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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
20-04-2007, 10.21.36 | #3 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Il verbo veritare: meditazioni aperte
Citazione:
Grazie per l'apprezzamento Carlo. Per la radice sumera, non sapevo, grazie, mi ero fermato a Baruc. Mi è però molto più gradito il tuo linguaggio e per fartelo apprezzare ti riporto una frase che scrissi all'interno di un racconto circa la velocità di propagazione delle idee......Voi che leggete non avete la più pallida idea di quanto tempo abbia impiegato il sottoscritto per arrivare al punto in cui terminerà questa frase.Punto. Mi fa dunque molto piacere trovare una persona che valorizzi la misura del punto. Che fare ora? Integrerò una parte dell'argomento che ho proposto ripercorrendola....... ....L'aspetto è l'eterna e quasi assoluta ripetizione della successione cronologica di tali tre punti, i quali concorsero e concorrono appunto all'identità semovente dello sviluppo della lingua e della ragione umana. Si badi cioè che dal punto fermo, dall'ipotetico punto di quiete nel quale in un certo istante ciascuno di Voi possa trovarsi, al punto in movimento, il Vostro movimento, qualsiasi forza lo muoverà, tra azione parola e pensiero, sarà sempre un atto, ovvero un'azione; ma l'azione, l'altra, quella del triplice aspetto temporale dell'unica identità, in modo arcaico si costituirebbe proprio come originata dall'azione della massa e per questo motivo poi occuperebbe il primo posto nella successione. Questo ci dice però che la massa preesiste alla mente. E' questo il punto di vista dell'ateo? Direi piuttosto il punto di vista dell'anarchico, solo ad una condizione però.........la condizione è quella stabilita dal proseguimento del discorso.......Si deve però tener presente che in sconosciuti limiti spazio temporali tali entità (mente materia) potrebbero compenetrarsi trasfigurando....Torniamo però all'oggi, al hic et nunc; questo punto triplo viene retto dalla motivazione, questa entità ambigua....etc.etc..... |
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24-04-2007, 17.13.25 | #4 |
Ospite abituale
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Riferimento: Il verbo veritare: meditazioni aperte
Procedo dunque in un monologo, colla speranza che giungano contrarietà
Per schiarirci un po' le idee sulla questione lingua sarà opportuno definire il campo di esistenza dell'osservatore.. cosa guarda quest'osservatore, uomo o animale che sia?… e in base a quali capacità guarda…e per conto di chi guarda..? Si segnala banalmente che una certa parte del mondo animato apprenda informazioni e ben si adegui a queste, vivendo, senza che vi sia una lingua che dice esplicitamente "devi fare così" ; pertanto, una trasmissione di informazione non si configura necessariamente come lingua, o altrettanto, un comportamento può configurarsi come lingua per il fatto di essere informativo per un osservatore. Si tratta senza dubbio di un apprendimento "per presa visione", ah! quale banale capacità!.. ma questa nozione ci porta a considerare come l'ambiente, stimolando alternativamente e con variabili intensità tutti i sensi degli organismi, insegni a codesti individui, dotati anche di memorie più o meno capaci per ciascuna specie, l'esistenza di ciò che pervade il mondo: il movimento, la mutazione; sarà così che a quello stesso movimento tenderanno a conformarsi, assecondando ed innovando la propria abilità in modi anche costretti da una individualità genetica, proponendo quello che sarà il loro movimento personale; tutto questo movimento sembra infine normalmente… con dovute eccezioni…e banalmente diretto egoisticamente verso sé stessi, nel senso che l'osservatore tenderà ad essere particolarmente attento agli eventi che più vitalmente lo coinvolgono, riuscendo a memorizzare le scene vissute; tutto il movimento può divenire quindi lingua poiché il movimento ci informa attraverso i sensi e per dar l'idea di