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Arte - Commenti, recensioni, raccolte di... >>> Sezione attiva sul forum LOGOS: Riflessioni sull'Arte |
04-11-2002, 16.50.27 | #4 |
Ospite
Data registrazione: 11-10-2002
Messaggi: 9
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Hai ragione. Hai definito bene con l'aggettivo Passione, questo libro. Perché è proprio la passione che trascina i personaggi a comportarsi a parlare e a cambiare le loro sorti. Il rapporto dell'amicizia dei due protagonisti. Il rapporto d'amore per la stessa donna. La discussione pacata, ma piena di passione, che hanno i due uomini quando si ritrovano davanti ad un fuoco a discutere proprio di quelle passioni... la loro amicizia ed il loro amore che ormai non c'è più.
Quel fuoco, quelle braci appunto che sono sempre accese in fondo al cuore e che come tutte le passioni, neppure col passare degli anni si spengono. |
04-11-2002, 22.04.29 | #5 |
Ospite abituale
Data registrazione: 05-04-2002
Messaggi: 1,150
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Ciao Tau... benvenuto
E' un piacere leggere la tua recensione... in poche parole (credo d'invidiarti ... nel prosieguo capirai) sei riuscito a condensare il vero contenuto di un romanzo bellissimo.
Ti posto le mie personalissime sensazioni... Ciao e benvenuto! Sàndor Màrai (1900-1989) Le Braci (1942) Una storia particolare. Una lunga attesa durata quarantuno anni. Due grandi sentimenti (forse i più fulgidi) che, alle volte, tendono a confliggere o a entrare in competizione. Un ritmo appassionante che avvinghia il lettore e lo prende per mano in una gradevolissima visita dei più reconditi meandri dell’animo umano. Un romanzo psicologico? Un saggio sull’amore e l’amicizia? Niente di tutto questo; allo stesso tempo, un po' di tutto ciò e, in ogni caso, molto più della somma dei due sentimenti che del racconto rappresentano gli ingredienti essenziali. Un racconto d’altri tempi: intimistico, lirico, passionale, escatologico e sereno… la serenità della maturità. Le braci (anno 1942 – inspiegabilmente riscoperto solo in quest’ultimo periodo – valli a capire gli editori, i critici e i lettori… un capolavoro dormiente… che solo oggi s’impone all’attenzione del grosso pubblico) è più che altro un ampio, appassionante e appassionato paziente monologo (oltre la metà del romanzo) nel corso del quale Henrik, l’anziano generale, ripercorre le tappe di un lungo ed intenso rapporto d’amicizia (più che fraterno) con l’altro protagonista del romanzo: Konrad <…l’amicizia è il rapporto più nobile che esista fra gli esseri umani…>; <…e a volte mi sono chiesto se l’amicizia non costituisca un legame simile a quello fatale che unisce i gemelli…>. Un’amicizia interrotta, negata improvvisamente; più che altro sospesa nell’aria, in attesa che giungesse il momento, un giorno, in cui meglio definirne i contorni e il contenuto… Sospesa, come sospeso appare il braccio di chi governa i destini degli uomini, nell’atto finale di recidere il filo cui è appesa la vita dei due protagonisti che, così percepisce Henrik, hanno sopravvissuto a tutto e a tutti in attesa dell’appuntamento.. <…si trascorre una vita intera preparandosi a qualcosa. Prima ci si sente offesi e si vuole vendetta. Poi si attende. Da molto tempo, ormai, attendeva. Non sapeva più a che punto il risentimento e la sete di vendetta si fossero trasformati in attesa…> L’attesa, paziente, struggente; una lunga meditazione su quanto accaduto quel giorno, nel corso di una battuta di caccia; una domanda che s’impone e, dopo tantissimi anni d’attesa, esige una risposta. L’appuntamento con la verità, non tanto quella fattuale, giacché i fatti e le circostanze di allora sono noti, intuiti e oramai consegnati alla storia del particolarissimo ed intenso rapporto a tre: i due uomini e Krisztina, la moglie deceduta di Henrik, scaturigine delle emozioni e baricentro dell’intera narrazione, presenza quasi eterea che aleggia per tutto il racconto. La verità, dicevo, quella chimerica e utopica delle intenzioni: <…Ma talvolta i fatti non sono altro che deplorevoli conseguenze… L’intenzione è tutto…>; <…perché l’attimo in cui l’uomo è più colpevole non è necessariamente quello in cui solleva l’arma per uccidere qualcuno. La colpa viene prima, la colpa è nell’intenzione…> Un’amicizia viziata… due vite sospese in attesa che si compia il tempo per il chiarimento. Rapporto a tre molto intenso in cui s’intrecciano il sentimento di profonda amicizia e la passione sensuale. Il lungo monologo di Henrik narra la genesi dell’amicizia con Konrad, intensa, fraterna, unilaterale... ci rivela il generale … un sentimento mai alimentato dalla reciprocità, sfociato nel tradimento più becero e meschino: quello della carne, della passione, dei sensi. Konrad attinse dall’amicizia senza mai corrispondere; per invidia, per rabbia repressa, per senso d’inferiorità che si tradusse in un odio passionale: <… per ventiquattro anni tu mi avevi odiato così appassionatamente che quel sentimento aveva in te la forza e l’ardore delle relazioni amorose. Tu mi odiavi, e quando l’odio si impadronisce completamente dell’anima di un uomo, sotto questo rogo cova