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03-03-2006, 17.41.08 | #1 |
like nonsoche in rain...
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La censura delle immagini: il caso Oliviero Toscani.
Su http://www.repubblica.it/2003/e/gall...toscastop.html ho letto la notizia “Spot Toscani, nuovo stop” (cliccate sull’immagine) sulla censura della foto della nuova campagna pubblicitaria dell’azienda XXX (censuro, perché non si può far pubblicità ) da parte dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (I.A.P.). Il brano che riporto è tratto dal sito di XXX (link “Cosa ne pensi?”); il grassetto è mio.
-------------------------------------------------------------- Milano, 2 Marzo 2006 – XXX non condivide il provvedimento dello I.A.P. che giudica la fotografia di una bambina con il fratellino contraria agli articoli 10 –Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona- e 11 -Bambini e adolescenti- del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria. La campagna pubblicitaria, curata da Oliviero Toscani per XXX, linea di abbigliamento bambino, è stata realizzata per la nuova collezione XXX 2006. Lo scatto ritrae un’innocente bambina, dallo sguardo tenero, vestita con i capi della nuova collezione di XXX, seduta a terra, mentre tiene tra le braccia il fratellino neonato. Tale soggetto viene visto dallo I.A.P. come “una bambina [...] con indosso una camicetta totalmente sbottonata da cui si scorge il pezzo di sopra di un bikini, che tiene in grembo un neonato nudo”. L’ingiunzione ravvede nel messaggio pubblicitario “un’attribuzione forzata ed artificiosa ad una bambina di una maschera da adulto, al fine di enfatizzare un’innaturale ed impropria sessualità, che la rende nel contempo possibile oggetto sessuale [...] un modello degradato di infanzia [...] in grado di turbare profondamente l’osservatore”. Lo I.A.P. inoltre attribuisce alla bambina atteggianti da adulta, quali “la nascita di un figlio, un abbigliamento sexy, uno sguardo vissuto e disilluso, oltre che profondamente triste”. [...] Anche XXX si dissocia completamente dall’interpretazione dello I.A.P., giudicandola forzata e non veritiera. L’azienda si ritiene preoccupata dei criteri stessi secondo cui lo I.A.P. possa ravvedere atteggiamenti sexy, sessuali, innaturali e tristi in questo scatto, giudicato dall’azienda e dal fotografo intenso e coinvolgente, oltre che tenero e innocente. XXX si augura quindi, per la credibilità e l’attendibilità stessa dell’Istituto, che il motivo della censura non sia questo presunto turbamento sessuale. Il turbamento è attribuibile non certo ai contenuti della foto, ma ad uno sguardo soggettivo e non innocente, ma problematico e, si spera, non diffuso. ----------------------------------------- Premetto che la censura di una immagine/notizia mi fa riflettere più dell’immagine/notizia stessa, che per quanto violenta o scabrosa possa essere, dovrei avere il diritto di guardare; mi dà dunque fastidio, per principio, che vi sia un organo censorio che decida quali informazioni, immagini mi possano arrivare e quali no (questo è pure il pensiero di Oliviero Toscani, che è gia stato censurato in passato). Però un codice di autoregolamentazione, come quello dello I.A.P., vi deve essere poiché i bambini ed anche alcuni adulti non possiedono la capacità di filtrare e valutare la mole abnorme di notizie che ci bombardano ogni giorno. Detto ciò, dopo avere osservato l’immagine in questione per qualche secondo, quello che mi ha colpito (a quanto pare non solo a me) è lo sguardo “vissuto e disilluso, oltre che profondamente triste” della bambina, non certo, come dice XXX, “tenero e coinvolgente”; coinvolgente sì, ma tenero certamente no, poichè gli occhi sono quasi sbarrati. Seconda cosa, mi sono chiesto quale sia il messaggio che voglia far passare Toscani e la XXX con questa immagine e con il neonato (il passante per la strada non sa che quello è il ‘fratellino neonato’); capisco bene la sottintesa voglia di ‘colpire’ facendo sembrare la bambina più grande di quello che invece è, giocando insomma con i contrasti, con gli opposti, con le ‘ambiguità’ che sono il pane quotidiano della pubblicità. Il ‘contrasto’ ravveduto si sarebbe di certo attenuato molto se lo sguardo ed il volto della bambina fossero stati sorridenti, magari rivolti verso il neonato; istantanee di questo genere Toscani le ha scattate sicuro, ma evidentemente le ha scartate a favore di un ritratto più ‘serio’ e disincantato (suggeritogli probabilmente dalla stessa XXX). Dunque quale