quanto noi viventi siamo pervasi nel movimento, questo stesso moto si manifesterà a sua volta come stasi qualora l'osservatore registri un movimento alternato di stasi e movimento. Iperbolicamente perciò, tutti gli oggetti possiedono una lingua e la loro lingua è data dal loro essere intrinsecamente potenziali emittenti di informazione per un osservatore; sarà ovvio quindi che è l'osservatore a realizzare l'informazione, a soppesare le scene che scorrono al cospetto dei suoi sensi, significandole secondo le loro possibilità. Pensando al ruggito di una tigre, ma anche al canto degli uccelli e immaginando per queste lingue quali possano essere gli osservatori interessati, arriveremo anche a chiederci se l'organismo parlante, nel momento dell'atto linguistico, manifesti un suo modo d'essere, ad esempio un riflesso incondizionato che lo porta ad urlare, oppure voglia comunicare qualcosa; sicuramente sono vere entrambe le ipotesi e questa doppia valenza ci riporta a ciò che in una logica evolutiva si configura come l'espansione di un carattere che accresce una funzione di adattamento diversa da quella originaria in seno a specie diverse. In questo senso, quello che noi umani designiamo essere un comportamento propriamente linguistico, cioè volutamente comunicativo, potrebbe essere evoluto durante tempi lunghi a forma altamente specializzata di comunicazione; questa opportunità potrebbe essersi innescata nel momento in cui l'evento linguistico "osservato", associato fino ad allora solo a precisi ed importanti eventi successivi da parte degli osservatori consimili, venisse individuato dall'osservatore….non dimentichiamo che egli è in successione temporale anche un parlante…. come gesto causale; in un certo senso l'osservatore riuscirebbe ad osservare sé stesso, chiudendo così un cerchio; si tratterebbe senza dubbio di un bel salto cognitivo da parte di un individuo. Una lingua potrebbe in altre parole evolvere a forme spiccatamente comunicative in un modo magari contingente allo sviluppo di una complessità sociale evolutasi in seno alla specie cui quell'individuo appartiene. Fantasticando…l'idea che la lingua, da un arcaico semplice ad un moderno, semplice e complesso, possa essere emersa originalmente come forma di riconoscimento magari legato alla comparsa della riproduzione sessuata. Sostenendo in linea generale che le lingue rappresentino l'interfaccia tra l'idea del mondo di un individuo e la sua relazione comportamentale col mondo arrivo infine alla domanda cruciale: esiste una differenza netta tra la lingua umana e la lingua degli animali e a cosa sarebbe dovuta tale diversità? La mia risposta è affermativa e si deve tutta al fatto che la specie uomo abbia maturato una nozione tutta sua desumendola dal movimento, dalle mutazioni e questa nozione si rappresenta oggi nella parola tempo……………… |
03-05-2007, 13.24.09 | #5 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Il verbo veritare: meditazioni aperte
Citazione:
Benedetto, ti trovo un po' ellittico. Ho più o meno 5 diverse interpretazioni su cosa intendi dire. Così, a caldo, mi urta un po' la successione cronologica di azione parola e pensiero (ancora una volta). E anche, ma credo di averti frainteso, il darsi di una cosa fuori dall'immagine (che interpreto come tradizione linguistica intersoggettiva). Mi richiama una sorta di trascendentalismo, e chiaramente tutti i problemi che si porta dietro. Io ho altri strumenti concettuali, che al momento mi danno molta soddisfazione. Sarebbe interessante se tu facessi un po' di parafrasi. |
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04-05-2007, 09.35.32 | #6 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Il verbo veritare: meditazioni aperte
Citazione:
