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Vecchio 21-02-2005, 20.08.32   #1
bluemax
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Falluja News

Falluja, come si uccide una città
www.informationclearinghouse.i nfo
19 febbraio 2005
Il Dott. Salam Ismael ha portato aiuti a Falluja, un mese fa: ecco il
racconto della sua visita.

La prima cosa che mi ha colpito è stato l'odore, un effluvio
difficile da descrivere, e che non dimenticherò mai. L'odore della
morte. Centinaia di cadaveri erano in decomposizione nelle case, nei
giardini e nelle strade di Falluja. Corpi che si putrefacevano là
dove erano caduti - corpi di uomini, di donne e di bambini, molti
semi-divorati dai cani randagi.

Un'ondata di odio aveva spazzato via due terzi della città,
distruggendo case e moschee, scuole e ospedali. Era questo il potere
terribile e spaventoso dell'assalto militare statunitense.

I racconti che ho sentito nei giorni successivi rimarranno nella mia
mente finché vivrò. Qualcuno forse penserà di sapere già che cosa è
avvenuto a Fallujah, ma la verità è molto peggiore
dell'immaginazione.

A Saqlawiya, uno dei campi profughi provvisori intorno a Falluja,
abbiamo incontrato una ragazza di diciassette anni. «Mi chiamo Hudda
Fai Salam Issawi e sono del distretto di Jolan, a Falluja», mi ha
detto. «Cinque di noi, tra cui un mio vicino cinquantacinquenne, sono
rimasti intrappolati in casa a Falluja durante l'assedio». «Il 9
novembre, sono arrivati a casa i marines americani. Sono andati ad
aprire mio padre e il nostro vicino. Noi non siamo certo dei
rivoltosi, e pensavamo di non avere nulla da temere. Sono corsa in
cucina per mettermi il velo, perché stavano per entrare in casa degli
uomini e sarebbe stato sbagliato se mi avessero vista con i capelli
scoperti. E' stato questo a salvarmi la vita. Appena mio padre e il
vicino si sono affacciati alla porta, gli americani hanno aperto il
fuoco. La morte è stata istantanea». «Mio fratello tredicenne ed io
ci siamo nascosti in cucina dietro il frigorifero. I soldati hanno
fatto irruzione, hanno preso mia sorella maggiore e l'hanno
picchiata, poi le hanno sparato. Ma io non sono stata notata. Ben
presto, se ne sono andati, ma non prima di avere distrutto i nostri
mobili e avere rubato tutti i soldi che mio padre aveva in tasca».

Hudda mi ha detto di aver confortato sua sorella morente leggendole
dei versetti del Corano. La sorella è spirata dopo quattro ore. Per
tre giorni, Hudda e il fratello sono rimasti accanto ai cadaveri dei
loro parenti: ma avevano sete, e da mangiare avevano solo una
manciata di datteri. Temevano il ritorno dei soldati, e così hanno
deciso di lasciare la città: ma sono stati intercettati da un
cecchino statunitense.

Hudda è stata colpita da un proiettile a una gamba; suo fratello ha
cercato di scappare, ma è stato colpito alla schiena ed è morto sul
colpo. «Mi stavo preparando a morire», mi ha detto, «ma poi mi ha
trovata una donna soldato americana e mi ha portato in ospedale». A
quel punto, Hudda ha potuto ricongiungersi con i sopravvissuti della
sua famiglia.

Ho incontrato anche i superstiti di un'altra famiglia del distretto
di Jolan, e mi hanno detto che, al termine della seconda settimana di
assedio, le truppe statunitensi hanno messo a ferro e fuoco Jolan. La
Guardia Nazionale irachena utilizzava degli altoparlanti per
avvertire la popolazione che doveva uscire di casa ed esibire una
bandiera bianca, portando con sé i propri effetti personali. L'ordine
era di riunirsi all'esterno della moschea di Jamah al-Kurkan, in
pieno centro.

Il 12 novembre, Eyad Naji Latif e otto membri della sua famiglia -
tra cui un bambino di sei mesi - hanno raccolto i loro averi e si
sono incamminati in fila indiana, come da ordini impartiti, in
direzione della moschea.