messaggio si vuole far arrivare ad un genitore che intende acquistare degli abiti alla sua bambina? Quale messaggio arriva ad un bambino che dà un’occhiata al manifestone pubblicitario 5x5m lungo la strada? Quello che ho detto non mi sembra comunque sufficiente a provocare la censura dell'immagine in questione. L’unico scopo della foto è forse solo quello di colpire l’osservatore ed indubbiamente la composizione e lo sguardo della bambina non lasciano indifferenti; l’immagine è dunque molto riuscita ed è una ‘bella’ foto. Al di là dell’impatto visivo però, la bellezza di una foto è sia intrinseca (connessa alla tecnica, all’espressività), ma è anche legata al contesto nel quale viene utilizzata. Dunque, cosa pensate dell’immagine usata a scopo pubblicitario e soprattutto della censura da parte dello I.A.P.? Basta lo sguardo ‘disincantato’ di una bambina, calata evidentemente nei panni di una ragazza ‘matura’, perché la scure della censura possa stroncare una campagna pubblicitaria? Quali limiti alla censura e quali limiti all’utilizzo delle immagini nella nostra società? |
03-03-2006, 21.28.52 | #4 |
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Facciamo partecipare alla discussione anche Oliviero Toscani (dal sito http://www.emsf.rai.it/scripts/docum...i&id=256#links), tramite dei botta e risposta con degli studenti di un liceo bolognese. Se non avete voglia di leggere l'intervista ho fatto dei commenti alla fine del post, che la riassumono un pochettino.
-------------------------- STUDENTESSA: Si, però un bambino che si trova di fronte ad un'immagine violenta, cioè io credo che possa avere anche delle reazioni che non siano tanto piacevoli. Cioè si può fare un'idea della società, o comunque del mondo... Sì, sì, ma io vorrei sapere quali sono le mie foto violente che un bambino non abbia già visto in televisione, quando nessuno gliele spiega. STUDENTESSA: Appunto per questo! Cioè i bambini si trovano ad avere di fronte delle immagini troppo violente, secondo me, per la loro età. Ma dov'è il punto, il punto del troppo e il punto del troppo poco? Allora, m'avevano chiesto di portare tre oggetti. Io avevo detto un televisore, un crocefisso e una lattina di XXX. Allora, proprio perché a scuola - e io ho insegnato in due università diverse: una a Sociologia e una ad Architettura, una a La Sapienza e una all'Accademia di Architettura del Mario Botta. Sono andato a insegnare come leggere le immagini. Io penso che nella scuola, nell'educazione, non ci sia insegnamento nella lettura delle immagini. Si insegna a leggere la letteratura, l'alfabeto, ma non si insegna a leggere le immagini. E al giorno d'oggi viviamo in una società che vive d'immagini. Tutto ciò che conosciamo, lo consociamo per immagini. Ormai l'immagine è diventata più reale della realtà. Quindi un bambino ormai vede già tutto, però lo teniamo nell'ignoranza, nell'ignoranza della capacità di lettura. Dovrebbero insegnarglielo dalle scuole elementari. STUDENTESSA: Ma, dal momento che appunto il pubblico non sa leggere le immagini, non ci dovrebbe essere un limite, cioè una specie di censura - diciamo, so che esiste -, però anche personale, una censura morale, delle immagini che si mandano al grande pubblico? Ma io penso di no, non ci dovrebbe essere una censura. Sicuramente non ci dovrebbe essere una censura, ma ci dovrebbe essere un insegnamento, perché un bambino, portato in Chiesa, non so se te ne rendi conto, ma esci di qua, entra nella prima chiesa e guarda gli altari. Tu vedrai un'allegoria al sangue, alle spine, alla violenza e a tutto questo. [...] STUDENTESSA: E allora è lo stesso fatto, lo stesso discorso dei bambini che si trovano di fronte a un'immagine violenta. Possono avere degli incubi. Ma no, ma non esiste. Non esistono immagini più violente di quelle che ci sono già, non esistono immagini più violente di quelle che ormai sappiamo. STUDENTESSA: Allora Lei ritiene che sia giusto cioè dare al grande pubblico e anche ai bambini delle immagini violente? Ma io penso che questo dia la possibilità di capire meglio. Abbiamo solamente bisogno di conoscenza. Dobbiamo conoscere di più. STUDENTESSA: E come si fa? Andando anche a intaccare delle sacche che portano cultura, come la pubblicità, e svuotarle dalla cultura stupida. [...] STUDENTESSA: No, ma semplicemente io vado in giro e vedo un'immagine che guardo, senza sapere interpretare, la guardo io a quindici anni, la guardano gli altri a diciotto un altro a diciotto, la guarda un bambino a sei, e con lo stesso modo. Ma un bambino che guarda