Nel leggere mi domandavo: se il mentire e la menzogna – poco importa si tratti del prodotto consapevole o meno del processo del pensare – sgorgano e pullulano nella e dalla mente, l’azione del ‘veritare’, che sarebbe l’opposto della menzogna, dove radica se stessa? Evidentemente, se la mente è locus germinativo del mentire, non può allo stesso tempo fornire asilo al ‘veritare’ – oppure sì, vivrebbero in disputa, e così mi pare che sia, ma allora l’asserto concernente la mente sarebbe invalidato, e tutto il nostro disquisire intorno ad esso? -. Sappiamo immaginare, ma sappiamo anche fingere che qualcosa sia quel che forse non è, ed allora proseguiamo nella finzione dicendo che il ‘veritare’, essendo assunto da Bendetto come vero, reale ed esistente e non potendo essere sospeso per l’aere, giacché si sperderebbe, qualche altro luogo che lo ospiti e lo renda fecondo deve pur avere. Immagino – perché anch’io talvolta mi lascio cogliere da questo processo omnipervasivo, che non è una stasi fra i racimoli di accadimenti posti dietro alle mie spalle, ma un recupero dei momenti topici del trascorso tempo per proiettare oltre la misura del tempo presente l’immagine che dal processo si produce, e l’immagine che dal processo emerge non è dunque un mero osservare il passato, non uno stazionare fra il tempo che fu, ma uno sporgersi dal passato oltre il presente, ovverosia un qualcosa in più della datità della cosa in sé – che questo luogo, se non è nella e della mente, forse trascenda l’essere, stia cioè oltre ciascuno di noi; e noi, ingolfati nel processo o fra le sue sinuosità veleggiamo con la levità di giunchi, del suo avvertimento cogliamo il fiato, e ad esso ci connettiamo. Forse, potrebbe essere, perché no? Diversamente la mia immagine svanisce, dov’è e qual è il locus del ‘veritare’? Se la ragione mi sorregge, e il mio pensare non è mendace – quale maggior smentita dell’asserto da cui il nostro ragionare prende le mosse -, non è dunque vero, bensì mendace, che la concatenazione suggerita sia sempre e comunque Azione Parola Pensiero, potendo, viceversa, svilupparsi ed esplicarsi in uno stravolgimento dei punti fissi della trilogia proposta da Benedetto. Talvolta potremmo dunque verificare che il procedere si dispieghi attraverso il Pensiero, incipit germinativo; l’Azione, motus realizzativo; la Parola, logos narrativo ovvero ordinativo. Oppure, perché no, chi potrebbe escluderlo? Attraverso l’Azione, incipit reattivo e causato; il Pensiero, processo di sintesi ordinativo; la Parola, logos comunicativo. Ma v’è pur almeno un’altra possibilità: che la Parola sia l’incipit, il Pensiero l’elaborazione e l’Azione la sua realizzazione o messa in opera. E in tutto questo intrecciarsi di compossibilità, tutte possibile anche se non concomitanti, ci si sperde un po’, ma è corretto sia così, perché quel che attiene all’uomo si presenta sempre come una strada contorta, priva di stelle fisse (opss punti fissi) contrappuntata da mille e più crocicchi, ed imboccare (anche imbroccare starebbe bene) quello giusto è sempre impresa da eroi e da esploratori errabondi, non da naviganti con lo sguardo fisso all’ago di una bussola che segni la giusta direzione… il magnete non regge le perturbazioni che impregnano l’aria che respiriamo. E proseguendo, non è in assoluto negabile e confutabile che sia la motivazione il corroborante che innesca il processo della trilogia, ma non sempre questa è causante, talvolta è pur’essa causata, quindi il motus primigenio è, sempre talvolta, da ricercare nel concatenarsi degli accadimenti che inducono un’azione, la quale ultima non è un fotogramma fisso enucleabile dalla matassa della pellicola ed osservabile con la dovuta serenità e condiscendenza, bensì è una parte di un ingranaggio più complesso che, per mezzo dei denti tentacolari che le fanno da cornice, s’innesca innestandosi in altri accadimenti ed in altre azioni, anch’esse parti del macro ingranaggio che qualcuno pedestremente osò chiamare vita… o Vita? E’ ora facilmente rilevabile che i tre punti fissi, o forse stelle fisse, fulcro dell’argomentare, siano posti in movimento senza che ci siano fornite le giuste coordinate per rinvenirli senza fallo fra i marosi del macro ingranaggio, dal ché deriva che il mostro tentacolare