Credo che da un bel po' ci sia un interesse della gente, quindi anche mia, per capire meglio i bilanci della Curia e in specie della Diocesi romana.
Perciò senza altri strumenti a mia disposizione, ho cercato su internet e ho trovato su Ponteferro quanto segue:
" ...Ci siamo perciò documentati presso fonti ufficiali della CEI e te ne diamo conto.
Il rendiconto riguarda l’insieme della Chiesa italiana. Nell’ultimo anno fiscale l’8 per mille ha fruttato 781 milioni di euro, pari a 1.500 miliardi delle vecchie lire.
Fermo restando che l’accordo relativo tra Stato e Chiesa non prevede nessun diritto di verifica da parte dell’Italia circa l’effettiva destinazione di tale cifra, si deve prendere per buono ciò che la CEI ha comunicato.
Che è il seguente: 155 milioni sono andati alle Diocesi, 130 alla costruzione di nuove chiese, 116 alla copertura di “iniziative nazionali”, 70 a favore di beni artistici e culturali, 85 ad atti di carità diocesani, 80 ad atti di carità al Terzo Mondo, 30 a non meglio specificati “fini nazionali” e 315 al “sostentamento del clero”.
Da queste cifre è facile desumere che la “voce” più cospicua è costituita dal sostentamento al clero.
La cosa appare logica poiché l’8 per mille ha sostituito una forma di più diretto finanziamento statale risalente al Concordato del 1929 che aveva per oggetto esplicito la spesa per il mantenimento del personale ecclesiastico.
Si tratta oggi di 39.000 sacerdoti suddivisi in 226 diocesi. Noi non sappiamo cosa s’intende esattamente per “sostentamento”: uno stipendio più la copertura previdenziale e assicurativa, più la copertura di spese per consumi vitali e servizi? Esiste una gerarchia reddituale tra i vari gradi del clero, dal parroco al cardinale?
Di certo c’è che dall’8 per mille va al personale ecclesiastico circa il doppio delle varie forme di “carità”. Naturalmente una proporzione esatta è difficile da individuare perché dal resoconto sopra riferito è esclusa ogni altra voce del bilancio reale dell’organizzazione ecclesiastica: lasciti, servizi a pagamento, questue, redditi immobiliari, finanziamenti curiali, e quant’altro.
E non è a nostra conoscenza quanto lo Stato spenda per gli insegnanti di religione la cui nomina è tuttora riservata alla gerarchia. Nonostante questi limiti conoscitivi, possiamo affermare con certezza che solo una parte molto parziale dell’imposta italiana va a opere di carità, se si esclude che mantenere un prete sia di per sé un’opera caritativa."