la televisione, sa che col tempo impara che quella è la televisione, quindi una mamma gli impedisce di guardare il telegiornale perché ci sono delle cose delle immagini troppo violente. Ma se io guardo un'immagine di Piazza Maggiore, io vedo quell'immagine. Cioè se tu guardi un'immagine che non capisci, non vuoi vederla? Questo mi stai dicendo? STUDENTESSA: No, non è che non voglio vederla, ma ... Come gli struzzi. STUDENTESSA: Non è che non voglio vederla, ma io adesso, nel piccolo ... No, perché ti posso dire che qualcuno invece la guarda, la capisce e qualcuno c'è, che gli piace. [...] STUDENTESSA: A me quattro facce di neri non mi fanno un grande effetto, ma, se io vado in giro e vedo un'immagine che è molto cruda, io... Dovresti invece guardarla bene per riflettere. STUDENTESSA: Io la guardo bene, ma un bambino di sei anni si spaventa. No, ma non pensare a quello che pensano gli altri. Pensa, non fare la mammina. A quindici anni dovresti fare... STUDENTESSA: Io non voglio assolutamente fare la mammina perché non sono in grado di farlo, però credo che sia troppo violenza in queste cose. Invece dovresti insegnare a tuo figlio di sei anni ad imparare - quando l'avrai -, dovresti insegnargli a guardare queste immagini e non fare come le mamme che hai detto che quando c'è qualcosa di violento, dicono al bambino di non guardare, perché il bambino poi, quando la mamma sarà a letto col papà andrà proprio a accendere la televisione per vedere proprio quelle immagini lì. --------------- Dal sito adnkronos.com, interpellato sull’argomento ‘censura’, Toscani così risponde: Roma, 11 feb. 06 (Ign) -''Sia la censura che la volgarità sono forme di debolezza, ma la cosa grave è che la tendenza italiana nasconde la mancanza di creatività nel Belpaese''. -------------------------------------------- -----------------------------------------------> Miei commenti Per Oliviero Toscani non ci vuole assolutamente censura, ma educazione alle immagini, anche a quelle violente, sin da bambini visto che il nostro mondo è sempre più fatto da immagini, dall'informazione; infatti per Toscani le immagini sono ormai "più reali della realtà". Questo fotografo utilizza i mezzi della pubblicità per 'provocare', per far riflettere 'oltre' ed in effetti viene sempre criticato per non adeguarsi al 'committente', tentando spesso di far passare molto di più di quanto richieda il marchio reclamizzato; questo è per esempio il caso della nostra immagine relativa all'azienda XXX. Il pensiero di Toscani è sicuramente quello di un 'provocatore' controcorrente, come lui stesso si definisce, e sull'educazione alle immagini credo che abbia ragione. Attualmente questa educazione pare proprio non esserci e dunque attualmente, secondo me, è opportuno darsi delle ‘regole’, certo non troppo restrittive per non limitare eccessivamente la creatività del fotografo, ma tali da non urtare la sensibilità intrinseca del bambino, che pur se educato sempre bambino rimane. Non censura, ma un codice ‘etico’ che riguardi non tanto il momento dell’istantanea, quanto l’associazione di esso ad un certo tipo di messaggio e di campagna pubblicitaria. Se si superano certi limiti obiettivi (incitamento alla pedofilia, alla violenza, ecc...) quella che interviene non dovrebbe essere la 'censura', ma la magistratura, che nei confronti di Toscani non mi pare che sia mai intervenuta. Toscani ha ragione anche per quanto riguarda la televisione che mostra MOLTA più violenza e crudeltà (basta guardare un semplice telegiornale o un film), di quanto facciano le sue pubblicità o la pubblicità in generale; perciò l’appello all’educazione mi pare fondamentale. Toscani sembra che dimentichi, però, il fatto che una pubblicità (televisiva o no) possa essere molto più martellante della violenza di un film o di un telegiornale, che comportano comunque delle 'riflessioni' successive (dovrebbero farlo). Bisogna fornire perciò gli strumenti per comprendere e riflettere sulle immagini sin da piccoli, piuttosto che fasciare completamente la testa ai bambini, altrimenti da grandi si ritroveranno sempre ‘impreparati’ a riceverle, non andando oltre al semplice atto passivo della visione. Guardare, riflettere e comprendere il messaggio che sta dietro all’immagine e NON censurare; questo il pensiero di Toscani, che mostra degli aspetti condivisibili, almeno per me. |
04-03-2006, 01.07.02 | #6 |
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Di Oliviero Toscani ricordo un'esposizione di fotografie in una Biennale di Venezia di un po' di anni fa.
