Riferimento: Che cos'è la follia?
Al di là di quanto hanno detto e scritto scienziati e filosofi, impegnati a studiare, guarire o comprendere la follia e perfino esaltarla (prova della elasticità delle umane definizioni e in fondo della inconsistenza di una verità logica – un’asserzione che ai logici potrebbe apparire come segno di vera pazzia - si potrebbe limitarsi a parlarne come di una proprietà dell’intelligenza cominciando da ciò che ne dicevano i Greci quando – fuori dai racconti mitici - la chiamavano, senza inorridire ma quasi inebriati, mania: un grado apparentemente più dolce della follia, che ci può forse permettere di entrare in quel misterioso recesso, in quel sortilegio che attraversa tutta la cultura e alla fine la storia.
Senza mania non v’è grandezza, anzi neppure umanità e forse neanche vita – anche se mania può comportare isolamento, parzialità, distorsione e qualche reprimenda platonica. Se mania è già un’ombra della follia o è la follia dei creatori, è possibile distinguere fra mania e mania, mania giusta e mania degradante, limpida e luciferina? Non sono le conquiste amorose frutto di mania così come le esperienze perverse? Non c’è una vena di luce in ogni mania? Mania come la pazzia degli eroi e dei geni? Forse l’enigma si risolve in una sola maniera, cioè non inibendo la mania ma portandola avanti, se quanto più è ristretta tanto più è rovinosa e solo se è mania del tutto e di comprendere tutto diviene non solo imbattibile (come si può sconfiggere il tutto?) ma promessa di grazia, vittoria della coscienza sull’ignoranza, quel dominio della propria demenza che distingue i veri dai falsi profeti. E’ questa la mania di Platone di fronte ai sofisti, la mania di Goethe davanti ai romantici, o di Proust nei confronti di un delirio che si brucia nel tempo e che è riconoscibile nell’arte d’avanguardia e nelle rivoluzioni: una mania che diventa follia quanto più esse pretendono all’assoluto di fronte all’indolenza dei padri e alle immobili stelle del cielo. Ma non si tratta solo di un secolo o di due secoli, tutto è tentato da questa pazzia, da questo istrionico invito: anche se, in un più vasto orizzonte, c’è qualcosa che pone dei limiti alle illusioni e smorza il fatale delirio. Forse è un’eredità di tempi selvaggi, se qui si riconosce il grido degli invasati, se le religioni diventano un’assurda mania in quanto pretendono l’assoluto ripudiando le divinità degli altri e le più miti eresie. Il peccato di volere tutto in un attimo, un peccato che brucia, un attentato alla pace dei secoli. Umanità, vita, materia: la suprema mania è quella di dio? la più fiammeggiante e proterva ma anche quella che benignamente si piega e scompare nell’onda dell’infinito.
Il più temibile sintomo della follia – quello che forse è al centro di questo mistero - è che la follia può diventare una tentazione - tentazione non solo del genio ma di ogni intelletto, di individui e di popoli….Se il religioso può dire “credo perché è assurdo” e con questa insegna farsi crociato, il filosofo può citare i casi di Hoelderlin e Nietzsche facendo sospettare che si tratti di una voluta follia. E’ questo il momento in cui l’intelligenza si piega a una definitiva condanna? O è qui invece il supremo significato della follia, come ricerca di uno strumento, più potente del sogno e dell’arte, per sfidare – costi quello che costi - il mondo degli altri? Il suo sprazzo di redenzione - o il terribile sibilo del maligno?
(Mi dispiace, Sofia 19, di aver scritto una pagina stravagante rispetto a ciò che cercavi, confidando in più salde e umane certezze. Ma tant’è: ognuno ha la sua vena di follia).
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