Non appena giunti sulla strada principale adiacente alla moschea,
hanno udito qualcuno urlare, ma non riuscivano a capire che cosa
dicesse. Eyad mi ha detto che sembrava un "now" (ora) in inglese. Poi
sono iniziati gli spari. Sono comparsi dei soldati statunitensi sui
tetti delle case circostanti, e hanno aperto il fuoco. Il padre di
Eyad è stato colpito al cuore e sua madre al petto.

Entrambi sono morti sul colpo. Anche due fratelli di Eyad sono stati
colpiti, uno al petto e l'altro al collo, mentre due donne sono state
colpite a una mano e a una gamba. Poi i cecchini hanno ucciso la
moglie di uno dei fratelli di Eyad. Non appena è caduta a terra, il
figlioletto di cinque anni è corso da lei e si è sdraiato sul suo
cadavere. Poi i cecchini hanno ucciso anche il bambino. I
sopravvissuti, in preda alla disperazione, pregavano i soldati di
smettere di sparare.

Ma Eyad mi ha detto che non appena qualcuno cercava di sventolare la
bandiera bianca, i militari sparavano. Dopo diverse ore, Eyad stesso
ha cercato di alzare la mano dentro cui stringeva la bandiera: ma
loro gli hanno sparato alla mano.

I cinque sopravvissuti, tra cui anche il bimbo di sei mesi, sono
rimasti stesi in strada per sette ore. In seguito, quattro di loro si
sono trascinati fino alla casa più vicina per chiedere aiuto. La
mattina successiva, anche il fratello colpito al collo è riuscito a
trascinarsi in salvo. Sono rimasti tutti in quella casa per otto
giorni, mangiando solo radici e con un solo bicchiere d'acqua che
hanno conservato per il neonato. L'ottavo giorno, sono stati scoperti
da alcuni membri della Guardia Nazionale irachena e sono stati
portati in ospedale a Fallujah: ma qui hanno saputo che gli americani
avevano preso ad arrestare tutti gli uomini giovani, così sono
fuggiti dall'ospedale per recarsi in una città vicina, dove hanno
ricevuto le cure del caso.

Nessuno di loro sa con certezza che cosa sia avvenuto alle altre
famiglie che avevano ottemperato all'ordine di recarsi presso la
moschea. Tuttavia, mi hanno detto che per le strade, scorrevano
rivoli di sangue. Io ero stato a Fallujah in gennaio con un convoglio
umanitario finanziato da donazioni provenienti dalla Gran Bretagna.

Il nostro piccolo convoglio, composto di camion e furgoni, portava 15
tonnellate di farina, otto tonnellate di riso, medicinali e 900 capi
di abbigliamento destinati agli orfani. Sapevamo che migliaia di
profughi si trovavano accampati in condizioni pessime all'interno di
quattro campo nella periferia della città.

Fu là che ascoltammo racconti di famiglie massacrate nelle loro case,
di feriti trascinati per le strade e investiti con i carri armati, di
un container in cui erano stipati i corpi di 481 civili, di omicidi
premeditati, di saccheggi e di atti di violenza e di crudeltà oltre
ogni immaginazione.

Tra le rovine
Ecco perché abbiamo deciso di entrare a Fallujah per indagare. Quando
siamo entrati, a malapena sono riuscito a riconoscere il luogo dove
avevo prestato servizio medico nell'aprile 2004, nel corso del primo
assedio.

Abbiamo visto persone aggirarsi come fantasmi tra le rovine; alcuni
cercavano i cadaveri dei loro parenti, mentre altri tentavano di
recuperare i loro effetti personali nelle rovine delle loro
abitazioni.

Qua e là, c'erano capannelli di persone in coda per la benzina o per
il cibo. In una delle file, un gruppetto di sopravvissuti si
accapigliava per aggiudicarsi una coperta.
Ricordo che mi ha avvicinato una signora anziana, con gli occhi
congestionati dalle lacrime. Mi ha afferrato per un braccio e mi ha
detto che la sua casa era stata colpita da una bomba statunitense
durante un raid aereo: il soffitto era crollato addosso al figlio
diciannovenne, mozzandogli di netto le gambe.