Si trattava di gigantografie di genitali, maschili e femminili. Anche in quel caso ci fu un mezzo scandalo, ma forse non abbastanza forte per l'autore, che ama provocare attraverso le immagini. Le sue foto pubblicitarie (della nota marca di abbigliamento) hanno tappezzato per anni le capitali, e tutti le ricordano. Però farsi sostenitore di una libertà di espressione che di fatto è commerciale, la vedo una contraddizione. Da una parte si vende un prodotto, si utilizza un medium come veicolo, dall'altra si invoca la libertà di espressione. Una doppia pubblicità, insomma, che di fatto usa lo "scandalo" ad arte e che a prescindere dalla pubblicazione o meno, fa parlare di sè. La foto che, Nexus. hai portato come esempio personalmente non la vedo scandalosa, solamente non lascia indifferente la bellezza leggiadra della bambina. Che messaggio vorrebbe trasmettere ai possibili clienti? Il più semplice credo, quello trasmesso alle mamme stesse: l'equazione fra le due bellezze modella/abito. Riguardo all'educazione all'immagine, fosse stato Frank Capa a discuterne personalmente l'avrei accettato più volentieri. In ogni caso anche a questo riguardo, è necessario considerare l'inflazione di immagini che ormai coinvolge tutti i campi di comunicazione. Forse parlare di inquinamento visivo è esagerato, ma credo sia banale sottolineare come l'eccesso porti di fatto ad un'assuefazione: lo sa di certo anche Toscani, che punta sull'effetto sorpresa e del "purchè se ne parli". |
04-03-2006, 15.15.43 | #7 |
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Sono d’accordo riguardo all’assuefazione, meccanismo ormai palese data la pioggia incessante di immagini con cui facciamo i conti ogni giorno.
Proprio per questo Toscani sa bene che deve osare affinché la sua arte riesca a veicolare il messaggio voluto; già in sè la provocazione di forti reazioni opposte, spesso non accompagnate da una lettura corretta delle immagini, raggiunge comunque lo scopo di far riflettere, di far parlare di sé e del marchio reclamizzato. Questa in parole povere è pubblicità, che viene a volte subita da chi non è pronto a riceverla. Riflettendo meglio sulla distinzione tra fotografia (quella di cui prevalentemente si occupa Toscani) e televisione/cinema, mi sembra che la prima abbia un impatto maggiore, a volte, delle altre due. Prendiamo dei grossi cartelloni pubblicitari affissi per la città, magari davanti alle fermate degli autobus od in qualsiasi altro posto dove la gente sosta per qualche minuto. Se essi propongono un’immagine particolarmente forte, provocante, di denuncia, la gente ne risulterà coinvolta, ‘scossa’ ed alcuni non ‘preparati’ potranno ricevere un vero e proprio pugno in un occhio da quell’immagine statica, che non cambia, che non scorre via come quelle della televisione o dei film. La violenza negli ultimi due mezzi seppur quantitativamente maggiore è spesso bilanciata da una dose opposta di ‘buoni’ sentimenti, pensiamo al lieto fine di un film, alle notizie stupide o curiose di fine telegiornale, ecc...; dunque la forza delle immagini, dei fotogrammi in movimento risulta ‘attenuata’ a livello conscio, rispetto ad una istantanea che impone la sua presenza in modo fermo e che obbliga l’osservatore a soffermarsi su particolari, gesti, sguardi che magari la stessa situazione in movimento avrebbe ‘taciuto’ o meglio l’attenzione dell’osservatore comune (non allenato) non sarebbe stata sufficiente per cogliere quegli stessi particolari. Dunque trovo che la fotografia sia un mezzo molto potente di comunicazione e molto complesso; inoltre c’è differenza tra una mostra a cui si accede volontariamente ed una pubblicità