che, eternamente in movimento, tutto muove, non sia punto riassumibile entro uno schema, in esso starebbe costretto solo per volontà della nostra mente, che, come già ben dedotto in precedenza, è polla sorgiva della menzogna, e il ‘veritare’ si tradurrebbe, senza fallo, in un mero buon proposito, in auspicio, in speranza. Ma il linguaggio, il Logos, la logia? E’ forse causante, forgiante, oppure effetto, causato? E’ un po’ l’una cosa e l’altra, in un intrico osmotico fra causa ed effetto? E’ un segnaposto, un marcatore di realtà e verità parziali ricche di mancanza ed assenza e intrise di compensazioni affabulatorie? Un cencio, una pezza tempestata di rattoppi? Temo sia proprio così! Il linguaggio forgia ma è foggiato a suo tempo dal macro ingranaggio. Plasma la mente, ma è plasmato a suo tempo dalla Vita. E’ insufficienza che si esprime attraverso una ridondanza di certezze che vaniscono nel vuoto dell’abisso che non sa sondare. E’ comunicazione che parla di se stessa, che non scandaglia e non raccoglie la vox dell’anima. E’ un riverbero del sentire, del percepire. Anche solo dire “verde” è parzialità e per qualificare il verde che vediamo – che non è e non può essere un assoluto a priori –, quel particolare verde che comprime e suscita i nostri sensi, abbiamo necessità di comparazioni, di similitudini, di raffronti… non esiste un logos che descriva il “verde” a priori, non esiste un “verde” a priori. Il linguaggio è esodo dall’anima, abbandono, vagabondaggio incerto e dolente… ma è pur sempre la nostra voce, la nostra parola. E se la Parola, in un particolare evento, in quello specifico momento ed accadimento, dovesse presentarsi come l’incipit del processo trinitario di cui sopra, l’intero processo (Parola Azione Pensiero; Parola Pensiero Azione), attraversando e percorrendo i tre punti fissi, sempre in sommovimento, della trilogia proposta, non potrebbe sottrarsi al Fato di essere anch’esso riverbero e parzialità, intriso di assenze e mancanze che, come nel cencio del mendico, son compensate da rattoppi… la vita personale è un rattoppo. Ma non è detto che anche questo mio sproloquiare non sia parto della mente che ben sappiamo non potrebbe far altro che essere mendace, per cui mi arrendo all’evidenza… parlo ed alla protervia della parola mi piego e arrendo: questa mia è solo verosimiglianza, cioè tutto molto simile al vero, eppur non è sufficiente a “veritare” alcunché. Ciao Ultima modifica di visechi : 04-05-2007 alle ore 10.35.45. |
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05-05-2007, 08.22.19 | #7 | |
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Riferimento: Il verbo veritare: meditazioni aperte
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Allora...scusami per la successione cronologica; sarà infatti l'ipotesi da dimostrare (dovevo evidenziarlo nel testo)....è di fatto questo punto una chiave di volta per la comprensione dei nostri inganni mentali...Proseguiamo....Il darsi di una cosa fuori dall'immagine: penso che tu ti riferisca alla mia asserzione che la cosa appartiene più a sè stessa che agli altri, ma non sono sicuro (l'osservatore interpreta le bizzarrie della lingua). Etichettare con il cristallo del sostantivo una persona, una cosa o anche un pensiero è a mio giudizio fuorviante: un uomo non è un ladro se ha rubato, ma è semplicemente una persona che ha compiuto un furto; sarebbe un ladro se tutte le sue azioni fossero furti, ma è un ipotesi abbastanza ridicola. Sempre riguardo all'etichetta, non so nemmeno chi siano i trascendentalisti, non mi interessa, dato che di parziali verità tutti siamo depositari; anche il trascendentalismo avrà le sue. Mi reputo un filosofo che non conosce molto la storia della filosofia; il mio pensiero vive dentro di me probabilmente perchè si è costituito dentro di me. Un giorno, prima di scoprire la mia parziale verità, scrissi all'interno di un pensiero che stavo sviluppando nel momento di scrivere....."....ho perduto il filo del discorso"....Dopo un pò aggiunsi...."