Ospite abituale
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Riferimento: Una casa di tolleranza...
La tolleranza per come la vedo io può avere anche un'accezione positiva... anche perché io personalmente sono contenta quando il mio prossimo mi "tollera"... la tolleranza altrui mi permette di essere accolta come persona nonostante i miei limiti... per me certo siamo tutti uguali nell'essenza, siamo tutti esseri umani, ma ciascuno di noi segue percorsi diversi, si porta dietro un bagaglio di vissuti unici, di mentalità "distanti" e abbiamo bisogno di costruire ponti per poter allacciare rapporti con gli altri altrimenti queste "diversità" ci porterebbero ad allontanarci sempre più l'uno dall'altro...
Non conosco il filosofo Carlo Sini... comunque anche in questo caso credo che sia un parere soggettivo come quello che ho trovato anch'io, del filosofo Grayling, che è di tutt'altro tono, riporto quello che dovrebbe essere un sunto di Antonio Carollo circa il contenuto di un testo di quest'altro filosofo:
Il significato della tolleranza
“Chiunque può esporre il proprio punto di vista ma nessuno può costringere gli altri ad accettarlo”
Del libro “Il significato delle cose” di A.C. Grayling, scelto da Armando Massarenti per la collana ‘ Letture di filosofia ‘ delle edizioni “Il Sole 24 ore”, mi hanno attirato subito le pagine dedicate alla tolleranza. Grayling è un filosofo inglese, professore alla University of London; scrive sul “Guardian”, sul “Financial Times”, sulla “Literary Review” e sulla “Times Literary Supplement”.Oltre che dei suoi interessi propriamente filosofici, quali la teoria della conoscenza, la metafisica, la logica, in diversi saggi si è occupato di crimini di guerra, legalizzazione delle droghe, eutanasia, secolarismo, diritti umani. Per questa sua attività di divulgatore egli è assai noto in Gran Bretagna. Il libro presenta una lunga serie di contributi ad una conversazione, come lui li chiama, “una miscellanea di pensieri stimolati dalla riflessione sugli aspetti quotidiani della condizione umana”. I temi sono riuniti in tre gruppi: vizi e virtù, tra cui moralismo, tolleranza, civiltà, dolore, morte, speranza, lealtà, colpa, amore, felicità; nemici e false credenze, quali razzismo, intemperanza, depressione, religione, peccato, fede, oscenità, povertà, capitalismo. L’ultima parte è dedicata a “cose buone e piacevoli”, come ragione, educazione, ambizione, pace, leadership, lettura, viaggi, famiglia, vecchiaia,
Parliamo della tolleranza. Il dizionario Treccani la definisce la capacità, la disposizione a tollerare, e il fatto stesso di tollerare, senza ricevere danno, qualche cosa che in sé sia o potrebbe essere spiacevole, dannosa, mal sopportata. Comunemente è ritenuta come comprensiva di ogni forma di libertà, morale, politica e sociale; essa viene identificata con il pluralismo dei valori, dei gruppi e degli interessi nella società contemporanea. Marcuse dice che, se la tolleranza indiscriminata è indispensabile nei dibattiti, nella religione e nella scienza, non può essere ammessa quando sono in gioco la pace , la libertà e la felicità dell’esistenza. K.R. Popper considera la tolleranza indispensabile sia come cammino verso la conoscenza, sia come principio etico in una società aperta e democratica. Bobbio le dà il significato di convivenza con le minoranze etniche, linguistiche e razziali che comporta il superamento dei pregiudizi. La tolleranza in tema di religione si è venuta affermando a partire dalle dispute che contrapposero le diverse parti della cristianità nei primi decenni del XVI secolo, dopo la Riforma protestante. Michel de Montaigne fu uno dei primi sostenitori della libertà di coscienza. Spinoza difese il principio di tolleranza affermando che la violenza e l’imposizione non possono promuovere la fede. Locke nella sua Epistola sulla tolleranza sostenne che essa garantisce ugualmente l’interesse religioso della Chiesa e l’interesse politico dello Stato. Il riconoscimento definitivo del principio di tolleranza venne con l’illuminismo nel sec. XVIII (celebre il “Trattato sulla tolleranza” di Voltaire) e con l’affermazione del pensiero liberale nel sec. XIX. Esso oggi fa parte della coscienza civile dei popoli, con qualche eccezione riguardante gli Stati retti dal fondamentalismo islamico.
Torniamo a Grayling. Egli introduce i suoi ragionamenti rifacendosi a John Stuart Mill che nel suo “Saggio sulla libertà” scrisse: “Gli esseri umani avranno molto da guadagnare se ciascuno tollererà che gli altri vivano come meglio credono, invece di vivere come meglio credono gli altri”. Mill poi afferma che nessuno ha il diritto di prescrivere a un altro come debba essere o come debba agire, purché nel suo essere e nel suo agire egli non danneggi gli altri. Questi, dice Grayling, sono principi centrali del liberalismo, il quale prescrive la tolleranza di concezioni e punti di vista opposti lasciando al libero gioco della democrazia la decisione su quale idea debba prevalere; però spesso succede che chi professa principi rigidi, e non ammette compromessi, finisce per zittire gli animi liberali ed imporre la propria egemonia. La tolleranza, quindi, deve proteggersi: il tollerante non deve tollerare l’intollerante; “chiunque può esporre il proprio punto di vista ma nessuno può costringere gli altri ad accettarlo”. L’intolleranza è sintomo di insicurezza e paura. I talebani che impongono il burqa alle donne e proibiscono loro di uscire di casa, di istruirsi e di lavorare temono le conseguenze della loro libertà. La tolleranza è il riconoscimento del più ampio spazio alla convivenza di posizioni diverse. Uno degli obbiettivi primari della vita civile è riuscire a tollerare noi stessi per tollerare meglio il prossimo.
Ho riportato questo non per dire che Sini abbia torto e altri abbiano ragione, ma soltanto perché come in tante altre occasioni ci sono dei punti di vista diversi (che vengano da filosofi o da operai o altri non fa differenza)...
Però penso che l'esempio della tolleranza verso la colf filippina sia molto riduttivo, in quanto non tiene neanche conto dell'altra faccia della medaglia, ovvero della tolleranza che attua lei, che si ritrova in una condizione di "lavoro", lontana dalle sue radici e a contatto con mentalità diverse dalla sua, verso noi...
Inoltre "carità" vuol dire "amore", per cui sinceramente non ci vedo alcunché di condannabile... se provo amore verso una persona non vuol dire che mi sento "nella verità" mentre l'altro è "attardato", vuol dire che gli voglio bene perché è un essere umano come me e che faccio di tutto per superare i miei limiti umani per incontrarlo andando oltre anche i suoi...
Vabbè, già ho parlato troppo... sono solo mie "opinioni"...
Ciao a tutti!
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