che si impone alla tua attenzione, senza che magari in quel momento tu sia disposto ad accoglierla. Penso perciò che ci voglia una certa dose di ‘coscienza’ individuale o sensibilità, al contrario di quello che dice Toscani, quando le immagini si prestano ad essere distribuite in massa alla gente vista la quantità già enorme di informazioni che subiamo tutti i giorni. A mio parere, però, il ruolo del provocatore creativo è molto importante, se non necessario, in una società come la nostra dove l’uniformità sembra essere il metro di giudizio dominante; il suo scopo è quello di ‘violare’ i limiti accettati, di favorire nuovi punti di vista, di esplorare frontiere sconosciute, di stabilire nuovi confini che verranno spostati dalle generazioni successive. L'effetto sorpresa ed il "purchè se ne parli" sono tra le priorità di un provocatore come Toscani che per essere tale necessita proprio di farsi notare nel modo più ampio possibile e la suddetta assuefazione impone l'eccesso, tra l'altro sempre più spinto in quanto comunque le frontiere della comunicazione sono molto mobili. Se dovessi proprio scegliere tra una disinvolta censura ed una provocazione eccessiva, opterei per la seconda poichè dovrei avere il diritto di vedere sempre e comunque, anche se vi sono eccessi ed eccessi e di questo ne sarà consapevole pure Toscani, che ‘utilizza’ i suoi committenti (o mecenati come li chiama) in modo molto più ampio di quanto il marchio stesso richieda. A volte, la censura mi fa paura poichè sembra che si abbia quasi paura di guardare la realtà da diversi punti di vista, che non siano semplicemente quelli imposti dall'uniformante perbenismo che propone versioni artificiali ed edulcorate della 'realtà'. C'è bisogno di maggiore 'conoscenza', su questo sono d'accordo con Toscani. |
04-03-2006, 15.35.36 | #8 | |
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Citazione:
... è questo che andrebbe approfondito, nexus6. Un conto è una "pubblicità-progresso" di un ente che si batte da anni per una causa, un conto è esser pagati per una campagna commerciale. ... La libertà non è mai infinita (siamo esseri finiti) ed ha un limite nel rispetto dell'altro (vedi vignette su Maometto): come tradurlo in pratica? ... nel caso particolare sono tuttavia d'accordo che la censura è una stupidata ("è contorta la mente del censore" dice Oliviero). ... quì ovviamente non parliamo di bravura od arte fotografica: Toscani non sarà un poeta dell'obiettivo come "Mario Giacomelli" ma è pur sempre un grande fotografo. ciauzzz Ultima modifica di oizirbaf : 04-03-2006 alle ore 15.47.12. |
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04-03-2006, 16.29.28 | #9 |
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Nell’intervista suddetta, Toscani dice la sua anche su questo punto, in modo più o meno chiaro. La contraddizione è presente ed il fotografo lo fa capire; però afferma senza ipocrisie che si affida a grandi marchi proprio perché i messaggi che vuole lanciare arrivano molto più efficacemente che in altro modo. Da un lato c’è questo aspetto, dall’altro (si nota nell’ultima risposta qui postata) è lo stesso marchio che utilizza naturalmente Toscani. Usa e viene usato, ammettendolo onestamente senza troppi problemi. Inoltre anche i fotografi per la “campagna progresso” vengono pagati, così come tutti quelli che fanno comunicazione. Certo il marchio pubblicizzato sfrutta le foto di denuncia di Toscani per vendere maggiormente (sempre di pubblicità stiamo parlando!), ma anche questo è un punto controverso e nell’ultima risposta di Toscani sulla “carità” (che consiglio di leggere) viene evidenziato questo aspetto.