..ma in verità non vi è alcun filo; possiedo brandelli di verità, quasi tasselli di un puzzle di cui, pur non intravedendo il disegno, percepisco l'esistenza". Ho fatto mie verità di Hitler, senza essere un nazista, verità del Papa senza essere cattolico, verità del barbone ubriaco senza essere alcolizzato, verità della Bagavad Gita senza appoggiare l'ideologia della casta. Ho usato delle etichette, ma mi rendo conto del loro essere effimere. Per quelli che sono i tuoi strumenti concettuali, se sei un filosofo, abbi il coraggio di buttarli in piazza. La vita è movimento, il dialogo è movimento, il monologo è cristallo. Ciao Daniele Benedetto |
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05-05-2007, 10.48.55 | #8 | |
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Riferimento: Il verbo veritare: meditazioni aperte
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Il tuo intervento è vasto e profondo, quindi mi soffermerò per ora sulla prima domanda che poni. La lingua è una grande prostituta; forse se io avessi scritto quello che seguirà non ti avrei esposto alla tua dovuta speculazione: Agostino nel "De mendacio" scrive: "Mente colui che pensa una cosa e afferma con le parole o qualsiasi altro mezzo di espressione qualcosa di diverso". Chiaro che sottoscrivo questa affermazione, però la ribalto a mio uso affermando: Se stai facendo qualcosa e pensi ad altro stai mentendo. Risulta così chiaro il locus di veritare; quando vi è coincidenza tra la mente percettiva e l'azione stai veritando. Questo si verifica in rari casi, in tutti quei casi cioè in cui la tua immersione nell'azione è totale tanto da estraniarti dalla percezione del tempo. Per quel che concerne le tre stelle fisse dammi un pò di tempo per organizzare una risposta che possa essere almeno in parte esaustiva; solo una cosa...parlando di sviluppo della lingua, intendo l'ampliamento della lingua, ovvero la costituzione di un nuovo vocabolo o al limite di un nuovo modo verbale, anche se mi sembra che in quest'ultimo caso la realtà sia fissa da molto tempo ormai. Ciao e a presto |
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07-05-2007, 08.57.34 | #9 | |
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Riferimento: Il verbo veritare: meditazioni aperte
Orbene! Pian piano ci si avvicina.
Notiamo ora che il mentire e la menzogna non sono più il prodotto indissolubile del processo della mente, sembrava, invece, che con essa quasi coincidessero. Il mentire e il “veritare” indossano vesti diverse, variegate, divenendo più che altro uno status, un permanere dell’essere – per quanto temporaneo - in una condizione determinata. Mentire e “veritare” appaiono i marcatori di questo status, la cifra che offre la misura della condizione, sono qualificazione ed attributo della sua condizione. Ed ecco che la Parola – una delle tre stelle fisse – risplende ad intermittenza (anche l’Azione, se osserviamo bene), divenendo veritativa e al tempo stesso menzognera in conseguenza della condizione in cui viene a trovarsi l’essere, purché, ovviamente, sia espressa. Se il Pensare e l’Azione sono tenuti insieme dalla coerenza, sia espressa dalla Parola – qui sarebbe un trait d’union – o dall’inespressività del Silenzio – che per certi versi è comunicazione anch’esso – l’uomo è “veritativo”. Viceversa, se l’Azione non si coniuga col Pensiero e con la Parola, ci trasformiamo in mentitori. Ma in quest’ultima ipotesi la terza stella fissa – la Parola – che tu ritieni necessaria affinché si esplichi compiutamente il processo trilogico, diviene un accidente, potendo anche mancare, così è che il processo trinitario da te descritto si traduce in processo binario… ma neppure questo è detto, potrebbe trasformarsi in processo monofisita. Ma se il pensiero, trattandosi di un processo silente, che non ha voce, è in sé inespressivo se non portato all’esterno da qualcos’altro, e se ciò che lo può rendere palese è o l’Azione o la Parola espressa, quando e come