e si sviluppa anche il desiderio di vendetta…>. Fu per amore nei confronti di Krisztina o solo per un vile e bieco sentimento di vendetta che quel giorno, nel corso di una battuta di caccia, Konrad, non visto, solo intuito da Henrik (un’intuizione più potente e reale di un’autentica visione), puntò il fucile verso “l’amico”? L’intenzione? Nessun dubbio, sparare per uccidere… il motivo? Amore o odio? Fu quel mancato omicidio che indusse Konrad alla fuga precipitosa, abbandonando esercito, casa, “amico” e amante. Fu solo allora, grazie a quella fuga, che Henrik riacquistò la vista (quella dell’anima); vide lei, Krisztina, la sua adorata eterea moglie, intrisa di tradimento… Da allora non vi fu più alcun rapporto fra i coniugi… restarono entrambi, senza più incrociarsi, mentre Konrad “fuggiva” nei tropici, lontano dal peso della responsabilità e della vigliaccheria. Un romanzo che enfatizza l’attesa. La lunga, struggente attesa che avvinghia i due protagonisti; entrambi asserviti ad un loro intimo fatale destino: <…Ma poi sei tornato, perché non potevi fare diversamente. E io ti ho aspettato, perché nemmeno io potevo fare diversamente..> L’attesa che si compia il destino, che ciascuno dei due porti a termine la propria particolare missione… dopo? Niente, la morte: <… E sapevamo entrambi che ci saremmo incontrati ancora una volta, e che poi sarebbe stata la fine. Della vita, e naturalmente di tutto ciò che ha dato un senso alle nostre vite e le ha mantenute in tensione fino a questo momento. Perché un segreto come quello che esiste fra te e me possiede una forza singolare. Una forza che brucia il tessuto della vita come una radiazione maligna, ma al tempo stesso dà calore alla vita e la mantiene in tensione. Ti costringe a vivere…> Vivere fintanto che la missione che si ha da compiere su questa terra non è ultimata. L’attesa, dunque, come forza vitale, inserita in un contesto ed una visione quasi escatologica… un po’ come il “Godot” di Beckett… <…L’uomo vive finché ha qualcosa da fare su questa terra…>. L’attesa di una risposta, vera, sincera, ad una domanda… l’unica cui val veramente la pena di rispondere: <…Ti prego, dimmi: Krisztina sapeva che quella mattina, durante la caccia, avevi voluto uccidermi?>. Una domanda che ha atteso quarantuno anni per essere pronunciata, per ottenere una risposta e, nel momento stesso in cui è formulata, perde importanza; si svuota di significato; tant’è che Konrad non risponde, ed Henrik, in un ultimo gesto, rivelatore del suo desiderio di ottenere pace e riposo, getta nel fuoco del camino l’unico documento che avrebbe potuto fornirgli la risposta tanto attesa: il diario di Krisztine, conservato per anni, al quale lei consegnava tutti i più intimi pensieri. Le braci del diario sono anche il fumo della verità, l’unica che valeva la pena di cercare, e ancora il simbolo della vacuità dell’esistenza? Emblematica, a questo proposito, l’ultima domanda che Henrik pone al suo compagno d’infanzia, quasi un’amara e sconsolata constatazione che fa da chiosa al romanzo: <Non credi anche tu che il significato della vita sia semplicemente la passione che un giorno invade il nostro cuore, la nostra anima e il nostro corpo e che, qualunque cosa accada, continua a bruciare in eterno, fino alla morte? E non credi che saremo vissuti invano, poiché abbiamo provato questa passione? E a questo punto mi chiedo: la passione è veramente così profonda, così malvagia, così grandiosa, così inumana? (…) Oppure, nonostante tutto, si rivolge a una persona ben definita, alla stessa, misteriosa persona che può essere indifferentemente buona o cattiva, senza che l’intensità del nostro sentimento dipenda in alcun modo dalle sue azioni e dalle sue qualità? Rispondi, se ne sei capace.>; <Perché me lo domandi? Sai bene che è così>. Per la cronaca, Sandor Marai, scrittore ungherese, la cui grandezza artistica può essere paragonata a quella di Kafka, vissuto per quasi novant’anni, morì suicida con un colpo di pistola, nel 1989. Ultima modifica di visechi : 04-11-2002 alle ore 22.06.39. |
05-11-2002, 19.19.07 | #7 |
Libera frequentatrice
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Messaggi: 12
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Anch'io ho letto questo libro ... "Le braci"
e devo dire che sono stata sui carboni ardenti fino alla fine Ma il finale mi ha proprio gelato... ! Dico... poteva rispondere almeno qualchecosa, o non so... tirargli un cazz.otto Va bhe....Cmq non male... |
05-11-2002, 21.50.24 | #8 | |
Ospite abituale
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Pardon!
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Chiedo scusa, quando ho guardato nella tua direzione eri nascosta dal monitor ... non ho visto il sorriso ... ora lo vedo! Ciao e benvenuta... Saluto anche Sabi... Benvenuta ... spero di non aver visto male... |
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05-11-2002, 21.51.28 | #9 | |
Ospite abituale
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Citazione:
Dai, raccontaci qualcosina in più ... impressioni, sensazioni... quello che più ti garba.... Ciao |
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