Il nucleo del pensiero di questo fotografo provocatore mi sembra questo: accettare senza ipocrisie questa contraddizione tra pubblicità di denuncia/pubblicità per guadagno per far arrivare a quante più persone possibili messaggi forti e necessari (su HIV, pena di morte ecc...), che con altri mezzi non arriverebbero così efficacemente e che la pubblicità ‘canonica’ (‘imbecille’ per Toscani) non ha il coraggio di mostrare. -------------------------------------- STUDENTESSA: Lei fa questa pubblicità, ci propone queste immagini cruente, ha intrapreso questa strada delle immagini un po' come denuncia. Ma mi sono sempre chiesta: nel momento in cui fotografa il ragazzo morto con la testa spaccata, il malato terminale di AIDS, e sa che quell'immagine servirà per vendere dei vestiti, servirà per apparire sui cartelloni pubblicitari, come si sente? Cioè si sente una persona cinica? Però vorrei che rispondesse onestamente: pensa al guadagno? Perché in fondo questo, questo genere di pubblicità l'ha resa famoso, l'ha resa ricco, oppure c'è qualcos'altro, cioè va al di là della pubblicità? Io credo che bisogna spostare questa domanda. Mettiamo che fossi, che sia un architetto e la XXX mi chiede di fare la grande sede della XXX ad Atlanta. Come architetto io voglio solamente fare una grande architettura, voglio fare un'architettura di fronte alla quale il mondo deve avere delle reazioni culturali. Ecco, adesso, portando questo esempio: cioè queste domande non si fanno a un architetto. Dice: "Se tu fai un'architettura così, fai l'architettura della XXX per vendere più XXX". No. Lui fa l'architetto. Io sono fotografo e ho visto che il linguaggio, il mezzo della pubblicità mi dà la possibilità di passare dei messaggi dei messaggi che non passerebbero in maniera tradizionale. Non solamente passerebbero i messaggi, ma passerebbero, i messaggi mondialmente, cioè ho delle possibilità economiche e organizzative molto più grandi di quelle che mi darebbe un giornale. A questo punto faccio ciò che piace a me. Non a caso c'è qualche pubblicitario che dice che quello che faccio io rovinerà la XXX, l'azienda per la quale io faccio le fotografie. Allora, dico, da una parte mi si accusa di rovinare un'azienda, dall'altra parte mi si accusa di fare delle cose finalizzate alla vendita. Ecco qui si ritorna al discorso, voglio dire: "Io faccio il fotografo, m'interessa fare certe immagini e farle in un certo modo, indipendentemente se questo faccia vendere o no. Per vendere, se dovessi vendere, farò il venditore, non farò il mestiere che faccio. STUDENTE: Sì però Lei ha delle responsabilità superiori a quelle di un architetto, secondo me. Lei, come ha detto lei, ha un potere sui media, ha un potere sulla gente e quindi è una cosa molto diversa secondo me, cioè in qualche modo ha delle responsabilità più alte. Io penso che chiunque abbia delle responsabilità. Non esiste un livello di responsabilità più alto. Tutto è proporzionale. STUDENTE: Sì, però come potere comunicativo della pubblicità è molto forte. Va bene, ma c'è pure chi fa il cinema. Allora chi fa la televisione? perché quando un giornalista scrive per un giornale non si accusa di scrivere per vendere il giornale, ma va benissimo tutto quello che scrive? In fondo io faccio comunicazione. Non sono un venditore. E' chiaro che però come tutti siamo schiacciati fra produzione e consumo. [...] STUDENTE: Scusi, Lei prima ha parlato di messaggi, riguardo alle sue immagini. Ma l'immagine, per esempio, di un uomo ucciso, che viene stampata insieme al logo della XXX, volevo sapere che tipo di messaggio può inviare, perché non trovo una relazione fra questa immagine e la casa di produzione. Forse perché non è abituato a questa connessione, però se vede un imbecille che dice che guidando un'automobile a sedici valvole, riesce a sedurre un ragazza e se è firmato XXX, va tutto bene. E no! Allora