mai, mi domando, sia possibile rilevare ed asseverare la verità o la mendacia dell’essere? La Parola rende manifesto il Pensiero, quel determinato Pensiero che da essa è significato e non un altro. Così pure l’Azione, anch’essa comunica quel determinato Pensiero che è intrinseco all’Azione che la muove. Parola ed Azione, in un sistema binario, sono sempre e solo asseverativi del Pensiero. Nel tacere non può dunque essere rinvenuto altro che il “veritare”, perché l’Azione che dovesse esplicarsi nel Silenzio, non può far altro che acconsentire – almeno per un osservatore esterno, quindi per il mondo -. Quindi il Pensiero, se nel tacere è reso esplicito dalla sola Azione, non può essere assunto a priori come incoerente con l’Azione che è l’unica che lo può rendere manifesto. Dogmaticamente, perché non è possibile altrimenti, l’Azione è assunta come adeguata e coerente con il Pensiero. Qualcosa scricchiola? Parimenti per quanto attiene alla Parola. In assenza di Azione – trasformiamoci in taoisti – che faccia emergere una discrepanza fra Pensare, Parlare ed Agire – le tre stelle fisse in eterno sommovimento la cui luce è per giunta oramai intermittente – è solo essa che rende estrinseco ed esplica il Pensiero, ed al portato della Parola, in assenza di evidenze che facciano emergere increspature, non possiamo che attenerci. Da ciò deriva, come ovvio, che anche in questo caso le due stelle fisse debbano essere assunte come adeguate e coerenti l’una all’altra. Cosa si deduce da tutto ciò? Che il tacere e l’inazione sono asseverativi del Pensare, e il mentire emerge solo nella combinazione esplicativa di tutte e tre le stelle fisse. Infatti, se possiamo considerare il Pensiero l’unica delle tre stelle fisse sempre presenti – ma ciò in una situazione di reattività istintiva non sempre è vero -, le altre due possono mancare, e in assenza di anche uno solo degli altri due punti fissi che compongono l’evento enucleato da un contesto di concatenazione, il “veritare” è sempre assunto a priori come intrinseco, mentre il mentire non emerge. E già ora scorgiamo qualcosa d’irritante. Non solo le tre stelle fisse non sono più fisse, ma in eterno movimento, ma ancor peggio, la loro luminescenza è anche intermittente: tanti OFF quanti sono gli ON? Non so, potrebbe essere… che disastro il nostro vivere, che miseria la Verità. Citazione:
Avevamo preso le mosse dal “veritare” per approdare alla Parola, che descrivi come una puttana. L’emergere del mentire e/o del “veritare” si ha solo nel porsi in relazione con il mondo esterno, cioè entrambi hanno significanza e valenza solo quando ci si pone in relazione, diversamente stazionano nell’ambito della sfera personale, divenendo qualificazioni impermanenti dell’intimo di ciascuno di noi, e, quando questa sfera non interseca l’intimità del prossimo, a nessuno è tributato il diritto di ergersi a giudice dell’intimo altrui, se non all’Altissimo. Entrambi – veritare e mentire – si esplicano attraverso Parola, Azione e Pensiero. In assenza di una delle tre stelle fisse, abbiamo già visto che il primo dei due elementi è assumibile come ‘vero’, così non può dirsi per il mentire. Esso emerge come uno sbocco di sangue solo quando le tre stelle illuminano l’intero processo, cioè quando da una condizione binaria o duale ci spostiamo in una trinitaria. Azione e Parola sono anelli di congiunzione fra un individuo – il Pensare - e il mondo esterno. Son quindi attributi o elementi di relazione. Se è vero che la parola è una puttana che si piega alle esigenze di qualcosa che la coarta – non stiamo ora ad indagare cosa sia questo qualcosa, credo che arrivi ad immaginarlo -, è anche vero che ritenerla tale presuppone il mentire in ogni circostanza. La Parola avrebbe l’Anima menzognera, mentirebbe anche quando afferma il vero, proprio perché il suo nucleo essenziale sarebbe la menzogna. E nel processo duale sopra descritto, sarebbe il mentire a dover essere assunto a priori come l’emersione del combinarsi della luce delle