo che dirige le nostre scelte, perchè se non si mediano nel criterio efficentistico sono scelte inutili, e l'inutilità (attività contemplativa, riflessione) non è contemplata perchè ha dei ritmi lenti in un mondo dove il fare veloce e produttivo è tutto.