mi domando: come mai invece un linguaggio viene capito? E' come un lingua. Il messaggio è proprio quello di farci rendere conto che, mentre uno pensa di comprare un'automobile, esiste un'agonia da un'altra parte. Durante l'agonia la vendita continua. E forse siamo proprio noi gli artefici di quest'agonia, proprio nel pensare di consumare di più di quello di cui abbiamo bisogno. Quindi, come vedi, è chiaro che è molto problematica la cosa, perché nello stesso tempo lavoro per una grande azienda multinazionale. Però vi posso garantire che in XXX, che è in 127 paesi del mondo, mentre da una parte si consuma, dall'altra parte arrivano le foto di negozi bombardati. Quindi ci si rende conto particolarmente cosa vuol dire essere nel mondo e non essere solamente nel piccolo sogno imbecille della pubblicità. [...] STUDENTESSA: Insomma io volevo chiedere qual'è il vero scopo di queste Sue provocazioni. Insomma è denunciare il fatto, il fatto tremendo delle bombe nei negozi, che diceva prima, oppure andare contro un tipo di pubblicità, che Lei, evidentemente, non condivide perché è stupida? Insomma, voglio dire, Lei utilizza il marchio XXX per denunciare appunto questa realtà. Però XXX che cosa fa per migliorare questa realtà? Prima di tutto è il marchio XXX che utilizza Toscani. E' diverso. E poi come dice lei: mette insieme, mette insieme delle situazioni che normalmente in questo linguaggio non si mettono. Quindi è spiazzante. Quando dice: "Provocano", io non è che provochi. Metto qualcosa in un'area dove normalmente non si parla in questo modo. Capito? Cosa fa il marchio XXX? Prima di tutto il marchio XXX ha il coraggio di parlare in questo modo, perché tanti dicono che questo non fa vendere. Ci sono dei boicottaggi, perché si parli in un certo modo, ci sono dei boicottaggi da parte di gente che non entra in un negozio XXX perché ha visto l'immagine, un'immagine che non gli va bene. E questo l'accettiamo. Quindi andiamo di fronte a questa situazione. Non solamente, ma il marchio XXX ha tutta una serie di rapporti con delle associazioni dell'AIDS, che adesso non sto qui a ..., perché al marchio XXX non interessa farsi pubblicità dicendo che fa della carità, no. Ci sono delle aziende che fanno la carità, però si fanno pubblicità. Noi non facciamo questo. Se si fa la carità, bisogna farla in silenzio, perché non è morale, secondo me, utilizzarla come pubblicità. Io credo che invece la carità la si deve fare sul campo, dicendo delle cose che magari a qualcuno non sono comode. E quante sono le aziende che hanno coraggio di far questo; io per esempio tengo una pagina su XYZ, tutte le settimane, non so se la vedete, di XYZ (il suo giornale ndr.). C'era un bicchiere di acqua fresca e uno di XXX, e dicevo: "Cosa ci porta a scegliere il bicchiere di XXX, invece dell'acqua pura? Qual è la ragione, secondo voi?". E' venuto fuori un problema con la XXX, che ha subito telefonato a XYZ dicendo: "Toglieremo la pubblicità". Cioè vi rendete conto quale cappa esiste per ragioni economiche? Alla quale voi parteciperete in futuro da collaborazionisti come me. ----------------------------------------- Ultima modifica di nexus6 : 04-03-2006 alle ore 16.39.00. |
04-03-2006, 19.30.53 | #10 |
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Riporto un po’ della ‘filosofia’ di XXX (nota azienda di abbigliamento italiana di cui sicuramente avrete osservato i manifesti pubblicitari) con la quale Toscani ha stretto un lungo sodalizio (non è la stessa ‘XXX’ del post iniziale); scusate se posto discorsi così lunghi, ma penso che possano fornire utili punti di vista ‘non convenzionali’ sul discorso che stiamo facendo, cioè -utilizzo pubblicitario di un certo tipo di immagini in società e censura–. Il pensiero di Toscani è naturalmente ‘affine’ a quello di XXX che, come ho già detto, ha contribuito a rendere famosa l’azienda in tutto il mondo.