due stelle fisse e non più il “veritare”. Ma ciò è errato, il nucleo essenziale della Parola è l’assenza, non la menzogna, non dice anche quando racconta. La Parola è afasia, esprime l’indicibile, il quale, in quanto tale, resta celato nella semantica del verbo, nella sua grammatica e nella sua sintassi, ciò anche quando è polisemia, o quando si trasforma in un nuovo vocabolo. La metamorfosi del vocabolo non rinnega questa sua essenza, non vi pone una toppa, sposta soltanto l’assenza in altra pagina del vocabolario. Questa sua peculiarità fa sì che la Parola, in sé, se coniugata con il solo Pensiero, sia sempre e solo asseverativa, almeno per il prossimo, per il soggetto attore il problema si complica alquanto, qui entrano in ballo mille e più interferenze, la cui trattazione sarebbe al momento fuorviante… ci basti osservare il processo dall’esterno, non dall’interno. Ciao |
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08-05-2007, 16.35.44 | #10 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Il verbo veritare: meditazioni aperte
Citazione:
Ciao. Risponderò al tuo primo intervento, dato che ho avuto solo modo di scorrere il tuo ultimo. E' per me soddisfazione trovare critiche come le tue. Non temere però, non farti impressionare dai mostri del passato. Forse tutto fu necessario. Si parlava di sviluppo della lingua. Si parlava di una motivazione che regge un punto triplo. Si parlava di una parte passiva, a cura dell'osservatore. Il nuovo oggetto mentale, ovvero il nuovo nome quand'anche fosse nome proprio magari di una teoria, quali possibilità trova per poter esistere, per poter essere usato permanentemente nel tempo? Dipenderà da un riconoscimento più o meno collettivo dell'entità a cui si riferisce il nome. L'individuo forgia, mentre la massa.... mostro tentacolare.... promuove e/o boccia nel tempo. Il nuovo nome e la nuova entità contribuiranno ad un'ulteriore partizione della realtà, ampliando così.......seppur discutibile tale termine.....la nostra razionalità; tutto ciò per il fatto di offrire un nuovo appiglio/scompiglio al nostro pensiero. Ma qual è l'inizio dell'atto di tale individuale creazione? Direi un'osservazione, nel caso dell'uomo un'osservazione "razionale". L'osservazione può essere rivolta al mostro tentacolare che esiste sia fuori di noi che dentro di noi....potrebbe appunto trattarsi di un mal di fegato..Dò per scontato, a questo punto, il resto della spiegazione del processo che porterà alla creazione della coppia parola/entità, tenendo ben a mente però che sarà la promozione a far esistere d'un colpo, a livelli massivi, sia la parola che l'entità a cui si riferisce. L'osservazione vive in intimo contatto colla motivazione e la motivazione normalmente....non per aspiranti suicidi....è diretta verso la vita; non tanto sempre come slancio vitale, ma comunque sempre volta allo scanso di una morte immediata; la motivazione utilizza la razionalità così come pure l'osservazione utilizza la razionalità. L'essenza dell'individuo è così costituita da una permanenza di osservazione e motivazione; possono comunque esistere momenti di calma, di stop, di fermo individuo. Bisognerebbe dare peso a questa doppia natura passiva e attiva che si unifica nell'individuo e provare a tuffarci nel vortice del punto triplo osservando in quale dei punti ci si immergerà. Non occorre essere eroi, ma forse sì distogliere l'attenzione dall'ago della bussola, quasi un agone, come tu dici, come io dico. Questo sarà appunto il punto creativo; arcaicamente, sostengo io, si tratterà dell'azione della massa che porta alla parola.....tutto da dimostrare, anche se di fatto indimostrabile; potrà tuttavia essere suadente per una certa rispondenza di evidenze...."Arcaicamente" coincide col punto della autocreazione del genere umano. Resta chiarissimo che nel 2007 il punto creativo della parola può senz'altro essere l'azione della mente, l'azione della mente razionale. Ciao |
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