Non era riuscita a trovare nessuno che la aiutasse. Non aveva potuto
scendere in strada perché gli americani avevano piazzato dei cecchini
sui tetti e ammazzavano chiunque si avventurasse all'esterno, anche
di notte. Aveva fatto del suo meglio per fermare l'emorragia, ma non
ci era riuscita. Era rimasta accanto al figlio, il suo unico figlio,
fino a quando non è morto, ben quattro ore dopo.

... continua
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Vecchio 21-02-2005, 20.09.41   #2
bluemax
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L'ospedale principale di Fallujah è stato occupato dalle truppe
americane durante i primi giorni dell'assedio. C'è solo un altro
nosocomio, l'Hey Nazzal, ma anche questo è stato colpito due volte da
missili americani, mandando in fumo tutti i farmaci e le attrezzature
sanitarie. Non c'erano ambulanze: le uniche due ambulanze a soccorso
dei feriti erano state colpite e distrutte dai soldati statunitensi.

Abbiamo fatto visita a una serie di case del distretto di Jolan, un
umile quartiere di lavoratori nella parte nord-occidentale della
città, centro della resistenza durante l'assedio di aprile.

Durante il secondo assedio, il quartiere sembrava oggetto di una vera
e propria missione punitiva. Siamo passati di casa in casa, e abbiamo
scoperto intere famiglie assassinate nei loro letti, oppure in
salotto o in cucina. In ogni singola casa, i mobili erano stati
distrutti e gli oggetti erano sparsi ovunque.

In alcuni casi abbiamo anche trovato cadaveri di combattenti, vestiti
di nero e con cinture piene di munizioni.

Ma nella maggioranza delle case che abbiamo visto, i cadaveri
appartenevano a civili. Molti erano in vestaglia, molte donne non
erano velate - segno che in casa non c'erano altri uomini a parte i
loro familiari. Non c'erano armi, né cartucce esplose.

Abbiamo subito compreso di trovarci sulla scena di un massacro, di
una strage condotta a sangue freddo su civili inermi e indifesi.

Nessuno sa quante persone siano morte. Le forze di occupazione ora
stanno demolendo i quartieri interessati per coprire le tracce dei
loro crimini. Quello che è avvenuto a Fallujah è un atto di barbarie,
e tutto il mondo deve conoscere la verità.

Il Dott. Salam Ismael, 28 anni, era coordinatore dei medici in
apprendistato a Baghdad prima dell'invasione dell'Iraq. Nell'aprile
2004, si è recato a Fallujah, dove ha curato i feriti del primo
assedio alla città. Alla fine del 2004, si è recato in Gran Bretagna
per raccogliere fondi per un convoglio di aiuti umanitari da inviare
a Fallujah, ma il governo britannico ora non vuole ascoltare la sua
testimonianza. Saebbe dovuto tornare in Gran Bretagna la scorsa
settimana per tenere una serie di incontri pubblici con i sindacati e
con le associazioni pacifiste, ma gli è stato negato il visto. La
ragione che è stata addotta è che già l'anno scorso Ismael aveva
ricevuto un rimborso spese, a copertura dei costi di viaggio
sostenuti per recarsi in Gran Bretagna, e che questo si configurava
come "lavoro nero".

Il Dott. Salam Ismael vuole solo dire la verità, ma sembra che la
libertà che Bush e Blair affermano di voler far vincere in Iraq non
si estenda fino a consentire ai cittadini iracheni di muoversi
liberamente.

Questa settimana è partita una serie di denunce, sostenute dalla
coalizione Stop the War, volte a permettere al Dott. Salam Ismael di
tornare in Gran Bretagna.

Dal sito Information Clearing House,
www. informationclearinghouse. Info

Traduzione di Sabrina Fusari
http://www.liberazione.it/giornale/050219/default.asp
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