Si può non essere assolutamente d’accordo con la linea utilizzata da XXX e da Toscani, ma comunque sia essa impone delle interessanti riflessioni (spero!) sull’utilizzo delle immagini e della censura nella nostra società. Il sito della XXX non è possibile postarlo, ma consiglio ugualmente di cercalo con Google, soprattutto per dare una occhiata alle immagini. Su www.google.it digitate oliviero toscani campagne istituzionali; quello cercato dovrebbe essere il primo risultato . Se non si può usare nemmeno questo stratagemma, vi posso inviare l’indirizzo con un messaggio privato. --------------------------------- --------------------- Molte accuse riguardavano il carattere “choccante” delle pubblicità XXX. Ma il discorso non regge. I media ci hanno abituato da tempo a ogni tipo di immagine: omicidi, catastrofi naturali, genocidi. La lista dell’orrore e della sofferenza mediatizzati è purtroppo infinita. Nel caso di XXX ciò che colpisce non può dunque essere l’immagine in sé ma piuttosto il fatto che queste immagini siano diffuse da un’azienda a fini pubblicitari. Altri critici trovavano accettabile e addirittura lodevole la preoccupazione dimostrata dalla marca di sensibilizzare il grande pubblico sui temi dell’AIDS, della guerra, del razzismo. Consideravano però assolutamente inaccettabile che questa operazione di sensibilizzazione fosse fonte di guadagno, fosse associata a un’attività commerciale. Il guadagno trasformerebbe la denuncia in speculazione, la sensibilizzazione in cinismo. Il discorso non regge neppure in questo caso. Nelle società occidentali ci sono istituzioni e figure professionali orientate verso il bene pubblico (ospedali, medici, polizia, vigili del fuoco, organizzazioni non governative e governative) che vengono remunerate o fanno profitti. Curiosamente, questa stessa pratica sembra diventare improvvisamente spregevole quando è una marca di vestiti a pretendere di poter avviare un discorso - per esempio sulla prevenzione dell’AIDS – di utilità pubblica. Sta tutto qui lo scandalo XXX. In realtà ciò che le si rimprovera non è di esercitare un diritto di parola. È di non avere la legittimità per farlo. Fino a che la marca si limitava a mostrare immagini appartenenti al suo mondo possibile, non le si contestava niente. Ciò che ha dato fastidio è che XXX abbia confuso il mondo “possibile” con il mondo “reale”, credendo di poter disporre della stessa legittimità di parlare di un mondo che non ha generato. Tuttavia, la successiva legittimazione del marchio grazie alla collaborazione con numerose associazioni riconosciute internazionalmente permise di superare quest’ultima critica. Nel 1993, con la collaborazione della Caritas Svizzera e della Federazione Internazionale della Croce Rossa di Ginevra, XXX lancia la campagna “Clothing Redistribution Project”, la prima operazione mondiale di ridistribuzione di vestiti alle popolazioni bisognose. [...] I genitori di David, Bill e sua moglie Kay, parteciparono alla conferenza stampa indetta dalla XXX alla Public Library di New York e mentre su quell'immagine (che ritraeva in modo particolarmente forte David K. malato di AIDS –nota di nexus-) il mondo si divideva tra accuse di cinismo e approvazione, e molte riviste avevano già rifiutato la pubblicazione, la madre di David disse: "Noi non abbiamo la sensazione di essere usati, ma di usare la XXX: David parla a voce molto più alta ora che è morto che non quando era vivo". [...] Sono ormai le Nazioni Unite, SOS Racisme, le associazioni di lotta contro l’AIDS e contro la pena di morte, i gruppi pacifisti, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, le associazioni di volontariato a sfruttare la potenza e la notorietà del marchio XXX per comunicare su temi che stanno loro a cuore e per i quali non avrebbero potuto mai disporre di budget adeguati. La vecchia accusa “XXX sfrutta il dolore per vendere maglioni” si è ormai ribaltata. Sono le Nazioni Unite e le altre Associazioni a sfruttare la potenza e la riconoscibilità del marchio XXX e dei suoi maglioni per dare voce “al resto del mondo”. La marca è perciò alla soglia di una nuova fase, più evoluta, della creazione di valore. XXX continua a parlare di consumo e di comunicazione. La marca non vuole e, ovviamente, non può risolvere i problemi planetari. Il destinatario della marca non è un target specifico, è invece un soggetto collettivo, consumatori agiati che comprano dei vestiti e che la marca ritiene sufficientemente evoluti intellettualmente da smettere di bombardarli con spot coercitivi all’acquisto. -------------------- ---------------------------------------- Oliviero Toscani scrive sul dizionario della pubblicità Zanichelli: “E alla fine la vera provocazione risulta essere questa: un uso ‘spiazzante’ del mezzo pubblicitario che, ottenendo da un lato un enorme riscontro ‘redazionale’, mette in crisi, dall’altro, il sistema dell’advertising tradizionale. Parlare di ‘altro’ negli annunci e negli spots, rifiutare la logica dei ‘consigli per gli acquisti’ si rivela oggi l’unico modo davvero anticonformista e nuovo di ripensare la funzione della pubblicità.” ---------------------------------------------- Che ne pensate? Grazie del tempo speso a leggere i miei lunghi post . |